domenica 30 gennaio 2011

Ecco una valida testimonianza su come agiscono gli "intellettuali di sinistra".

Michele Santoro
 Fin dai tempi delle 800 firme degli  intellettuali di sinistra contro il Commissario Calabresi, il cui animatore fu Adriano Sofri, segretario di Lotta Continua, che venne poi riconosciuto e condannato anche quale mandante dell'omicidio del Commissario, ed a quelle recenti a favore del pluriomicida Cesare Battisti, l'intervista fatta ieri, 29 gennaio, ad un noto giornalista estero - Martin Simek - definito il "Santoro" olandese,  chiarisce oltre ogni ragionevole dubbio quella che è la ramificazione internazionale di questa pseduo intellighezia democratica di sinistra,  capeggiata in Italia dal quotidiano la Repubblica, che ha fatto diventare un'arte, diffusa e coordinata insieme ad alcuni giornali esteri - il francese Le Monde, lo spagnolo El Pais ed il britannico Economist per citarne alcuni -.
Arte illustrata finemente nella lirica classica tratta dal Barbiere di Siviglia di G. Rossini:

La calunnia è un venticello
Un'auretta assai gentile
Che insensibile sottile
Leggermente dolcemente
Incomincia a sussurrar.
Piano piano terra terra
Sotto voce sibillando
Va scorrendo, va ronzando,
Nelle orecchie della gente
S'introduce destramente,
E le teste ed i cervelli
Fa stordire e fa gonfiar.
Dalla bocca fuori uscendo
Lo schiamazzo va crescendo:
Prende forza a poco a poco,
Scorre già di loco in loco,
Sembra il tuono, la tempesta
Che nel sen della foresta,
Va fischiando, brontolando,
E ti fa d'orror gelar.
Alla fin trabocca, e scoppia,
Si propaga si raddoppia
E produce un'esplosione
Come un colpo di cannone,
Un tremuoto, un temporale,
Un tumulto generale
Che fa l'aria rimbombar.
E il meschino calunniato
Avvilito, calpestato
Sotto il pubblico flagello
Per gran sorte va a crepar. 

L'intervista spiega esattamente questo meccanismo e sul come colpisce chi non si adegua ad esso.  

Martin Simek
 Anche il Santoro olandese bacchetta Annozero: "Regime in Italia? Non c'è mica il comunismo..."

Martin Simek è uno degli anchorman più famosi d'Olanda e si divide tra Amsterdam e le coste della Calabria: "Santoro? Non è un giornalista ma un attore che recita male la parte del conduttore. Nel mio Paese non gli permetterebbero di fare un programma così fazioso"

Conosce bene l'Italia (si divide tra Amsterdam e le coste della Calabria) ed è uno dei più noti giornalisti ed anchorman d'Olanda.

Martin Simek, che ne pensa di «Annozero»?
"Non mi piace. Questione di braccio".

Che braccio?
"Quello di Santoro, no? Avrà ben notato che per tutta la puntata non lo abbassa mai. Sempre lì a gesticolare...".

No, non l'avevo notato. Ma che c'entra?
"Quello è l'atteggiamento di un attore, non di un giornalista. Santoro recita, e male, la parte del conduttore. Come si fa a prendere sul serio uno che parla così... Dovrebbe prendere esempio da Celentano".

Il molleggiato?
"Certo. Lui sì che è affidabile: rilassato ma concentrato al tempo stesso. Quello che dice Celentano dallo schermo è genuino. Non dico che sia giusto o che la gente debba prenderlo per verità assoluta. Dico solo che quando Celentano dice una cosa, si vede che ci crede. E quindi induce il telespettatore ad ascoltarlo e a riflettere. E a trarre poi le proprie conclusioni autonome".

Come dovrebbe fare un buon giornalista.
"Già. Ma Santoro è l'opposto di questo. Lui non conduce un dibattito, ma fomenta lo scontro tra i vari ospiti. E tiene le redini del programma in modo da far passare per vera una tesi pregressa. Che, puntata dopo puntata, è sempre contro il vostro presidente del Consiglio".

A proposito del premier, lei gli ha appena dedicato un libro: "Berlusconi, una leadership moderna"
"Ma non sono un fan di Berlusconi".

Non lo metto in dubbio...
"Forse lei. Ma qui in Olanda io ho questa etichetta. Colpa di "Repubblica"".

Scusi?
"In genere in Olanda i giornalisti, ma accade in quasi tutto il nord Europa, quando devono parlare dell'Italia, leggono "Repubblica". E basta. Quindi chiunque tenti, come ho fatto io, di trattare il caso Berlusconi in modo freddo, distaccato, cercando di dare una visione analitica del fenomeno, e dunque senza parlare di regimi, viene indicato come fan del Cavaliere". 

Beh, il "regime italiano" e l'"allarme democratico" sono peraltro due cavalli di battaglia della retorica nei programmi di Santoro.
"Ma non scherziamo. Io sono fuggito da Praga, la mia città natale, a vent'anni, quando arrivarono i carrarmati sovietici. Quello sì che era un regime".

E la libertà d'espressione, secondo lei, in Italia è garantita a tutti?
"Il fatto stesso che Santoro faccia un programma del genere lo conferma. In Olanda del resto non glielo permetterebbero. Lo fermerebbero prima".

Nei libertarissimi Paesi Bassi?
"Certo. Ma questo vale per quasi tutti i vostri talk-show".


Perché?
"Tutti che urlano, si interrompono, non si capisce niente".

Non si salva nulla?
"L'ultima volta che la vostra tv mi ha interessato è stato il 14 dicembre scorso".

Che programma era?
"La diretta da Montecitorio delle dichiarazioni di voto di fiducia al governo. Non molto emozionante, ma almeno lì i politici potevano fare un discorso senza essere interrotti. Da voi questo non capita mai".

Mi permette un'ultima domanda?
Prego"

Ma ha lei Berlusconi piace?
"Non mi piace non mi dispiace"

Una risposta più democristiana che olandese.
"Allora, le farò un esempio. Io adoro il tennis. Da sempre. Ma il tennis di oggi non mi piace molto. Non c'è più eleganza, classe o stile".

Dunque?
"Ora, anche se il tennis moderno non mi piace, non potrei mai negare che Nadal sia un campione assoluto, un fuoriclasse. E' il giocatore perfetto per questo tipo di tennis".

Quindi Berlusconi è il più bravo dei politici in una fase però in cui la politica è brutta?
"Esatto. Aspettate e vedrete. Berlusconi è stato un precursore. I prossimi grandi leader saranno simili a lui".

di Matthias Pfaender

[Fonte

sabato 29 gennaio 2011

Qual'è e dov'è la verità?

Esattamente all'opposto di quello che dichiarano i signori giornalisti che sono presenti in questo video di Youtube.

