sabato 22 ottobre 2011

Fini Gianfranco da Bologna dixit.

Navigando in rete ho trovato questo commento ad una delle tante esternazioni dell'ex fascista bolognese Gianfranco Fini, attuale presidente della camera dei deputati. 

La superiorità morale di Fini

Gianfranco Fini su Twitter: "I leader politici devono avere uno stile sobrio e austero privo di volgarità". Tanto per cominciare, evitare i soggiorni a Montecarlo e zone limitrofe. twitter@franborgonovo


Esternazione pseudo-moralistica che mi fa sorgere un dubbio: a farla è lo stesso Fini che si vede in questa foto a sinistra, oppure quello che diceva, in un video pubblicato in rete, che si sarebbe dimesso dallo scranno di Monte Citorio se fosse stato accertato che la casa diMonteCarlo regalata  al suo ex partito, l'MSI, e da lui (S)venduta, a sua insaputa al cognato, Tulliani. 
Questa "storiella" somiglia molto a quella dell'ex ministro Scajola   che dichiarò, cadendo nel ridicolo, di non sapere che la casa con vista sul Colosseo era stata pagata, a sua insaputa,  da altri! 

lunedì 17 ottobre 2011

Il leader dell'Idv, sul suo blog, dopo la devastazione della Capitale, punta il dito contro l'esecutivo.





Nessun esame di coscienza. Nessun pentimento. Nessuna autocritica. Il pensiero che le sue dichiarazioni non abbiano contribuito a placare l'ira dei teppisti che hanno devastato la Capitale non sfiora nemmeno per un attimo Antonio Di Pietro. 

 Frasi come "Berlusconi se ne vada, prima che ci scappi il morto" o "la rivolta sociale è alle porte" per lui sono parole gettate al vento, così, tanto per dire. Per non parlare poi delle continue dichiarazioni e invettive condite con epiteti e insulti non proprio degni del ruolo istituzionale che il leader dell'Italia dei Valori svolge. Quel che conta è cavalcare la protesta, fomentare gli animi, gridare a squarciagola e vaticinare l'autunno caldo.

 Poi una volta che succede quello che è successo ieri a Roma, ecco che l'ex pm punta il dito contro il governo. E nel suo blog scrive: "Un governo che compra voti alla luce del sole che combatte ogni giorno contro la legalità, che presenta al mondo un quadro desolante di corruzione, è l’opposto esatto di quel che servirebbe per offrire alla rabbia dei giovani una speranza e uno sbocco politico anzi, i suoi atteggiamenti sono una vera e propria provocazione che alimenta chi ieri ha messo a ferro e fuoco la capitale".

Insomma, per Di Pietro è colpa dell'esecutivo se cinquecento incappucciati hanno sfondato le vetrine dei negozi capitolini, se hanno lanciato sanpietrini alle forze dell'ordine, se hanno incendiato le automobili di cittadini incolpevoli, se hanno bruciato le bandiere dell'Unione Europea e dell'Italia, se hanno sputato e lanciato uova a Marco Pannella.

Poi però c'è il Di Pietro che, forse ricordando il suo trascorso da poliziotto, difende gli agenti. "Voglio prima di tutto complimentarmi ed esprimere la mia affettuosa vicinanza agli agenti delle forze dell’ordine, la cui perizia e il cui senso della misura hanno impedito che ieri una situazione drammatica degenerasse in tragedia. Subito dopo voglio esprimere piena solidarietà a quel 99% di manifestanti che, nonostante una situazione di grande tensione e rabbia, ha rifiutato e respinto le provocazioni. Non oso pensare a cosa sarebbe successo se ieri ad abbandonarsi alla violenza, invece di un migliaio di delinquenti, fossero state le centinaia di migliaia di giovani che hanno invece manifestato pacificamente".

Non vogliamo immaginarlo neanche noi. Ma basta continuare la lettura dello scritto per accorgersi come Di Pietro torni subito sui suoi passi e si ravveda, tornando nei panni del dietrologo: "Mi chiedo, e chiedo al governo e alle autorità competenti, come sia stato possibile che poche centinaia di teppisti abbiano potuto agire indisturbati per ore fino a che non sono riusciti, alla fine, a ottenere quello che cercavano, coinvolgendo negli incidenti molti altri manifestanti. Non voglio neppure pensare che dietro questa incomprensibile strategia ci fosse la scelta precisa di fare in modo che la manifestazione degenerasse per conquistare un argomento di facile propaganda politica".

Come non detto: è il solito Di Pietro. Che poi conclude il suo intervento aleggiando ancora lo spettro della rivolta sociale: "Se non riusciamo a offrire rapidamente uno sbocco pacifico e democratico a quella frustrazione sarà molto difficile evitare che imbocchi la strada della rivolta sociale". Ma se anche lui contribuisse a morigerare le sue dichiarazioni di sicuro non farebbe cattivo regalo al pacifismo e alla democrazia.

di Domenico Ferrara

[FONTE

domenica 16 ottobre 2011

Ecco la lettera segreta intercettata a Bersani

Il leader del Pd lancia un appello: molliamo procure, Cei e indignati e facciamo proposte. Realtà o fantapolitica?

E' arrivata in busta chiusa questa lettera riservata di Pier Luigi Bersani ai suoi.
 Non posso garantirne l'autenticità, ma è interessante. Ecco il testo. 
 «Cari compagni e amici del Pd, Berlusconi la maggioranza assoluta della Camera l'ha confermata. I giornali ci tengono bordone e parlano di vittoria di Pirro. In effetti se Berlusconi non fa qualcosa di serio per riprendere in mano il governo e la maggioranza, con una svolta decisionista dopo i tanti mesi in cui l’abbiamo obbligato alla paralisi e alla strategia difensiva, si troverà di nuovo nei guai tra non molto. Ma noi che facciamo? I radicali saranno anche “stronzi”, come dice la presidente del partito, ma loro hanno risposto che siamo “mediocri” e “buoni a nulla”, un insulto-diciamocelo senza ipocrisia - più ficcante e preciso del nostro. Berlusconi sembra ormai un difensore delle istituzioni e del regolare svolgimento della vita politica in tempo di crisi, sembra un leader assediato da una canea propagandistica incapace di dare una qualunque prospettiva al Paese. Fossero riusciti i nostri agguati,con l’aiuto di tante Procure in mezza Italia, dei potenti e suggestivi mezzi del gruppo Espresso-Repubblica, forse oggi saremmo in grado di parlare di Berlusconi al passato, il che sarebbe comunque un risultato, anche se mi tremano le vene dei polsi a pensare che cosa poi dovremmo fare. Gli indignados? Ma via, compagni, lo sapete meglio di me che quelli sono movimenti “spintanei”, vanno a spinta, una volta sono viola e un’altra sono spagnoli, ma sempre roba scombiccherata e cieca restano, e oltre tutto lavorano per quel piccolo demagogo di Vendola, per quel trombone di magistrato entrato in politica che ci portiamo appresso. 