Michele Santoro si sente il padrone della RAI TV e pretende di fare quello che vuole, ovvero raccontare a modo suo la cronaca, dimenticando che è un dipendente pubblico, che lavora per un servizio pubblico dal quale viene profumatamente e lautamente pagato da tutti i cittadini e non soltanto dalla sua parte politica.




giovedì 27 gennaio 2011

Ma chi ci crede più alla parola dell'ex camerata bolognese Gianfranco Fini? NESSUNO, o quasi tranne Bocchino e Briguglio!

Come un naufrago s’aggrappa alla sua zattera, così Fini s’aggrappa alla sua poltrona. Ben sapendo che è l’ultima cosa che gli resta per evitare l’immersione definitiva nel mare di guai che lo circonda. Sta andando a fondo e lo sa: sconfitto ieri sulla mozione Bondi, così come era stato sconfitto il mese scorso sulla sfiducia a Berlusconi, debole in Parlamento e inesistente fuori, inseguito fino dentro la cucina dalle ombre di Montecarlo, sbugiardato pubblicamente, affossato dai sondaggi e incapace di mantenere fede alla parola data, il leader che doveva essere il collante del nuovo centrodestra, riesce al massimo ad essere il collante del suo fondoschiena. S’appiccica alla cadrega, manco fosse il Vinavil, nella speranza di non perdere pure quella, dal momento che tutto il resto ormai l’ha perso. A cominciare dalla faccia.

E fa un certo effetto pensare che l’uomo che doveva fare a pezzi Berlusconi, ormai non ha null’altro che quello che gli ha dato Berlusconi: se in politica l’ingratitudine si potesse misurare, avrebbe la dimensione dello scranno più alto di Montecitorio. Le folle che applaudivano il presidente della Camera in Umbria sono svanite, il movimento sbanda, i sondaggi ormai rilevano percentuali da partito dei pensionati, gli alleati, a cominciare da Casini, si chiedono se non hanno sbagliato matrimonio, come quei mariti che scelgono le mogli per corrispondenza in Moldavia e poi si accorgono che non sono proprio un esempio di virtù. L’unica cosa vera che resta a Fini è quella che gli ha dato Berlusconi: la poltrona della sua vanità. Tra un po’ se la porterà anche a letto per paura che qualcuno gliela sfili via mentre dorme, lasciandolo col culo per terra, ancor più di quello che è già.
«Mio cognato mi ha detto che non c’entra niente con quelle società off shore», ha detto alla Stampa Fini. Ma certo. Poi magari gli ha anche raccontato che Santa Lucia è il nome del prossimo ospite del Festival di Sanremo, l’appartamento di Montecarlo è stato comprato da Mago Zurlì e che sopra al Principato ci sono i Tulliani che volano. Per carità, a tutto si può credere, persino che Bocchino possa guidare un partito. Ma nelle file dei finiani il nervosismo dilaga: si rendono tutti conto che la difesa non sta in piedi. E che si sono affidati a uno che perde regolarmente tutte le sue battaglie, portando i seguaci a schiantarsi, senza salvare niente e nessuno. A parte la sua poltrona, va da sé.

Ma che ci fa adesso con la poltrona, l’uomo che doveva dare un volto nuovo al centrodestra? Ha provato in tutti i modi a costruire qualcosa da quella posizione privilegiata, e l’ha fatto pure a costo di mettere a rischio l’istituzione che rappresenta, l’ha fatto usando i soldi della Camera per girare l’Italia a fare propaganda di partito, l’ha fatto svilendo l’imparzialità della sua funzione in una serie infinita di giochi faziosi. Ha usato e abusato di tutto, e che cosa ha ottenuto in cambio? Una sconfitta via l’altra. Povero Fini: voleva essere più grande di Aznar e Sarkozy messi insieme. Non riesce nemmeno ad essere il fratello scarso di Rutelli.

E colpisce adesso vedere come s’abbarbica alla seggiolina, ben sapendo che non gli resta altro. Il suo partito chiede le dimissioni di Berlusconi, Bondi, Calderoli, Minzolini, tra un po’ chiedono le dimissioni pure del ct della Nazionale e del direttore dell’Osservatore Romano. L’unico che pensa di non doversi dimettere è lui. E il suo fedele Briguglio, che per non essere da meno del capo, s’è incollato alla poltrona del Copasir. Che ci volete fare? Ormai il partito finiano non cerca più adesioni: cerca adesivi. Futuro, Libertà e Coccoina. Nei momenti difficili, si sa, ci si attacca a quello che si ha. E a Gianfranco non è rimasto più molto, a parte un cognato piuttosto imbarazzante.
D’altra parte, mettetevi nei suoi panni: se ora perde l’incarico di Montecitorio, quale futuro lo aspetta? Che incarico gli possono affidare? Assessore al traffico di Calamandrana Alta? Portaborse della Palombelli? Autore di testi televisivi per la suocera? «Se la casa di Montecarlo è di Tulliani, lascio» aveva dichiarato a settembre. Ecco, appunto: la casa è di Tulliani, ma lui si guarda bene dal lasciare. Tutt’altro. Si crogiola nel suo egotismo e continua a far finta di essere importante. Di faticare non ha mai avuto voglia, di presenziare ai lavori parlamentari nemmeno. In compenso gli piacciono le cerimonie in cui usa la poltroncina per specchiare la sua vanità: in poche ore infatti ha celebrato Tullia Zevi, Enrico Micheli e Mario Scaccia. Tre defunti, tre orazioni funebri: più che la Camera, una camera ardente. Perfettamente in sintonia, del resto, con il suo destino di uomo politicamente morto.

Per gli smemorati alla Totò:  qui c'è il video della dichiarazione di Fini che si sarebbe dimesso se la casa di Monte Carlo sarebbe risultata di proprietà del cognato.   

[Fonte


Ecco come i pm hanno salvato Gianfranco e famiglia
 


L'hanno indagato il giorno della richiesta di archiviazione. E non hanno sentito né lui né il cognato. Le carte arrivate alla farnesina da Saint Lucia hanno spiazzato la Procura. Che non le aveva richieste.

Non è che bisogna pensar male per forza. Ma se si mettono a confronto i fatti, la disparità di trattamento fra Berlusconi e Fini è palese. Prendete Montecarlo. Il presidente della Camera e soprattutto suo cognato, Giancarlo Tulliani, parti attive e reticenti dell’affaire, non sono mai stati, dicasi mai, sentiti dagli inquirenti. Né come indagati né come persone informate sui fatti. Comportamento a dir poco inusuale quello dei pm romani, che a verbale si sono preoccupati di ascoltare soggetti vicini all’ex presidente di An ma non colui che un ruolo nel pasticciaccio monegasco l’ha comunque ricoperto. A dirla tutta Fini è stato poi iscritto nel registro degli indagati, ma fuori tempo massimo. E a differenza di quel accade solitamente durante le inchieste «politiche», la notizia dell’iscrizione non è trapelata.

Come mai? E come mai è stato iscritto a modello 21 per il reato di truffa insieme al tesoriere Francesco Pontone (lui sì, invece, costretto a sfilare a piazzale Clodio) solo al momento di richiedere l’archiviazione? Visti gli scivoloni dell’ex delfino di Almirante, i maligni pensano che a Fini sia stato evitato l’imbarazzo dell’interrogatorio per due ordini di motivi: da indagato, avrebbe potuto avvalersi della facoltà di non rispondere o anche di mentire, ma in entrambi i casi ne sarebbe uscito a pezzi. Come testimone, invece, sarebbe stato obbligato a dire la verità, e in caso di menzogna sarebbe finito sotto processo per falsa testimonianza. E così il cognato. Salvati tutti e due, dunque, dall’incriminazione e dalla gogna mediatica.
Un modo di procedere curioso soprattutto verso Giancarlo Tulliani. Lui suggerisce a Fini di vendere l’immobile, lui è «in contatto» con la società off-shore che acquista la casa da An, lui da inquilino supervisiona i lavori di ristrutturazione, ed è in contatto anche con la seconda società off-shore proprietaria dell’immobile dove il giovane vive in affitto. Diciamo «soprattutto» alla luce di quanto riportato ieri dal Corriere della sera sulla convinzione dei magistrati romani che la proprietà dell’appartamento sia del celeberrimo cognato. C’è da chiedersi inoltre perché la procura di Roma fece trapelare la notizia che il famoso contratto d’affitto scovato dal Giornale con le due firme identiche nella parte del proprietario e dell’affittuario, riportava invece «due firme diverse». Finiani e giornali sinistri inveirono contro la macchina del fango, salvo poi essere sonoramente smentiti dagli stessi pm che nell’atto di chiusura indagini confermarono che le firme erano identiche. A dimostrazione che l’affittuario e il proprietario (e viceversa) erano la stessa persona. Sul punto la procura non s’è preoccupata di disporre una perizia calligrafica, che invece il Giornale commissionò a due esperti. Di più. I pm si sono mossi in modo anomalo: dapprima con due rogatorie su Montecarlo per sapere se il prezzo di vendita dell’immobile era stato «congruo» o meno. 

A detta delle toghe era fondamentale capire se la casa era stata svenduta. Ma quando la risposta delle autorità monegasche è arrivata sul tavolo del procuratore capo Ferrara s’è capito che per Fini si sarebbe messa male: l’appartamento acquistato dalle società off-shore di Saint Lucia, secondo stime dell’epoca ricostruite dall’associazione degli agenti immobiliari di Monaco, era stato venduto a un valore tre volte inferiore rispetto alle stime di mercato. Sembrava finita per il presidente della Camera. E invece, a sorpresa, dopo aver sprecato tempo e denaro per svolgere accertamenti approfonditi ipotizzando il reato di truffa (rogatorie a Montecarlo, perquisizioni nella sede del partito in via della Scrofa) improvvisamente le toghe capitoline si sono rese conto che quanto fatto fin lì non andava fatto essendo palese la «non competenza penale» a indagare trattandosi, invece, di materia da codice civile. 

«Qualsivoglia doglianza sulla vendita prezzo inferiore - scrivevano i pm - non compete al giudice penale ed è eventualmente sanzionabile nella competente sede civile...». 

E ancora. La procura, in un suo comunicato, s’è preoccupata di mettere nero su bianco lo stato «fatiscente» dell’appartamento basandosi esclusivamente sulle parole di persone vicine al presidente della Camera (il deputato Donato Lamorte e altri) e non su quanto riferito in senso inverso da altri testimoni oculari che in quell’appartamento ci sono stati di persona. Perché? E perché l’ufficio del procuratore Ferrara non ha sentito il bisogno di ascoltare le persone che pubblicamente hanno dato la loro disponibilità a confidarsi con la magistratura (il titolare della Tecabat che svolse i lavori di ristrutturazione, gli impiegati del mobilificio che vendettero la cucina Scavolini a Elisabetta e Gianfranco, l’imprenditore Garzelli in possesso di clamorose mail inviate dalla compagna di Fini, e così via)? Perché la procura non ha approfondito il giallo delle altre richieste d’acquisto dell’immobile, documentate dalla stessa autorità giudiziaria e confermate dal tesoriere Pontone, a cui il partito non ha dato seguito? Prendendo in prestito il pensiero corrente riassunto dal sito Dagospia, stavolta è andata a segno «l’infallibile ricetta di piazzale Clodio: domande non fare, risposte non avere». Questo spiegherebbe la sorpresa dei vertici di piazzale Clodio alla notizia dell’arrivo, via Farnesina, delle conclusioni delle indagini del ministero della giustizia di Saint Lucia che incastrerebbero definitivamente Giancarlo Tulliani: «Ma noi mica le abbiamo richieste...».

di Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica

[Fonte]  

martedì 25 gennaio 2011

Fini: indagata la escort 'Rachele'

Un SOGNO? 
La velocità della Giustizia uguale per tutti, e quindi poter leggere al posto del nome del bolognese Gianfranco Fini, il nome del milanese Silvio Berlusconi e, meglio ancora, il nome di un cittadino Italiano qualunque che aspetta di ricevere Giustizia da anni.


 Fini: indagata la escort 'Rachele'
 Pm, per diffamazione e concorso in tentata estorsione
Lucia Rizzo, la escort nota come 'Rachele', che sostiene di avere avuto rapporti sessuali con Gianfranco Fini, e' indagata dalla Procura di Roma per diffamazione e concorso in tentata estorsione. L'iscrizione nel registro degli indagati e' scattata dopo la querela presentata dal presidente della Camera. Indagato, per tentata estorsione, anche un uomo il quale avrebbe contattato la segreteria di Fini annunciando che ci sarebbero state delle rivelazioni a proposito della presunta relazione.

  
 [Fonte

sabato 22 gennaio 2011

Pubblico senza alcun commento, condividendo quanto scritto dall'articolista del quotidiano.