E allora che facciamo? Casini ci mena per il naso, eppoi sebbene la gerarchia cattolica faccia il suo solito salto della quaglia, con tanti a reggere la tonaca imbizzarrita, alla fine è una cosa embrionale, quelli seri non ci stanno a fare una rivoluzione bianca contro il centrodestra, e quanto ai programmi, alle idee e ai valori, lo sapete come lo so io, nessuno è più lontano da noi dei preti veri, non i pretini che predicano la questione sociale: c'è un Papa che si chiama Ratzinger e non molla un centimetro sulle cose non negoziabili, i cosiddetti valori. Lavorare per gli indignados, per Casini o per i pretini non mi sembra una grandissima soluzione. D'accordo? Certo, siamo procure-dipendenti, Repubblica-dipendenti (nel senso del giornale e dei suoi scrittori paracalvinisti che hanno in mente un'Italia che non c'è, la dittatura della virtù e altre follie lontane dalla nostra cultura). Siamo anche dipendenti, ormai, dal salottone della City di Londra e da quei gregari dei giornali stranieri che non capiscono un tubo dell'Italia vera, e intonano con me continue richieste di dimissioni. Ma è roba buona a creare un'atmosfera, sappiamo tutti che contano un’acca quanto all'orientamento effettivo sia delle cancellerie europee e mondiali, che alla fine i conti li fanno con il capo del governo in carica, sia al modo di vedere le cose dei cittadini di questo Paese. Ma prima o poi bisognerà che ci inventiamo una politica, non credete, cari compagni? 

 Ho una proposta. Siamo il primo partito nei sondaggi, siamo dominatori in Parlamento nell'area dell'opposizione. Possiamo tutto sommato riprendere almeno in parte il controllo del partito e della Cgil, e siamo nati per costruire un orizzonte riformista, non la caciara attuale, inconcludente com'è. Tanta gente, ma proprio tanta, spera che noi siamo capaci di proporre una cosa migliore di quella che propone Berlusconi e fa Berlusconi, un governo e un programma di alternativa fondato su fatti e cifre, su idee e forze capaci di realizzarle. Che ne dite se mandiamo affanculo tutti questi depistatori che ci hanno obbligato a fare politica come una setta di indignati speciali, e proclamiamo aperta una fase di lotta per vincere le elezioni del 2013, difendere gli interessi nazionali, farla finita con la politica dell'origliamento e del processo giudiziario come sostituto del consenso? 

Che ne dite se cavalchiamo il referendum per consolidare il bipolarismo di cui siamo coprotagonisti assoluti, magari con Berlusconi che lo fa pure lui, e aspettiamo con pazienza, ma preparandoci con grinta, la fine della legislatura?

Datemi un segno, ma già so che siete d'accordo, che non ce la fate più a fiancheggiare le mosche cocchiere, ronzanti e fastidiose, che hanno fatto della carrozza del Pd la succursale di mille avventure. Un saluto fraterno. Pier Luigi Bersani».

di Giuliano Ferrara
 
[FONTE]  

venerdì 14 ottobre 2011

Soltanto una ex democristiana può usare un simile turpiloquio!

I radicali spaccano il Pd.
La Bindi perde le staffe: "Sono degli stronzi...

Camera dei Deputati, aperta la stagione di caccia al radicale. La pattuglia pannelliana è stata determinante affinché il governo ottenesse la fiducia alla Camera dei deputati? 
Per qualcuno sì, per altri no. 
Ma fa lo stesso, nel dubbio meglio colpire. 
Quando le cose vanno male un capro espiatorio lo si deve comunque trovare, altrimenti si rischia di fare autocritica. E questa volta tocca ai seguaci di Marco Pannella ed Emma Bonino. La tensione alla Camera si tagliava coltello. Incontri, trattative e commenti a caldo. Poi scoppia il parapiglia: i radicali sono entrati in aula, gridano i deputati dell'opposizione che fanno capannello in Transatlantico. 

La sinistra perde le staffe: volano urla e insulti anche pesanti. La più arrabbiata è Rosy Bindi, presidente del Partito Democratico che sbotta: "Quando gli str.. sono str.. galleggiano senz’acqua". La colpa dei radicali? Non essere entrati in aula al segnale del generale Bindi. Così i radicali "liberi" hanno fatto scattare l'intolleranza di tutti quelli che speravano che fosse la volta buona per dare una spallata al Cavaliere. Fabio Granata, di Futuro e Libertà, ci va più leggero (per modo di dire): "Che pena i radicali! Avessero almeno chiesto l’amnistia! Ma per un tozzo di pane o una radio non si può". Antonio Di Pietro invece, prima della votazione finale, salmodiava sui numeri della maggioranza: "Il governo non ce la fa, nel senso che non c’è più una maggioranza politica, ma solo numerica, dovuta al fatto che i radicali hanno cercato la loro visibilità". L'ex pm non funzionato e c'è stato uno scambio di battute piuttosto acceso tra la Melandri e Nannicini e i deputati Radicali Farina Coscioni, Turco e Beltrandi. Poi arriva Franceschini e suona il gong: fine del round, tutti giù dal ring. I radicali non c'entrano un accidenti: "Non sono stati determinanti". Il capogruppo dei Democratici alla Camera spiega, pallottoliere alla mano, che al termine della prima chiama i votanti erano 322, di cui 315 sì (voti di maggioranza) e 7 no (cinque radicali e due Autonomie). Dunque il numero di 315, necessario per far scattare il numero legale, era già stato raggiunto prima dell’ingresso in aula dei radicali. Questa la teoria di Bersani. Epperò ci sarebbe una strategia molto più sottile. I radicali semnrano essere stati determinanti per la tenuta del numero legale durante il voto di fiducia al governo creando una sorta di "effetto traino" per quota 315. Il primo deputato radicale che ha votato è stato Marco Beltrandi, per 298/o. Dopo di lui ci sono stati gli altri voti radicali e 14 della maggioranza. Insomma il calcolo è complesso, ma per sicurezza la sinistra se la prende coi Radicali.


giovedì 13 ottobre 2011

Destra o sinistra pari sono quando si tratta di compagni di merende!

L'inchiesta Penati-Serravalle inguaia gli uomini di D'Alema
I pm controllano gli incarichi esterni della società indagate per l'ex vice di Bersani. Spuntano professionisti vicini a Max


Son lì con i pacchi di documenti da spulciare, i magistrati di Monza che accusano Filippo Penati di corruzione e concussione e finanziamento illecito del partito. E i diversi fronti d'inchiesta si conoscono: da una parte i maneggiamenti intorno all’ex Falck, l'area dismessa (ormai da più d’un decennio) di Sesto San Giovanni ancora da edificare e intorno alla quale sarebbero svolazzate mazzette e quant'altro. E poi c'è la questione Milano Serravalle, società tra le altre cose proprietaria dell'autostrada Milano-Genova e controllata dalla Provincia di Milano: com’è noto, nel 2005 proprio la Provincia - con Penati presidente - acquistò dal gruppo Gavio il 15 per cento di azioni della Serravalle pagandole uno sproposito, e poi subito dopo proprio il gruppo Gavio aiutò la Unipol di Consorte - ai tempi del tutto organico al partito che allora si chiamava Ds - nella fallita scalata alla Banca Antonveneta. E insomma, i pm sospettano che anche questa faccenda nasconda tangenti e accordi illeciti. Tanto che da settimane stanno analizzando bilanci e scandagliando consulenze più o meno sospette. E questo per inquadrare la situazione.