Quelli che senza B. non esistono
Da Fini a Di Pietro a Grillo: hanno qualcosa da dire solo se attaccano il premier. Se il Cavaliere cade o decide di abbandonare la politica, Travaglio, Santoro, Litizzetto e Fazio sarebbero meno ricchi.
Gianfranco Fini Leggendo il faldone di intercettazioni sul Ruby-gate si deduce che il Cavaliere era diventato un
bancomat per le stelle e stelline che volevano brillare nella notte di Arcore. Senza Silvio non si mangia, si scrivevano sui telefonini quelle brave ragazze sempre al verde. Ma quanti sono quelli che campano con il Cav? Quanti crociati dell'antiberlusconismo ossessivo rimarrebbero a secco di benzina se domattina ci svegliassimo e Silvio non ci fosse più?
L'elenco è lungo. Partiamo dal Palazzo dove si agita la ciurma di naufraghi della politica senza uno straccio di idea se non quella di fare opposizione a Berlusconi, che si nutrono di colui che combattono: senza il Cavaliere perderebbero la bussola e si smarrirebbero nelle nebbie. A cominciare da Gianfranco Fini costretto ormai da mesi a fare il doppio turno alla catena di montaggio anti-Cav: il leader di Futuro e Libertà attraversa la penisola a caccia di nuovi adepti in vista dell'assemblea costituente di febbraio, a ogni fermata parte la predica. Ma se attacca Berlusconi sono applausi, se parla del programma son sbadigli.
Nel day after Silvio, Bocchino la sera rimarrebbe a casa a guardare la televisione invece che starci tutte le sere dentro e i think-thank di Generazione Italia e Fare Futuro diventerebbero un laboratorio di ceramica. La bomba atomica del dopo Silvio devasterebbe tutto il Terzo polo dove anche Casini e Rutelli rischiano di rimanere senza lavoro e senza punti di riferimento. Perché sotto sotto lo invidiano, lo odiano perché non possono essere come lui. La stessa ipotesi della triplice alleanza poteva essere percorribile solo a condizione di mandare a casa Berlusconi. Era la condizione necessaria e sufficiente a far deflagrare la politica italiana. Ma è fallita.
Alla lista si aggiunge chi gli deve lo sdoganamento, chi il piede libero. Chi gli deve gli aiuti di Stato, chi il lavoro per la moglie. Quelli che è tutto un «si deve dimettere», ad un «bisogna voltare pagina», da un «il PdL è finito», al sempreverde «il berlusconismo è acqua passata». Se non ci fosse Silvio, Di Pietro farebbe scena muta in Parlamento e l'Italia dei Valori perderebbe la sua ragione sociale. Certo, Tonino può sempre rifarsi con la missione di togliere voti al Pd: ci campa da tre anni. E infatti ci sono i Bersani, i Veltroni, i Franceschini, i D'Alema che sperano in un futuro senza Berlusconi per tornare al governo ma che se tornassero al governo avrebbero pure il coraggio di ammettere che con un'opposizione senza Silvio non sanno proprio come governare. Perché buttandola in filosofia spiccia, il Cav fa comodo alla sinistra che ha fatto dell'odio per Berlusconi un progetto politico, perché è la causa di tutti i mali e chi non gli fa l guerra come si conviene è egli stesso un male, è il capro espiatorio perfetto per anni di insuccessi e di fallimenti ideologici. Dar la colpa a Berlusconi è più facile che cercare la propria. Anche sui giornali chi tiene famiglia ma campa sul Berluska dovrà trovarsi una nuova collocazione. Che fine farebbero le penne anti-Cav che pubblicano libri sulle testate mondadoriane di Berlusconi e che ricevono lo stipendio anche grazie ai contributi pubblici erogati generosamente dal governo Berlusconi? E in tv chi telefonerà a Ballarò? Cosa racconteranno Travaglio e Santoro il giovedì sera ad Annozero? Come farà Vauro a rimpiazzare il nano nelle vignette? Come farà Grillo a riempire le piazze nel V-day senza un Silvio da mandare a quel Paese? E una Littizzetto orfana del Presidente costretta a parlare solo di Walter e di Iolande? E Fazio? E una Guzzanti costretta a perdere la faccia? E Benigni? E Paolo Rossi? Come si ricollocheranno tutti quegli onesti lavoratori che sul «mi consenta» hanno costruito una carriera, comici, attori, scrittori, che venderebbero meno libri, meno dvd, farebbero meno share, meno biglietti a teatro? E anche nei salotti dei fighetti di sinistra, immaginatevi lo psicodramma. Comitive di amici che si sfasciano. Gruppi di Facebook che si scindono. Chat di adepti che si pongono di fronte al dilemma: torniamo a prendercela con Bersani?
«Berlusconi e il berlusconismo sono il punto di riferimento più forte dell'antiberlusconismo», ha ammesso qualche giorno fa il sindaco di Firenze Matteo Renzi che tanto di destra non è ma sa usare il cervello. Perché anche i detrattori ossessivo-compulsivi devono ammettere che dopo Silvio niente sarà come prima. E cosa c'è dopo? Buio fitto. Se Berlusconi passerà, passeranno con lui anche gli antiberlusconiani a tempo pieno, i duri e puri dell'opposizione, i santoristi satellitari e i Reportisti, i kamikaze del popolo Viola. Quelli che non si arrenderanno mai. 
Ma gli conviene davvero?

mercoledì 19 gennaio 2011

Adesso vediamo dal vivo il reale pensiero di Vittorio Feltri e Bruno Vespa

Posto alcuni spezzoni delle interviste fatte, durante il Cortina Incontra, al direttore editoriale di Libero, Vittorio Feltri, dai quali si apprende dalla sua viva voce quello che disse, naturalmente cose ben diverse da quanto riportato dai soliti giornali e riviste italiote, e gli spezzoni di Bruno Vespa realizzati sullo stesso proscenio.

Per vedere i filmati su Youtube basta cliccarci sopra. 

1°-  Feltri parla del presidente della Camera Gianfranco Fini. 

 
2° - Feltri parla  della riforma Gelmini

 
3° - Feltri parla della gioiosa macchina da guerra del PDS di Occhetto 

 
4° - Feltri nomina i peggiori politici italiani del dopoguerra 

 
 5° - Feltri parla della possibilità di Berlusconi presidente della Repubblica

 
6° - Bruno Vespa parla delle riforme da fare

 
 7° - Vespa: lavorare con Berlusconi è complicato

 
8° - Vespa cita la classifica dei 4 sessuomani dall'unità d'Italia ad oggi

 
9° -  Vespa parla dello scontro fra Garibaldi e Cavour



Il refendum tenuto nella FIAT di Mirafiori l'ha vinto la FIOMM-CGIL?

Sembrerebbe di sì, stando al tenore delle dichiarazioni del segretario Landini della FIOMM e della segretaria Susanna Camusso della CGIL.

Un “sì” che umilia la sinistra

Vince chi prende più voti. 
Ma non in Italia per i compagni della FIOMM e della CGIL.
Accade e viene riconosciuto non soltanto in tutte le democrazie del mondo, ma anche in ogni libera associazione, perfino nelle bocciofile emiliane tanto care a Bersani. A Mirafiori il 54% dei dipendenti ha detto sì all’accordo per nuovi investimenti e il 46% ha detto no. Eppure larga parte della sinistra ha festeggiato e brindato.
Sindacalisti, politici, intellettuali e giornalisti hanno raccontato perché e per come ha perso chi ha vinto, con un singolare rovesciamento del significato del voto e quindi della stessa regola principe della democrazia partecipata. Si è parlato di risultato “sul filo del rasoio” (otto punti di differenza non sono proprio niente), si è ragionato di lavoratori, quelli del sì, privi di dignità e orgoglio (“uomini e no” il titolo del quotidiano il Fatto di MArco Travaglio), si è scritto che “hanno detto no quasi tutti” (ma la direttora dell’Unità sa far di conto?), hanno insomma fotografato il referendum applicando il filtro rosso dell’ideologia salottiera di sinistra, grazie al quale il voto “amico” è “più responsabile” e come tale vale doppio.