Consulenze: Ecco, le consulenze della Milano Serravalle. Capitolo interessante. Proprio Libero ha raccontato i tanti incarichi professionali che la società in questione assegnò a Renato Sarno, l'architetto pugliese molto vicino allo stesso Penati e anch'egli indagato nell'inchiesta di Monza: addirittura due milioni di euro dal 2005 al 2009, fra “progetti speciali” e “valorizzazione aree di servizio” e “innovazione e servizi” e così via. E ancora Libero rivelò l'interesse dei pm brianzoli per l'inchiesta di Bari - quella su Tarantini, escort e via dicendo -, poiché lo stesso Sarno risultava collegato, come socio in una società immobiliare, ad alcuni personaggi che compaiono negli atti dell'inchiesta pugliese: l'imprenditore Enrico Intini - la cui amicizia con D'Alema veniva rimarcata nel gennaio 2009 dal Corriere della Sera; e poi Roberto De Santis - anch’egli amico nonché compagno di partito di D'Alema, cui nel ’94 vendette la famosa barca Ikarus; e anche Salvatore Castellaneta - si ventilava fosse il proprietario della masseria da cui D'Alema annunciò la «scossa» al governo Berlusconi poco prima dell'esplosione del caso D'Addario, ma la notizia è stata smentita. E comunque, Sarno e Intini e De Santis e Castellaneta: tutti insieme nella società “Milano Pace”, che realizzò un complesso immobiliare a Sesto San Giovanni anche questo citato negli atti dell'inchiesta di Monza.

La fondazione: Tornando alle consulenze della Milano Serravalle: i pm di Monza hanno notato un'impennata di spese per “incarichi professionali esterni”, dai 2 milioni e 33mila euro del 2005 (anno dell'operazione Serravalle) ai 3 milioni e 162mila del 2009 (ultimo con Penati alla guida della Provincia). Poi uno scorre l’elenco e insomma, quell'uomo lì - D'Alema, intendiamo - è anche sfortunato, ché dove ti giri ti giri e vien fuori il suo baffetto. Niente d'illecito, vediamo di scriverlo chiaramente. E non è nemmeno che si scopra oggi la concessione di incarichi agli amici degli amici - figuriamoci, siamo uomini di mondo, peraltro trattasi di valenti professionisti, sia detto senz'alcuna ironia. In ogni caso, dando un'occhiata proprio alle consulenze del 2009, compare fra gli altri il nome di Carlo Cerami. Il quale, oltre che esperto avvocato amministrativista, è stato coordinatore provinciale dei Ds, e anche responsabile della sede milanese di Italianieuropei, la fondazione presieduta proprio da D'Alema. Per Cerami tre incarichi in un anno, per complessivi 90mila euro. E, come detto, si parla solo del 2009. Proseguendo nella lettura, ci s’imbatte in un altro avvocato d’affari: Luigi Arturo Bianchi, che nel 2009 per “attività segretario organi sociali e assistenza” viene remunerato con euro 30mila. Bianchi è pure ordinario di diritto commerciale alla Bocconi, consigliere del calibro di Generali e Benetton - un fior di professionista, insomma. Peraltro, per usare ancora le parole del Corriere della Sera, «è anche animatore di Futura, il pensatoio fondato da Giuliano Amato e Massimo D'Alema», quello fondato nel 2003 e poi di fatto rimpiazzato da Italianieuropei, di cui lo stesso Bianchi è infatti collaboratore. Pensa te.

Ruoli bipartisan: In ogni caso, quello della Milano Serravalle appare quasi un caso di scuola, emblema di come una società pubblica possa diventare punto d'incontro di cotante professionalità certo eccellenti, e però spesso - come dire - riconducibili a personalità politiche (in senso bipartisan). Sempre nell’elenco di consulenze del 2009, 110mila euro vengono assegnati - “progetto internalizzazione e realizzazione call center” - all’ICT Consulting spa. Società molto quotata il cui presidente è Salvatore Randi, negli anni Ottanta direttore generale della Stet (sempre il Corriere: «...il manager voluto da Graziosi e Prodi...») e poi amministratore delegato di Italtel - in questo ruolo coinvolto nell’inchiesta Mani Pulite, lui si dichiarò vittima di concussione.

Altro capitolo: la realizzazione del sito web e una consulenza di comunicazione - sempre nel 2009 - affidate all'agenzia Sa.Sa., il cui patron Giorgio Cioni è anche un esperto di campagne elettorali - ha organizzato l'ultima del governatore lombardo Formigoni, di cui già nei primi anni Novanta era stretto collaboratore. E poi le consulenze fiscali, curate da uno dei migliori studi milanesi, il Vitali-Romagnoli-Piccardi, che fino al 2008 era presieduto da Giulio Tremonti. Fino alla polemica sugli incarichi alla società di un manager ch'era stato in affari con la moglie di Guido Podestà, nel 2009 succeduto proprio a Penati alla presidenza della Provincia - Podestà ha poi rimarcato come non ci fosse più alcun collegamento, e che con la nomina la Provincia nulla c'entrava. 

E comunque niente, tutto regolare, tutto così.

di Andrea Scaglia

[FONTE]

E' propio vero: al ridicolo non c'è limite.

Il bolognese Fini non fa passare giorno che non confermi il suo essere "unico & diverso". 
Lui non si è dimesso quando venne a galla la storiaccia dell'appartamento di Monte Carlo che era diventato di proprietà del cognato ma a sua insaputa.
Adesso chiede le dimissioni del direttore del TG 1 perché è di parte.  
Se il bolognese Fini fosse coerente dovrebbe, innanzi tutto, dimettersi dallo scranno di presidente della Camera, e chiedere, contemporaneamente, le dimissioni di tutti i direttori di testata del servizio pubblico RAI, nessuno escluso.

Ira di Fini: «Minzolini si deve dimettere»
«Intollerabile faziosità del telegiornale». Il caso per due servizi

«Augusto Minzolini si deve dimettere subito per l'intollerabile faziosità del suo telegiornale. C'è un limite anche all'indecenza». Lo afferma il presidente della Camera Gianfranco Fini in relazione a due servizi mandati in onda giovedì sera dal Tg1 che lo riguardano. Il presidente della Camera fa riferimento a due servizi del Telegiornale di cui uno riguardante l'intervista a Franco Bechis, vicedirettore di Libero. Fini fa sapere che nei confronti del Tg1 si riserva di tutelare la propria onorabilità in sede giudiziaria e professionale. 