Viva l'Italia.

martedì 18 gennaio 2011

Perchè Berlusconi dovrebbe dimettersi se un "garantista" come De Magistris non lo fa?

Siamo arrivati al punto di non ritorno con la questione delle procure della Repubblica, magistratura inquirente e quindi ordine al servizio dello Stato, divenute invece un "potere" non previsto dalla Costituzione che non rende conto a nessuno del suo operato e dei suoi errori, né ai superiori gerarchici, né tantomeno al Parlamento e quindi a noi cittadini.

Il referendum col quale noi Italiani sancimmo che dovevano essere i magistrati a pagare i loro errori è stato aggirato da una legge creata ad hoc dai nostri politicanti.  

Processi monstre, durati anni e costati decine di miliardi, sono finiti con l'assoluzione dell'imputato che alcune procure volevano vedere condannato a tutti i costi e contro ogni ragione. Allafine a pagare è stato lo Stato e non i diretti responsabili dell'errore.

 Adesso con l'ennesimo processo contro il presidente del Consiglio con un'accusa incredibile e alquanto risibile sul piano umano siamo arrivati al redde rationem politico del tentativo di prendere il potere senza la legittimazione popolare.
In testa i bolognesi Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini a fare da spalla all'ex compagno Bersani, segretario del PD.

A questi signori segnalo che il presidente del consiglio, a mio parere, dovrebbe comportarsi come l'ex pm De Magistris, ora deputato europeo nel partito dell'ex tutto, Di Pietro, l'IDV. 

 Ora è De Magistris a finire nel mirino dei giudici Ma lui si ricicla garantista: "Sereno, non lascio"

Dopo il rinvio a giudizio a Salerno, anche la procura di Roma chiede di processare l’eurodeputato Idv: come toga avrebbe intercettato illegalmente alcuni parlamentari. Secondo il codice etico del suo partito dovrebbe autosospendersi. Anche Travaglio gli suggerisce "un passo indietro"

Roma - E siamo a due. A novembre è stato rinviato a giudizio dalla procura di Salerno per omissione di atti d’ufficio, due giorni fa anche la procura di Roma ha chiesto per lui il rinvio a giudizio, stavolta per abuso d’ufficio. Il 2010 è finito male e il 2011 comincia peggio per Luigi De Magistris, dipietrista per caso. Dopo una sfilza impressionante di flop giudiziari, come pm, il grillo parlante (tra grilli parlanti e grillini) dell’Idv rischia di ripetere i buchi nell’acqua anche nel suo nuovo mestiere. Da accusatore di candidati indagati (anche nel suo partito) e predicatore di questioni morali da risolvere (nel suo partito), De Magistris si ritrova eletto e indagato e contestato, ma con la ferma intenzione di non fare neppure mezzo passo indietro, proprio come gli indagati contro cui si scaglia. Anche se il cosiddetto codice etico dell’Idv (una chimera da barzelletta...), all’articolo 2, vieta che un iscritto, candidato o eletto dell’Idv possa mantenere l’incarico «quando sia stato emesso decreto che dispone il giudizio», e anche se persino il suo amico Travaglio gli ha consigliato la «mossa preventiva ed elegante» di autosospendersi dall’Idv «fino alla sentenza». Tutto inutile, non ci pensa proprio.
E ora c’è pure la nuova grana. Il procuratore aggiunto di Roma, Alberto Caperna, e il pm Caterina Caputo, chiedono il processo per l’ex pm De Magistris (in concorso con Gioacchino Genchi) per aver «acquisito, elaborato e trattato illecitamente (cioè senza chiedere l’autorizzazione alla Camera, ndr) i tabulati telefonici relativi a membri del Parlamento», tra cui Prodi, Mastella, Rutelli e altri. Lui su Facebook fa sapere che andrà dai giudici e anzi che lo farà «con animo assolutamente sereno». Un bell’esempio di rispetto delle istituzioni. Peccato che due righe dopo parta la filippica complottistica sulla giustizia a orologeria nei suoi confronti: «Ho pagato e pago un prezzo salatissimo per aver svolto inchieste che hanno intaccato il potere nella sua accezione più vasta». Insomma sempre viva la magistratura ma se toccano De Magistris è perché ce l’hanno con lui.
Del resto, quando è stato rinviato a giudizio a Salerno, alle domande del Corriere del Mezzogiorno ha risposto con argomenti sorprendenti per un giustizialista sostenitore delle «liste pulite» come lui. Spiegava, perfettamente in linea con il Pdl, di non avere la minima intenzione di dimettersi perché «che facciamo, lasciamo che ogni denuncia blocchi l’attività politica?». Urge un Lodo De Magistris, o almeno un legittimo impedimento anche per lui. E poi «attenti a dire che ogni azione della magistratura va presa per oro colato», ammoniva l’eurodeputato, improvvisamente garantista. E il processo che vedrà lui come imputato? «È un clamoroso errore giudiziario», diceva prendendo a prestito qualche dichiarazione dello studio Ghedini.
È noto, già che ci siamo, come De Magistris, il nemico degli scudi e l’amico dei magistrati, si sia recentemente premurato di sfruttare l’immunità garantita ai parlamentari europei, così da sottrarsi, grazie al deprecato privilegio, alla causa intentatagli da Clemente Mastella (definito a suo tempo grosso modo un criminale, ma era una semplice «espressione politica» secondo De Magistris. «È l’unico che applica il Lodo Alfano», gli ha replicato l’altro). Doppiezze e goffaggini che gli hanno procurato una quantità enorme di nemici anche dentro l’Idv, che lui frequentemente critica - però con due anni di ritardo rispetto ai giornali di centrodestra - per l’assenza di trasparenza e per le ambiguità nella scelta dei candidati. Pare che Di Pietro gli stia preparando la festa per il prossimo esecutivo nazionale, dove si faranno approvare delle risoluzioni che confermeranno la piena fiducia a Tonino, affossando la «questione morale» sbandierata da De Magistris, cioè di fatto sfiduciandolo. E lui? Niente, aspetta e aspetterà. Dicono guardi a Vendola, ma non è chiaro se Vendola guardi a lui. Nell’incertezza, non si muove. Forse meglio così, perché quando lo fa tende a produrre danni. Basta vedere la fine di Why not, la super-inchiesta che metteva insieme tutto, genere serie tv, dalla mafia alle logge massoniche agli affaristi ai politici corrotti. Risultato: centocinquanta persone indagate e sputtanate, otto condanne in tutto, diversi milioni bruciati per «un’affascinante rappresentazione di inquietanti realtà occulte di poteri superiori» (scrisse il gup) che è stato un flop con pochi precedenti. Attenzione, sembra proprio che De Magistris voglia ripetersi con la politica.

di Paolo Bracalini

[Fonte

 

venerdì 14 gennaio 2011

Quando finirà questa vergogna?