(Fonte Ansa

mercoledì 12 ottobre 2011

Non è tutto oro quello che luccica in Parlamento

C’è il giochetto Giachetti dietro il flop del governo sulla legge di bilancio
  
 Lo chiameremo “il giochetto Giachetti” e sotto questo titolo siamo in grado di spiegare gli aspetti più cialtroni che hanno creato martedì pomeriggio a Montecitorio il caos e l'illusione che il governo fosse andato sotto politicamente, anziché con un trucco e su una questione di pura ratifica notarile: l’approvazione della legge di bilancio che è un atto dovuto del parlamento e del  governo.
Premessa e mea culpa: io sono uno degli assenti al voto di ieri avendo dovuto correre al pronto soccorso con un figlio che si è fatto male giocando a pallone e avendo poi avuto la sventura aggiuntiva di un taxi bloccato a piazza San Silvestro per i lavori stradali. D’accordo, tutte cose che non dovrebbero capitare, ma che invece capitano. Sono arrivato trenta secondi dopo la chiusura del voto, così come è successo a Umberto Bossi che stava fumando un sigaro fuori nel cortile del Transatlantico e che poi ha perso tempo con un giornalista. Si dirà: ma perché Bossi invece di restare in aula, si trovava in cortile a fumare? Giusta domanda.
La risposta è: per il trucchetto di Giachetti, che adesso racconterò. La premessa necessaria è che l’aula si riempie e si svuota secondo se ci sono o no votazioni in corso: nel Parlamento italiano è permesso infatti agli oratori di ammannire i loro avvocateschi e vanitosi pistolotti retorici per dieci e anche quindici minuti, motivo per cui quando si svolge la prolissa e prolassata “discussione generale” molti deputati ne approfittano per un caffè, una sigaretta, una corsa al bagno.
E’ normale, è sempre stato e sempre sarà così, almeno finché non si ridurrà il tempo degli interventi a due minuti, massimo tre, come avviene nei Parlamenti seri. Martedì dunque il colpaccio di Giachetti è consistito nel far credere che si sarebbe andati per le lunghe con le chiacchiere, per poi far scattare la trappola in cui alcuni deputati di maggioranza sono caduti come polli, malgrado la presenza fisica di Berlusconi che aveva fiutato l’inganno ed era venuto in aula a votare, per poi uscire fumante di rabbia voltando con disprezzo la schiena a Tremonti che non aveva votato.
Ma il giochetto di Giachetti è riuscito. Roberto Giachetti è il vice-capogruppo del Partito democratico, è un deputato abilissimo e un vero enfant prodige dei tecnicismi parlamentari, colui che prepara le imboscate, usa tutti i trucchi e se ne frega della vera politica: è un commando, un organizzatore di truppe speciali per effetti speciali. Quel che ha combinato martedì, lo ha lui stesso candidamente raccontato. Ecco che cosa ha combinato: ha scelto tre colleghi del PD (selezionati in accordo con il suo collega in furbizie Emilio Angelo Quartiani) ed ha costruito il suo cavallo di Troia. Ho chiesto cioè ai deputati del suo partito Boccia, Rosato e Tocci di uscire e nascondersi. Quindi ha chiesto al Presidente della Camera se poteva discutere almeno per un’altra ora prima del voto, diffondendo l’impressione di tirarla per le lunghe. La conseguenza, ma direi il riflesso condizionato è stato che un buon numero di parlamentari è uscito dall’aula pensando di rientrare al momento del voto. “A quel punto”, gongola Giachetti, “ho fatto rientrare i tre colleghi che avevo nascosto e ho chiesto che si passasse al voto. In quella concitazione non tutti hanno fatto in tempo a rientrare in aula, e in questo modo abbiamo mandato sotto il governo”. Complimenti, Giachetti, sembri davvero De Gasperi, Cromwell, Gobetti, Gramsci, Einaudi. Ma forse di più, direi, anche Oudini, Silvan, David Copperfield, e soprattutto il callido Ulisse del cavallo di legno.
A che servivano infatti i tre deputati nascosti nella pancia del cavallo di Troia? A creare un’illusione sul numero dei presenti nella prima votazione dove il PD mostrava sul tabellone tre voti in meno di quanti ne avesse realmente. Poi il gioco delle tre carte e il governo battuto. Conseguenza immediata: urla e schiamazzi, dimissioni, Berlusconi vada al Quirinale, Champagne a sinistra e su tutti i giornali che aspettano qualsiasi imboscata e incidente per dichiarare morto un governo che se la passa male ma che è ancora vivo e abbastanza vegeto.
A me, lo dico con sincerità, è venuto un colpo: è mancato un voto che per la mia coscienza era il mio. Certo, ognuno dei quasi trenta deputati assenti può dire la stessa cosa, ma bisogna distinguere fra chi ha agito di proposito, chi si è fatto fregare dai giochetti di Giachetti, chi come me ha avuto un doppio contrattempo.
Certo, resta la questione Tremonti, che non ha votato, come non ha votato Scajola insieme al liberale storico Antonio Martino. Di Bossi e del suo sigaro abbiamo già detto e infatti il Senatùr ha subito minimizzato dichiarando che non è successo niente: niente di politico: una giornata di giochetti di Giachetti,e niente di più. Ma è vero che Tremonti e Scajola hanno, come si dice in gergo, “dato un segnale”? O anche loro erano distratti, uno si allacciava le scarpe e l’altro faceva il solitario col telefonino? Bisognerebbe chiederlo a loro. Certo è che dal punto di vista scenico, dell’apparire, delle urla e dei titoli di giornale, il governo ha preso una bella botta. Ma ci sembra che non sia avvenuto nulla di politico: a mio parere, di testimone e di sfortunato protagonista, direi che la cosa più “politica” è il senso di sfilacciamento, di distrazione, di sbadiglio e distacco che si respira nell’aula, nelle Commissioni e nei corridoi, perché tutti pensano ad altro. E questo dipende da un logoramento che a sua volta dipende dalla depressione politica.
Nessuno ha più entusiasmo, nessuno si aspetta più il colpo d’ala, tutti pensano al dopo, alla fine, al nuovo inizio, alla paura di non essere più eletti, alla necessità di apparire in movimento, in dissenso, in nervosismo. La politica non c’è. Per questo sarebbe utile un colpo di cannone e un rullo di tamburi. Che so, Berlusconi fa chiedere direttamente da Napolitano a Mario Monti di fare un sacrificio e mandarlo alla Banca d'Italia chiudendo così un altro capitolo demenziale, perché Monti è più milanese di tutti e che Bossi potrebbe soltanto essere contento, dal momento che Monti è anche presidente della più prestigiosa università italiana, la Bocconi. Certo, non potrebbe chiederglielo Berlusconi, ma Napolitano  d'accordo con Berlusconi e sarebbe un colpo d’ala per l’Italia e per l'Europa, visto anche che lo stesso Berlusconi mandò alla Commissione europea nel suo primo governo proprio gente del calibro di Mario Monti ed Emma Bonino. E soltanto un esempio di quel che si potrebbe fare sul piano dell'immagine.
Oppure, Berlusconi potrebbe preparare una forte dichiarazione ideologica liberale da amministrare e concordare con il liberale Antonio Martino, accompagnata da forti iniziative in Europae nel mondo: ha fatto una pessima impressione il fatto che la nave italiana catturata dai pirati somali sia stata liberata, senza spargimento di sangue, da commando inglesi anziché dagli italiani.
Come insegna Giachetti con i suoi giochetti, occorre talvolta saper costruire bene i trucchi di scena, i baffi finti, la donna cannone, per impressionare i cittadini, agitarli con parole reboanti e senza senso, ma che ripetono l’eterno Dna dell'ammuina borbonica: apparire anziché essere, barare anziché giocare, piagnucolare quando ci si fa male e diffamare co la calunnia l’avversario senza avere la forza e il coraggio di batterlo sul terreno delle cose. Il governo potrebbe, se volesse, dare prova di una differenza di stile.
Ce ne sarebbero di cose da fare in quest'anno e mezzo che ci separa dalle elezioni del 2013, perché, stando al calendario, ai numeri e ai fatti, questo governo è condannato a restare in carica per mancanza, oltre tutto, di alternativa politica, numerica e programmatica. Dunque, forza e coraggio, uscite dalla depressione e fate vedere al Paese che la politica intende riconquistare la dignità infangata dando risposte visibili ai problemi e al panico artificiale alimentato dai furbi giocatori delle tre carte e dai loro compari.


[Fonte

venerdì 30 settembre 2011

Riporto questa interessante notizia che conferma l'agire di questo personaggio ...

ESCLUSIVO/ Travaglio copia gli articoli da Internet. Ecco le prove, ma lui nega e offende: “mitomani”


Marco Travaglio copia da Internet. 
Di seguito vi forniamo le prove, inconfutabili, dell’articolo originale e del pezzo poi uscito a firma di Travaglio. E non si tratta di una semplice frase, ma di un pezzo intero, copiato per stile e impostazione. Strano, tra l’altro, per un giornale come ilFatto che è nato praticamente da Internet, e che Internet dovrebbe rispettare, compresa la regola numero uno: citare la fonte. E non copiare. Per non dire poi di Travaglio, da sempre paladino di ogni forma di legalità e di correttezza: certo, per carità, copiare un articolo non ti manda in galera, ma è comunque significativo.

Anche perché Travaglio nega. Ma andiamo con ordine. Questo è il pezzo originale, scritto da Claudio Messora, conosciutissimo blogger autore di ByoBlu.com; lo stile del pezzo, come potete vedere, è particolare: si tratta di un dialogo. Ci sono tre soggetti (Berlusconi, il presidente Buzek e la sua segretaria; cercate di capire, anche Claudio, come Travaglio, è un po’ ossessionato dal Cavaliere…). Travaglio copia tutto (guardate l’articolo in fondo a questo post), protagonisti compresi. E pure la forma del dialogo. Ora, quando mai avete visto un suo editoriale scritto in quella forma? Mai, onestamente.
Negare l’evidenza non è possibile. I due pezzi sono molto simili. Troppo simili. Ma cerchiamo, per quanto possibile, di difendere Travaglio. Potrebbe essere, e avrebbe pure senso, che non è Travaglio in persona a scrivere i suoi pezzi. Sapete, i tanti impegni, la mole di lavoro, contare i soldi guadagnati nel corso della carriera, sono tutte cose che occupano la giornata. Quindi, diciamo, Travaglio potrebbe avere uno staff che scrive per lui gli articoli. Non sarebbe il primo, nemmeno l’ultimo e non ci sarebbe nulla di male.
Solo che lui nega anche questo. Perché, contattato da Claudio Messora, ha smentito questa ipotesi con sdegno. Non ha uno staff, fa tutto da solo (come Berlusconi). Bene, benissimo. Rimane il problema dell’articolo copiato. Quindi, caro Marco, l’hai copiato tu in persona. E anche qui è arrivata una risposta precisissima: no. Travaglio, quindi, nega l’evidenza e, anzi, rilancia offendendo. Perché sono in tanti ad aver scritto al popolare giornalista chiedendo spiegazioni e delucidazioni. Sapete, quando cade un mito la delusione è tanta, e lo sconforto ti assale. Leggete un po’ cosa risponde Travaglio ai suoi fan:
“Se lei pensa che io copi i miei articoli, può anche cambiare giornale. Io non devo alcuna spiegazione ai mitomani che infestano il web”.
Capito? Non solo nega l’evidenza, ma si comporta da arrogante (“cambi giornale”). E offende chi osa chiedere qualche spiegazione. “Siete dei mitomani”. Incredibile. Ah, Travaglio, la lontananza da Santoro lo rende particolarmente nervoso. E pure un po’ copione…

- L’articolo originale di Claudio Messora
- L’articolo di Travaglio.

Altre notizie sugli altarini della sinistra...

People mover, consulenze d’oro e appalti su misura al Consorzio Cooperative Costruzioni

L'ingegner Boldreghini, capo della Tecnopolis di Casalecchio, che ha preparato la gara d'appalto per il trenino monorotaia è anche in affari con chi poi quella gara l'ha vinta, il Ccc. Tecnopolis e Ccc avevano già lavorato insieme nel passato per costruire la Coop Ambasciatori e l'inceneritore di Parma. Boldreghini è anche uno degli esperti più richiesti in materia di trasporti dal Comune di Bologna: Cofferati, Delbono e Cancellieri ne hanno richiesto consulenza (perfino sul Metrò) per un valore di quasi 200mila euro.
 “Tutto tra amici”. Se un giorno il People mover dovesse partire il primo slogan potrebbe essere questo. Il concetto è semplice: uno di coloro che hanno preparato la gara d’appalto per il trenino monorotaia (che nella volontà del Comune di Bologna dovrebbe unire la stazione ferroviaria all’Aeroporto “Guglielmo Marconi”), è anche in affari con chi poi quella gara ha vinto. L’arbitro, o almeno chi ha scritto le regole di quella gara, collabora con uno dei due giocatori.

Ma facciamo i nomi. Il primo è quello del principale beneficiario delle somme finora stanziate dal Comune per la monorotaia: l’ingegnere Giorgio Boldreghini, esperto di sistemi di trasporti e a capo della società di ingegneria Tecnopolis con sede a Casalecchio di Reno, che ha già incassato per il suo lavoro sul People mover dal 2007 a oggi 188 mila euro. Boldreghini è uno dei progettisti iniziali del People mover, ma soprattutto uno di coloro che hanno preparato la gara d’appalto. L’altro nome è quello del Ccc, Consorzio cooperative costruzioni, che quella gara d’appalto scritta da Boldreghini ha vinto con una concessione di 35 anni.

Il punto è che la Tecnopolis di Boldreghini è in altri affari con Ccc da anni. Sul sito internet della società di progettazione di Casalecchio, nella lista dei clienti figura per esempio la Coop costruzioni, braccio operativo del Ccc nella eventuale realizzazione del People mover. Molte sono anche le ristrutturazioni o le costruzioni (per esempio di supermercati Coop) in cui Ccc (costruzione) e Tecnopolis (progettazione) sono l’una a fianco all’altro. Nel dicembre 2008 (proprio nei mesi in cui il Ccc vince la gara d’appalto messa su da Boldreghini) le due società portano a termine i lavori nell’ex-cinema Ambasciatori di Bologna, in pieno centro cittadino, una libreria Coop con annesso ristorante. Attualmente, sempre per citare un altro esempio, Ccc e Tecnopolis sono entrate in uno stesso raggruppamento di imprese nel progetto del contestato inceneritore di Parma.

Nel maggio 2008 la prima gara d’appalto per il People mover alla cui preparazione partecipa anche Boldreghini va a vuoto. Evidentemente, così come era congegnata, non faceva gola ad alcuna impresa. Tuttavia il Comune proroga l’incarico a Boldreghini fino al dicembre dello stesso 2008 affinché riveda le condizioni di gara per trovare delle aziende che concorrano alla gara d’appalto in project financing. Partono così verso le tasche di Boldreghini 25 mila euro (altri 18.360 euro saranno pagati a un avvocato che segua le pratiche per il secondo bando di gara). Al secondo tentativo Boldreghini raggiunge il suo obiettivo e alla gara d’appalto partecipano due raggruppamenti. Da una parte un gruppo di imprese spagnole guidate dal colosso Acciona e dall’altra il Ccc, di Bologna. Vince il Ccc, che si aggiudica l’opera in project financing (pensata da Boldreghini) con una concessione di 35 anni.