Subito dopo la sentenza ghigliottina, l'ennesima, della Corte costituzionale che di fatto lascia campo libero alla magistratura di giudicare se il primo ministro del nostro Paese ha impegni istituzionali oppure no, la Procura della repubblica di Milano tira fuori l'asso di mazza, uno dei tanti che ha nel cassetto pronto ad infangare ancora il presidente del consiglio in carica, la cui unica colpa è quella di aver impedito alla gioiosa macchina da guerra dell'allora PDS, già PCI di Occhetto, tre lustri addietro, di "prendere democraticamente" il potere. 

MILANO - La Procura di Milano ha indagato Silvio Berlusconi per le ipotesi di reato di «concussione» e di «prostituzione minorile» e gli ha inviato un invito a comparire per l'interrogatorio dal pm tra il 21 e il 23 gennaio. I legali di Berlusconi però replicano che la Procura di Milano non è competente».
RITO IMMEDIATO - La procura di Milano ha intenzione di chiedere il processo con rito immediato, che salta la fase dell'udienza preliminare. Questo si evince dallo stesso comunicato stampa reso noto stamani dalla Procura. Per chiedere il rito immediato serve l'evidenza della prova, che in questo caso esiste secondo gli inquirenti, e un tempo d'indagine non superiore ai tre mesi. Berlusconi è stato iscritto nel registro degli indagati per prostituzione minorile e concussione il 21 dicembre scorso.
 [Fonte]

Quale persona di buon senso può credere a simili capi d'incolpazione?
Ritengo nessuna, a meno che non sia un nemico politico diretto/indiretto di Berlusconi. 

Riporto quanto affermato nella telefonata a Radio Città Futura dall'on. Giorgio Stracquadanio, deputato del PdL, le cui dichiarazioni condivido pienamente.

«La procura di Milano è una vergogna nazionale: aspettavano la sentenza della Corte Costituzionale per tirare fuori questa porcheria da voyeur, ma se pensano di farci la guerra giudiziaria con queste armi si sbagliano di grosso», ha detto a Radio Città Futura, Giorgio Stracquadanio, deputato del Pdl, a proposito della notizia che Silvio Berlusconi è indagato a Milano per concussione e prostituzione minorile in relazione al caso Ruby. «Questi talebani dei magistrati di Milano pensano che la sentenza della Consulta sia il lasciapassare per i loro atti teppistici», ha accusato Stracquadanio, che punta il dito in particolare contro il procuratore aggiunto Pietro Forno. «Il dottor Forno - è il giudizio di Stracquadanio - è un delinquente comune che già in passato ha accusato innocenti di nefandezze - accusa l'esponente del Pdl - doveva essere assicurato alla giustizia da tempo, quando accusò il padre di una bambina di averla violentata e invece la figlia soffriva di un tumore. Allora doveva essere radiato dall'albo e invece è stato promosso e mantiene la titolarità dei reati sessuali». Secondo Stracquadanio, l'accusa di sfruttamento della prostituzione minorile è «assolutamente indecente» e la risposta sul piano politico non può essere quella di andare alle elezioni. «Urge la riforma della giustizia - afferma - non solo per la maggioranza ma per tutti, per difendere le istituzioni. Mi aspetterei un sussulto democratico dal Pd». [Fonte

Chi volesse approfondire sull'operato del signor Forno, e ne vale la pena,  può leggere qui tutti le storie e gli articoli che lo riguardano. 

 Immediatamente, come di routine, sono arrivati i commenti dei politicanti italici, fra i quali spicca quello di questo signore, che ha perso un'altra occasione per tacere, già sindaco di Palermo e già paladino dell'antimafia, ed ora deputato e portavoce del partito del signor ex tutto Di Pietro, l'Italia dei Valori (quali?), che ha dichiarato:
«Berlusconi si rassegni: d'ora in poi dovrà difendersi nei processi come un normale cittadino. La smetta quindi di insultare, minacciare e offendere giudici e magistrati con parole eversive e pericolose. L'ennesimo attacco ai pm è un copione triste e consumato: Berlusconi risparmi il fiato, gli servirà per difendersi in tribunale». Lo afferma il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando. [Fonte

A questo punto urge un richiamo alla memoria per non dimenticare chi è il signor Leoluca Orlando Cascio (come preferiva denominarlo il Presidente emerito Francesco Cossiga), ora deputato e portavoce dell'ex tutto Di Pietro.

Vi invito ad andare a leggere il forum di Marco Travaglio dove ne leggerete di cotte e di crude su questo paladino dei diritti ed ora riciclato come deputato e portavoce dell'IDV.
Vi anticipo qualcosa di quello che fu uno scandalo nazionale per la ribalta del proscenio che ebbe e le sue funeste conseguenze per le "mirate ed infamanti" affermazioni di Leoluca Orlando Cascio, senza averne nessuna conseguenza, al contrario dell'attuale presidente del Consiglio che ad ogni stormir di fronda viene indagato con le accuse più fantasiose ed infamanti. 

La calunnia è un venticello
Un'auretta assai gentile
Che insensibile sottile
Leggermente dolcemente
Incomincia a sussurrar.
Piano piano terra terra
Sotto voce sibillando
Va scorrendo, va ronzando,
Nelle orecchie della gente
S'introduce destramente,
E le teste ed i cervelli
Fa stordire e fa gonfiar.
Dalla bocca fuori uscendo
Lo schiamazzo va crescendo:
Prende forza a poco a poco,
Scorre già di loco in loco,
Sembra il tuono, la tempesta
Che nel sen della foresta,
Va fischiando, brontolando,
E ti fa d'orror gelar.
Alla fin trabocca, e scoppia,
Si propaga si raddoppia
E produce un'esplosione
Come un colpo di cannone,
Un tremuoto, un temporale,
Un tumulto generale
Che fa l'aria rimbombar.
E il meschino calunniato
Avvilito, calpestato
Sotto il pubblico flagello
Per gran sorte va a crepar.


Rossini - Il Barbiere di Siviglia  

Choc in Sicilia, processo alla trasmissione " Tempo reale " : basta con i linciaggi via video.
Carabiniere suicida, fu accusato in tv: Il sindaco Orlando disse da Santoro: quel sottufficiale e' sospetto, indagate.

Il maresciallo dei carabinieri Antonino Lombardo, comandante della stazione CC di Terrasini si uccide e lascia una lettera: non sono colluso coi mafiosi, cercate la verita' nei miei viaggi USA. Il comandante dell' Arma: show TV intollerabile.