Ma i soldi spesi per le consulenze e principalmente versati a Boldreghini sono moltissimi in questi anni. Già dal lontano 2005, quando l’opera fu voluta dalla giunta di Sergio Cofferati, l’ingegnere della Tecnopolis fu tra i primi progettisti del People mover. Da allora, tra un rinvio e l’altro dell’opera, l’ingegnere è stato spesso richiamato da Palazzo d’Accursio per delle consulenze profumatamente pagate riguardanti proprio il People mover.

Nel 2007 gli viene affidata dal direttore del settore mobilità, Cleto Carlini, una consulenza da 61.200 euro per un supporto tecnico alla realizzazione di People mover e Metrò (opera di cui è anche progettista, ma che non vedrà mai la luce). Ma il Comune non aveva dei tecnici tra i suoi 5 mila dipendenti? “Nell’ambito degli organici dei settori Mobilità e Lavori pubblici – dichiarò Carlini – non risultano attualmente disponibili professionalità aventi competenza nel settore del trasporto rapido di massa, anche in relazione a pensionamenti e avvicendamenti avvenuti di recente”.

Nel dicembre 2009, Boldreghini viene nuovamente nominato dalla giunta Delbono come supporto al Rup, il Responsabile unico per il procedimento del People mover. Boldreghini riceve 14 mila euro per due mesi di lavoro, fino alla presentazione del progetto definitivo dell’opera, “con particolare riferimento alla fase di elaborazione del progetto definitivo a cura del concessionario”. Il concessionario sono gli amici del Ccc con cui Boldreghini potrà così lavorare a stretto contatto.

Intanto il People mover e la sua progettazione continuano a macinare spese. A marzo 2010, per lo stesso incarico di supporto al Rup, l’ingegnere Michele Tarozzi viene pagato 70 mila euro. Nell’incarico si parla ancora di metrò. Il 29 luglio dello stesso 2010 per lo stesso motivo vengono stanziati dal commissario prefettizio, Anna Maria Cancellieri, 88 mila euro a favore ancora della Tecnopolis e di Boldreghini. Nel frattempo i tecnici interni pare fossero stati trovati. Ma? Ma il capo del settore mobilità del Comune di Bologna, Cleto Carlini, esattamente come 3 anni prima giustifica la super-consulenza a Boldreghini con una nuova motivazione: troppi sono “i carichi di lavoro del personale all’interno del proprio settore” e inoltre i tecnici “in possesso di specifica professionalità sono interamente occupati su altri progetti ugualmente prioritari per l’amministrazione”.

Quali sono questi progetti prioritari che tanto tenevano occupati i tecnici interni al Comune? Il Civis, il filobus a lettura ottica al centro di una inchiesta giudiziaria per corruzione (in cui è coinvolto lo stesso Ccc)? Oppure il Metrò? Di certo c’è solo che queste priorità, finanziate da tutte le giunte e i commissari degli ultimi 10 anni, non accenderanno mai i motori.

di David Marceddu [FONTE]

Solo adesso si scoprono gli altarini della sinistra che esistono dal dopoguerra!

Tutti gli affari del Ccc, il colosso delle cooperative al centro dell’inchiesta Penati.



Nato nel 1912 ha portato a termine importanti lavori nel Nord Italia, come l'Alta Velocità tra Milano e Bologna e il passante di Mestre. Più volte finito al centro di bufere giudiziarie. Non per ultimo il Civis di Bologna.
Sarà interrogato a breve il vicepresidente del Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna, Omer Degli Esposti. I pm Walter Mapelli e Franca Macchia lo aspettano infatti in procura a Monza dove il manager d’origine modenese deve rispondere del reato di concussione nell’inchiesta su un presunto giro di tangenti per la riqualificazione delle aree ex Flack e Marelli a Sesto San Giovanni. Nella storia del Ccc, però, non si tratta della prima indagine a cui il consorzio viene sottoposto.

Dal Civis e dal People Mover si deve procedere a ritroso verso la Stalingrado d’Italia. Il Consorzio cooperative costruzioni è un colosso che gestisce più di un miliardo in appalti e che ha partecipazioni in molti settori. Le cooperative che aderiscono al Ccc sono 230 mentre 20 mila gli occupati nelle varie attività. Un colosso nato nel 1912 che si è aggiudicato lavori importanti, come l’alta velocità Milano-Bologna, il passante di Mestre o l’aeroporto Leonardo da Vinci di Roma.

Un ritmo di opere e appalti in cui ci sarebbero anche gli inciampi che hanno fatto drizzare negli ultimi mesi le orecchie alla magistratura. Sul fronte bolognese, c’è quello occorso al presidente del Ccc, Piero Collina, indagato la primavera scorsa nell’ambito dell’affare Civis, il tram su gomma a guida ottica da 140 milioni di euro mai realizzato e che ha chiamato in causa anche l’ex sindaco Giorgio Guazzaloca (a palazzo D’Accursio dal 1999 al 2004), accusato di corruzione.

Il secondo inciampo, invece, è il People Mover, una navetta su monorotaia che dovrebbe coprire il percorso stazione centrale-aeroporto impiegando 7 minuti e mezzo. Per questo progetto Ccc si è aggiudicata la realizzazione e una concessione di 35 anni, entrambe in carico a una società costituita ad hoc, la Marconi Express. Ma anche in questo caso la magistratura ha voluto vederci più a fondo e indagini della Corte dei Conti e della procura stanno infatti cercando di chiarire aspetti legati alla suddivisione degli importi dell’intervento (90 milioni di euro), oltre a ritardi e a modalità di gestione della gara d’appalto.

E poi un mese fa, a fine luglio 2011, lo scenario di sposta a Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia. Dalla procura di Monza il vicepresidente Degli Esposti è stato iscritto sul registro degli indagati perché – ipotizzano i magistrati – avrebbe fatto pagare una tangente da 2,4 milioni di euro al costruttore Giuseppe Pasini sotto forma di consulenze a due professionisti vicini alle coop rosse. ?Inoltre in questi giorni sono nate altre grane per il colosso delle cooperative.

Secondo i magistrati lombardi, Filippo Penati, ex sindaco di Sesto e vicepresidente dimissionario del Consiglio regionale lombardo (è stato anche presidente della Provincia di Milano), avrebbe imposto sempre a Pasini, proprietario dell’area Flack dal 2000 al 2005, la partecipazione delle cooperative emiliane al grande affare immobiliare e di versare una tangente di 20 miliardi di vecchie lire. Condizioni necessarie per poi garantire l’approvazione di un progetto di riqualificazione remunerativo. Cosa che però poi non avvenne.

Gli affari del dopo terremoto del 1980 e l’ombra della camorra. Ma guai giudiziari per il Consorzio cooperative costruzioni erano già sorti anni addietro. Stavolta la location cambia, ci si deve trasferire al sud, in Campania. E l’affare si lega alle opere per la ricostruzione del dopo terremoto che il 23 novembre 1980 rase al suolo anche la Basilicata. I processi, finiti per lo più con assoluzioni per la mancanza di prove che dimostrassero nello specifico connivenze con la criminalità organizzata locale, avevano però ricostruito un “sistema” (come viene definito sia negli atti giudiziari che in sede di commissione anfimafia) legato a un circolo poco virtuoso del calcestruzzo.