Il maresciallo dei carabinieri Antonino Lombardo, accusato di complicità con la mafia in diretta tv dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando e dal sindaco di Terrasini Manlio Mele, si è ucciso con un colpo di pistola alla tempia. E in Sicilia e' di nuovo choc. In una lettera il maresciallo che lavorò per trent'anni a Terrasini spiega il suo gesto e respinge le accuse di collusione con la Piovra. Poi scrive: cercate la verità nei miei viaggi in USA. Sembra che, oltre ad avere collaborato nell' arresto di Totò Riina, il maresciallo da otto mesi chiamato a far parte del Ros stesse lavorando per la cattura di un altro superlatitante, riprendendo i contatti con il boss Gaetano Badalamenti, recluso negli Stati Uniti. Un suo imminente ritorno Oltreoceano sarebbe però stato sospeso, in concomitanza con l' apertura di un fascicolo della Procura di Palermo a suo carico, dopo le dichiarazioni di Orlando e Mele, probabilmente legate alle voci di alcune rivelazioni di un pentito poco noto, Salvo Palazzolo. Voci da vagliare. Informazioni riservate, ma approdate indirettamente in diretta tv. (Chi diede al signor Leoluca Orlando Cascio tali notizie giudiziarie riservate? NdB) Al termine di una terribile settimana segnata da uno stillicidio di omicidi, dalle polemiche sul caso Andreotti, la Sicilia è sotto choc perchè adesso molti vorrebbero mettere sotto processo la trasmissione "Tempo reale". Il comandante dell' Arma parla di show intollerabile. Il cognato di Lombardo, il tenente di carabinieri Carmelo Canale, è pronto a sfidare in tv i due sindaci e il conduttore Santoro: "Dimostrino che era mafioso". [Fonte

domenica 9 gennaio 2011

PD = Partito democratico. Ecco come dimostra di essere democratico!

Il PD siciliano vieta il referendum sull’alleanza con l’Mpa di Raffaele LombardoIl circolo del Pd di Caltagirone è stato commissariato dopo che Gaetano Cardiel, il locale coordinatore, ha deciso di consultare tesserati e simpatizzanti. La domanda: "Può il Partito democratico continuare a sostenere il governo regionale?"
Non è piaciuta ai vertici del partito democratico siciliano l’idea di consultare gli iscritti sull’alleanza in Regione con l’Mpa di Raffaele Lombardo. Il circolo del Pd di Caltagirone, la cittadina in provincia di Catania, dove dal 1992 il centrosinistra vince sempre, è stato commissariato dopo che Gaetano Cardiel, il locale coordinatore, ha deciso di indire un referendum tra tesserati e simpatizzanti. A poche ore dalla consultazione, con una raccomandata, il Pd siciliano ha vietato il referendum. Ma Cardiel è andato avanti lo stesso e oggi ha fatto aprire i seggi.

“Saremmo colpevoli – ha detto Cardiel – di non aver subito l’intimazione giunta a poche ore dal voto per imporre lo stop a una consultazione perfettamente legittima (che fa seguito a tante altre svoltesi in diversi altri Comuni della Sicilia) di iscritti ed elettori del Pd su una questione politica cruciale e assai controversa, sulla quale è forte l’impressione che vi sia una notevole distanza tra la linea dettata dal vertice regionale e le valutazioni della base del PD e, più in generale, dei Siciliani: il rapporto tra i Democratici siciliani e il Governo presieduto dall’illuminato e trasparente Presidente Lombardo”. A dividere il Pd siciliano non è solo una questione di alleanze. Il problema è di opportunità: a creare imbarazzo tra gli iscritti è un’ indagine per concorso esterno in associazione mafiosa che coinvolge il governatore.

Il commissariamento “è un atto di riverenza nei confronti di Lombardo”, spiega il sindaco diCaltagirone Francesco Pignataro, che aggiunge: “le carte bollate e i comunicati stampa non ci fermeranno”.

Il deputato regionale Nino Di Guardo, democratico “pro Lombardo”, sostiene invece che la convocazione del referendum è un atto di insubordinazione. E la sua collega Concetta Raia, anche lei a favore del governatore, aggiunge che il principio “democratico” del dar voce agli elettori “è stato invocato impropriamente e strumentalmente da qualcuno, volendo rimettere agli elettori, delicatissime decisioni che afferiscono alle strategie politiche del partito, senza tenere conto di disattendere quello stesso principio democratico, in rispetto del quale si è già votato uno statuto che prevede la elezione democratica di organi rappresentanti”.

La risposta del senatore Enzo Bianco, sostenitore della linea “alternativa” a Lombardo, non si è fatta attendere: “Considero incomprensibile la decisione del segretario regionale del Pd, Giuseppe Lupo, di commissariare il Pd di Caltagirone. Ascoltare l’opinione degli elettori del partito è un obbligo politico e morale da parte dei suoi vertici, soprattutto quando si prendono decisioni che ne segnano una svolta nell’orientamento politico”. Stessa posizione per Rita Borsellino, europarlamentare democratica, sorella del giudice Paolo, ammazzato dalla mafia: “Il Partito democratico non abbia paura di consultare la base, tanto più su una questione così importante come quella dell’appoggio al governo Lombardo. Alle ultime primarie regionali – aggiunge – gli elettori e gli iscritti del Pd avevano votato in maggioranza per una proposta politica che bocciava qualsiasi alleanza con l’Mpa e l’Udc. Per questo, è importante chiedere al popolo delle primarie se condivide ancora tale proposta”. Infine Ignazio Marino: “Consultare i cittadini -ha detto il senatore del Pd – è una delle regole più antiche della democrazia. Stupisce che in Sicilia si faccia tanta difficoltà ad applicarla: l’appoggio al governo di Raffaele Lombardo da parte del nostro partito è stato criticato da molti, io stesso ho ribadito per mesi – e continuo a sostenere – che si sia trattato di una scelta sbagliata”.

Antonio Di Pietro, giunto a Messina per una due giorni dell’Italia dei Valori, ha proposto un “referendum di coalizione” sul sostegno a Raffaele Lombardo. “Due anni fa giravamo nei comizi insieme al Pd -ha detto Di Pietro- sostenendo un’alternativa al sistema Lombardo, diverso da quello Cuffaro solo perché meno folkloristico. Proprio perché crediamo in un’alleanza col Pd, riteniamo sia un danno essere entrati a far parte di questo sistema. Finché il Pd rimarrà nel governo Lombardo, qualsiasi alleanza sarà impossibile. È una situazione inaccettabile, come la si può spiegare agli elettori?”.

[Fonte]

Il Signor D'Alema spera sempre nella memoria corta degli italiani!

Non è passato un secolo, ma pochi anni, quando era notorio urbi et orbi che il Signor D'Alema, ma non soltanto lui, acquistava le scarpe presso un artigiano calabrese della provincia di Cosenza il cui costo non era affatto alla portata degli operai.
Se ben ricordo il loro prezzo era di circa mille euro al paio.

Adesso, toccato nel vivo, dichiara di acquistare scarpe da 29,00 euro. Ecco l'articolo in questione:

St. Moritz, D'Alema replica al premier: «Niente cachemire e scarpe da 29 €».