Secondo le ipotesi della procura di Napoli e di Nola, si sarebbe giocato su una diversa lavorazione dei derivati del cemento (da scarico libero a pompato, procedura più cara) che avrebbe fatto innalzare il costo degli interventi. E non di poco, in base ai punti da cui avevano preso le mosse i magistrati campani. Per esempio, per realizzare una variante lungo la Statale 268 del Vesuvio si era passati dagli iniziali 48 a 300 miliardi di lire mentre per la sistemazione del Canale Conte di Sarno l’oscillazione era stata da 15 a 501 miliardi.

I carabinieri del Ros di Napoli avevano seguito tracce informatiche e trasmissioni via fax del Consorzio cooperative costruzioni di Bologna e della Conscoop di Forlì perché – come dichiarò in sede d’udienza l’ufficiale dell’Arma Giuseppe De Donno – si voleva accertare se fatturassero “la fornitura del calcestruzzo in quantità maggiori rispetto a quelle impiegate o fatturavano una tipologia di lavoro piuttosto che un’altra” e se esistesse una documentazione contabile parallela non trasmessa alla magistratura.

Inoltre, come fece notare anche Luciano Violante in commissione antimafia, c’era il sospetto che tra i subappaltatori ci fossero aziende e personaggi legati alla camorra. Emerse, sia durante le indagini che nei processi, il nome della Agrobeton, riconducibile a Carmine Alfieri, e fu giudicato anomalo il modo con cui interventi come quelli sopra citati andarono alle cooperative emiliane, che avrebbero ai tempi beneficiato di un intervento diretto da parte del commissario straordinario del governo (il presidente della Regione), che godeva di poteri specifici nella gestione dei lavori pubblici.

Le assoluzioni: non vennero dimostrati l’associazione mafiosa e il concorso esterno. Quando le indagini si chiudono, per alcune ipotesi di reato (come la turbativa d’asta) è giunto il tempo delle prescrizioni e, per quanto rimane perseguibile, i diversi tronconi investigativi si trasformano in abbreviati e in riti normali. Gli emiliani vengono assolti per non aver commesso il fatto, sentenza che viene festeggiata da giornali come “Cooperazione italiana” nei termini di una vittoria. In sede di giudizio, infatti, non verranno dimostrati l’associazione di stampo mafioso e nemmeno il concorso esterno degli imprenditori o dei dirigenti inquisiti.

Filippo Beatrice, sostituto procuratore della Dda di Napoli, commenterà: “Le indagini hanno preso le mosse dalle dichiarazioni collaborative dei capi della camorra della provincia, in particolare di Carmine Alfieri, [...] arrestato nel settembre del 1992, e di Pasquale Galasso, suo luogotenente ma anche vero e proprio capo riconosciuto [...]. Erano state comunque individuate alcune irregolarità perché le procedure relative agli appalti non erano state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale ma soltanto in quella della Comunità europea […]. L’attività investigativa da noi svolta si è [tuttavia] incentrata più sull’aspetto camorristico che non su quello amministrativo”. Dunque niente associazione e concorso esterno, esclusi con una prima sentenza del 21 marzo 2002, confermata in secondo grado il 28 giugno 2004 e poi diventata definitiva.

di Antonella Beccaria e Nicola Lillo [FONTE]

martedì 27 settembre 2011

Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino 2!

Il guru di Repubblica che fa le pulci al Cav è nei guai per peculato

Nei suoi articoli se la prende con la destra materialista. Ma è indagato per aver fatto "bella vita" a spese dello Stato

La bella vita del moralista. Ce­ne in ristoranti esclusivi con i pa­renti fatti passare per colleghi di la­voro. Taxi a gogò trasformati in ma­teriale di cancelleria. Scampagna­t­e all’estero con i familiari nelle ve­sti di improbabili docenti. Aldo Schiavone, giurista, professore di diritto romano, intellettuale appol­laiato sulla rive gauche, è nei guai. Dalle colonne di Repubblica tuona­va come Savonarola contro il de­grado del Paese, trascinato alla de­riva da lregime berlusconiano. Nel­la vita di tutti i giorni aveva cancel­lato la distinzione fra pubblico e privato. Fra soldi suoi e soldi della collettività. O almeno questa è l’idea che si è fatta la procura di Fi­renze. Il pm Giulio Monferini ha ap­pena chiuso una lunga indagine che coinvolge Schiavone e altre set­te persone, collocate in punti stra­tegici del sistema accademico ita­liano. In sostanza la cricca avrebbe gestito spensieratamente il dena­ro del contribuente: la gestione dis­sennata, fra assunzioni pilotate di amici degli amici e benefit masche­rati di vario genere, ammontereb­be a 3 milioni di euro. Una cifra im­pressionante se si tiene conto che il periodo incriminato è tutto som­mato breve, dal 2006 al 2009. E ri­guarda solo uno spicchio del mon­do degli atenei fiorentini. In parti­colare l’inchiesta si concentra su tre enti d’eccellenza: l’Istituto di studi umanistici, Isu; l’Istituto ita­liano di scienze umane, Sum; il Consorzio interuniversitario di stu­di umanistici.
Tre centri d’alta formazione che la mentalità comune colloca volen­tieri in un ambiente rarefatto. Lon­tano dal mondo, dalle sue peggiori consuetudini e dalle sue tentazio­ni. Invece, secondo la procura di Fi­renze, che agli indagati contesta a vario titolo il peculato,l’abuso d’uf­ficio, la truffa aggravata e il favoreg­giamento, andava in un altro mo­do. E Schiavone, ex direttore del­l’Isu e del Sum, sarebbe al centro di questa storia.
Ma dai e dai, il moralista e i suoi amici sono inciampati, sempre che le accuse reggano al vaglio dell’udienza preliminare, nei loro ec­cessi. E nei loro lussi, mal mimetiz­zati. Le Fiamme gialle hanno mes­so insieme un libro intero di fattu­re, ricevute, scontrini irregolari. Millecinquecento documenti contraffatti che aprono uno squar­cio su un catalogo di furbizie e de­bolezze. Siamo, saremmo, il condi­zionale è d’obbligo, dalle parti di quell’Italia che predica contro la deriva dei costumi dal pulpito del­l’indignazione ma poi, al riparo della propria reputazione, arraffa quel che può.
Sembra impossibile, ma lo Schiavone sotto accusa è lo stesso Schiavone che su Repubblica ha ar­tigliato con toni apocalittici il regi­me berlusconiano incupendosi per lo sfascio di un paese senza re­gole. «Una nazione in dissolvimen­to morale - pontificava a febbraio dell’anno scorso-ormai in balia di una disastrosa deriva di comportamenti ». In un altro editoriale, inti­tolato addirittura «La politica co­me merce », Schiavone si esercitava sul passaggio di alcuni deputati dall’opposizione alla maggioranza di centrodestra per denunciare «qualcosa di più profondo, qualco­sa che attiene strutturalmente al berlusconismo». Ovvero, «l’idea della politica come merce, e non come regole e procedure; come semplice scambio e non come me­todo e come insieme di principi e valori non negoziabili». Alla fine di questo sottile ragionamento l’esi­mio professore tirava la sua sprezzante conclusione sotto forma di domanda retorica: «Se si è abituati a pensare che tutto quel che conta l’interezza delle nostre vite - passa attraverso il mercato, se tutto si può comprare e si può vendere in quanto ha il suo (giusto) prezzo, perché questo non deve riguarda­re anche l’ambito parlamentare?».
Chissà come commenterebbe Schiavone questa pagina di vergo­gna; ma, per il momento lo scanda­lo è in cortocircuito con il suo no­me prestigioso. La procura ha con­cluso il proprio lavoro: è stata rico­struita la mappa delle disinvolte spedizioni con mogli e parenti al se­­guito in Inghilterra, Turchia, Fran­cia, Stati Uniti. E sono saltati fuori rimborsi per missioni non previ­ste, indennità maggiorate, note spese firmate da docenti ignari presi di peso da Internet. Una serie di comportamenti inqualificabili. Il tutto mentre l’università si mobili­ta contro i tagli. I tempi sono grami, ma c’è chi trova il modo per rimpin­zarsi alla greppia dello Stato.

Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino!

Ma i democratici di sinistra non si dichiaravano diversi e superiori agli altri?
Leggendo i giornali degli ultimi tempi pare proprio che l'assunto predicato dai tempi di Berlinguer non sia vero, anzi l'esatto contrario. 
Sono peggio degli altri.

Abuso d’ufficio e spreco di denaro pubblico: nei guai a Firenze un docente ed esponente Pd.


La Guardia di Finanza di Firenze, nei giorni scorsi, ha chiuso l’indagine sull’Istituto di studi umanistici (Isu) di Firenze, sul Consorzio interuniversitario e dell’Istituto superiore di Scienze umane (Sum). Nei guai è finito un big del Pd, il professore Aldo Schiavone, accusato assieme ad altre sette persone.

La Guardia di finanza di Firenze, nei giorni scorsi, ha chiuso l’indagine sull’Istituto di studi umanistici (Isu) di Firenze, sul Consorzio interuniversitario e dell’Istituto superiore di Scienze umane (Sum). Nei guai è finito un big del Pd, il professore Aldo Schiavone (foto a lato), accusato assieme ad altre sette persone: il direttore amministrativo dell’università di Firenze, Michele Orefice, i due direttori amministrativi del Sum Antonio Cunzio e Loriano Bigi (già coinvolto nel mega buco di bilancio dell’ateneo senese), il funzionario amministrativo del Sum Giuliano De Stefani, il vicedirettore vicario del Sum Mario Citroni e la funzionaria amministrativa del Consorzio Interuniversitario, Daisy Sturmann. Sono sospettati, a vario titolo, di peculato, abuso d’ufficio, truffa aggravata e favoreggiamento personale.

In sintesi, ma molto in sintesi, dal 2005 al 2009 gli indagati — sostiene la Procura fiorentina — hanno speso oltre tre milioni di euro. Finanziamenti pubblici destinati agli enti universitari e che invece sono stati sistematicamente usati per viaggi, cene in ristoranti, pernottamenti in hotel di lusso, viaggi, spostamenti in taxi e anche per acquistare libri (come «La vampa d’agosto» di Camilleri).

Il procuratore capo Quattrocchi e il sostituto Monferini, nell’avviso di conclusione di indagine, ricostruiscono qualcosa come 1500 episodi di sprechi. Qualche esempio: per l’accusa i contratti stipulati nel 2007 con due professori sono in realtà “un compenso — annotano magistrati — che aveva come vera finalità l’organizzazione di un convengo a Washington”. Ma sono le cene e i pranzi a tenere banco: come quelli tra Schiavone e il veneto Massimo Cacciari, a Venezia. Oppure tra lo stesso Schiavone e il professor Prodi che scelgono la Cesarina di Bologna: l’ex direttore del Sum motiva la spesa per “il coordinamento della ricerca”, ma secondo la Finanza “tale motivazione non è prevista da alcun regolamento. Non è dato sapere quale sia il motivo del viaggio a Bologna, in agenda vi è solo l’impegno al ristorante”. Si pranza e si cena in mezza Italia e in mezzo mondo: per pagare poi si usa la carta di credito. A Venezia si va al mitico «Harrys’ Bar», a Firenze si opta, tra l’altro, per il «Cibreo», per la «Cantinetta Antinori» e per «Camillo»; a Roma si predilige «Fortunato al Pantheon»; a Napoli si sceglie «Zi Teresa». Ospiti vip, come nel caso del pranzo pagato 315 euro e 80 centesimi da «Romolo», a Roma, dove c’è pure Umberto Eco: “Il mandato di spesa — nota la Finanza — non ha alcuna motivazione”.

Non è che si scordasse di lasciare mance, Schiavone: non a caso paga 25 euro ai camerieri sempre con la carta di credito. E a Roma, nel 2006, paga sì gli extra dell’Hotel Eden (poco più di 10 euro) ma fa anche beneficenza all’Unicef: un euro. Ovviamente tutto a spese del Sum. Con quella carta di credito compra tutto, perfino i libri: “La vampa d’agosto” di Camilleri la trova alla Feltrinelli di Firenze, «La casta» la trova a Roma, «Le mythes de Platon» li seleziona in una libreria di Parigi. Paga con la carta di credito, ovviamente.

La difesa

Una nota firmata da Franco Cardini, Roberto Esposito, Nadia Fusini, Ernesto Galli della Loggia e Andrea Giardina viene diramata a difesa di Schiavone: i professori, oltre a esprimere «piena fiducia nell’accertamento della verità che sarà operato dalla magistratura», infatti si «dichiarano certi che l’Istituto in questi anni è stato amministrato in modo proprio e corretto».

I viaggi

Ma di istituzionale, a scorrere le carte della Procura, sembra esserci ben poco. Dalle carte infatti emergono viaggi e soggiorni all’estero con mogli, parenti, amici in hotel di Inghilterra, Francia e Usa. Uno dei più significativi è un viaggio a Istanbul. Un’amica di Schiavone, sentita a sommare informazioni, mette a verbale: “Io e lui eravamo in vacanza, abbiamo pranzato e cenato. Non ricordo che il professore avesse impegni di lavoro”. Come se non bastasse tra le spese contestate anche l’affitto di una limousine per un convegno a New York.

Il meccanismo

Come si è potuto andare avanti così per anni? I documenti contabili sarebbero stati modificati, occultati o smarriti. Oppure palesemente inventati come nel caso del pranzo tra Schiavone e Bettini a Lo Squero di Rimini, un pranzo motivato “col coordinamento della ricerca” ma in realtà per la Finanza “è un evento personale”. Di sicuro, ad esempio, sono state acquistate di 30 bottiglie di vino fatte passare per materiale di cancelleria.

L’abuso d’ufficio viene contestato sugli incarichi professionali a parenti e conoscenti con contratti per collaborazioni senza seguire «le procedure fondate su meccanisimi oggettivi e trasparenti che garantiscano l’imparzialità». Incarichi per attività a volte mai eseguite, e in molti casi a favore di persone prive di specifiche competenze e ingaggiate solo sulla base di un colloquio o dall’esame di un curriculum. Tra questi anche quello del 2005 a Ivana Orefice, figlia dell’ex direttore Michele Orefice. Alcuni bandi di concorso sono stati ritagliati ad hoc per assumere personale tecnico e amministrativo a tempo indeterminato, a svantaggio dei concorrenti provenienti dall’esterno.

I nuovi filoni
L’Università ha annunciato un’indagine interna. Ma è la Corte dei Conti che adesso sta mettendo mano a questa storia: si indaga per danno erariale e per danno di immagine.