L'esponente Pd: «Berlusconi domina l'informazione. L'attacco a me è il segnale che lui pensa al voto»

Proprio non ci sta Massimo D'Alema a farsi definire da Silvio Berlusconi «comunista al cachemire». E così, approfitta di una intervista concessa al Riformista per replicare al presidente del Consiglio. Prendendo spunto da una foto pubblicata su Chi che ritrae l'esponente Pd e la moglie a St. Moritz, il premier aveva dichiarato che «i comunisti ci sono, esistono eccome» e che «non è un cachemire che può cambiare il cervello e il cuore della gente». Nessuna vacanza a St. Moritz replica ora D'Alema, ma solo una gita. E senza sciarpa di cachemire. «Non che sia un crimine andarci - ha voluto precisare l'ex ministro -. Sono andato in vacanza in un paesino dell'Engadina, meno costoso. A St. Moritz sono stato in gita. Non c'ero mai stato».

«IL GIACCONE? VECCHIO» - E non solo la sciarpa non era di cachemire (Sicuramente di plastica e presa alla COOP, NdB). Ma «il giaccone - ha voluto sottolineare D'Alema - è un vecchio giaccone (Anche questo della COOP? NdB). Le scarpe le ho comprate da Decathlon, pagandole ventinove euro, possono testimoniarlo le tante persone che hanno fatto la fila con me». Per l'esponente Pd, tuttavia, il punto non è «la campagna qualunquista. Questo attacco -sottolinea- non è casuale. È il segnale che Berlusconi pensa alle elezioni. Ma dice anche molto sul nostro sistema di informazione. Lui riesce a dominarlo
. In parte perché muove con estrema spregiudicatezza una rete mediatica squadristica che colpisce i suoi avversari: quello che hanno fatto a me è nulla in confronto a quanto subito da Fini. (Si riferisce alla tv la 7, o la Repubblica, all'Unità, a il Fatto quotidiano, al Corriere della Sera, o alla Stampa? NdB) In parte perché sa per certo che, non appena colpisce uno dei suoi oppositori, ce n'è almeno una metà - tra gli stessi oppositori - che ne gode. Ma è mai possibile che, su giornali non vicini al premier, si debba aprire un dibattito se sia lecito per un esponente della sinistra trascorrere tre giorni sulla neve con la propria moglie in un albergo a quattro stelle? A Berlusconi, comunque, non è rimasta che la forza di imporre queste mascalzonate. Per il resto, è finito, ha trascinato il Paese al disastro».

Come sempre nel lessico del nuovo Migliore non mancano mai, quando parla dei nemici politici le parole: qualunquista, squadrista, nonché le allusioni ai suoi nemici interni di partito. 
E' proprio vero che il lupo perde il pelo ma non il vizio. 

[Fonte

lunedì 3 gennaio 2011

Parlano del conflitto d'interesse e della questione morale ... degli altri!

Ci provano sempre, ma ormai ci riescono poco se anche un giornale a loro vicino, come il Fatto quotidiano di Padellaro e Travaglio, sbatte in prima pagina la loro "(non) superiorità morale", come strombazza sempre D'Alema ma anche la senatrice Finocchiaro, già magistrato. Ecco cosa ha scritto il Fatto quotidiano sulla diversità morale della senatrice, del marito e di qualche esponente regionale siciliano.

Finocchiaro, indagine a Catania sull’appalto al marito
 
Lo scorso 15 novembre la senatrice capogruppo PD Anna Finocchiaro è presente all’inaugurazione del presidio territoriale di assistenza di Giarre. L’appalto, del valore di 1,7milioni di euro (finanziamenti pubblici) è stato affidato senza gara alla Solsamb Srl, amministrata da suo marito, Melchiorre Fidelbo. Ora però la Guardia di Finanza ha sequestrato gli atti, la Procura di Catania ha aperto un fascicolo e gli ispettori regionali, con una relazione, hanno concluso che tutta la procedura “è illegittima”.

Facciamo un passo indietro: nel luglio 2007 vengono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale le linee guida ministeriali per i progetti del Piano Sanitario Nazionale benedetto dall’allora ministro Livia Turco. Un mese dopo, il consorzio Sanità Digitale presenta il progetto per la Casa della Salute di Giarre, dal costo di € 1,2mln. Al suo interno ci sono, con quote del 5%, il dipartimento di Anatomia dell’Università di Catania guidato dal Prof. Salvatore Sciacca, l’Azienda Sanitaria 3 di Catania guidata ai tempi dal manager Mpa Antonio Scavone; la Tnet Srl con il 40% e la Solsamb Srl amministrata dal marito di Anna Finocchiaro che detiene il 50%.

Caduto il governatore siciliano Totò Cuffaro, però, scatta la rivoluzione sanitaria del suo successore Raffaele Lombardo. In Sicilia non servono “Case della Salute” ma “Presidi Territoriali di Assistenza”. Carte alla mano è necessaria una rimodulazione. E i costi lievitano: 20mila€ per lo studio del territorio, 420mila per il “project management”, 50mila per l’assistenza al progetto hardware ed 1,2milioni per i “software diversi”. Il totale lordo sale a € 1.690.000, esclusi i costi gestionali non previsti, “con un incremento – scrivono adesso gli ispettori della Regione – del 17% rispetto al progetto del 2007”.

La lievitazione dei costi si accompagna con un passaggio di consegne: il consiglio di amministrazione del consorzio Sanità Digitale stabilisce che tutti i proventi saranno attribuiti alla Solsamb Srl del marito di Anna Finocchiaro. Piccolo particolare: in tre anni nessuna gara pubblica è stata bandita.

Il 30 luglio 2010 l’Azienda sanitaria 3 guidata dal manager Giuseppe Calaciura, militante dell’Mpa di Raffaele Lombardo, sigla la convenzione con la Solsamb. Poco tempo dopo il Pd entra in giunta con Lombardo forte del sostegno della senatrice democratica. E così si arriva al paradosso: il 15 novembre, per inaugurare il presidio sanitario, si ritrovano insieme due mondi storicamente distanti, anche solo ricordando che nel 2008 Anna Finocchiaro si era candidata alla presidenza della Regione siciliana contro Lombardo (e il centrodestra).

Nella foto a lato è immortalato il taglio del nastro della “Casa della Salute” di Giarre, Comune roccaforte dell’Mpa. Il primo a sinistra con i baffi e la cravatta è Melchiorre Fidelbo, marito della senatrice democratica, amministratore della Solsamb Srl, accanto a lui c’è il manager autonomista Giuseppe Calaciura che ha siglato la convenzione, segue Teresa Sodano, sindaco di Giarre pupillo di Raffaele Lombardo, quindi Massimo Russo, magistrato assessore regionale alla Sanità, e poi al centro ci sono Anna Finocchiaro e l’ex ministro Livia Turco, ideatrice delle Case della Salute.

Sotto i flash dei fotografi scattano le proteste dei cittadini di Giarre perché da poche settimane è stato chiuso l’ospedale principale. “Anna Finocchiaro…Vergogna!”, gridano, il filmato è rimbalzato sul web, all’improvviso la senatrice si avvicina ai manifestanti e chiede: “Vergogna di che?”. Accanto a lei c’è il marito amministratore dell’azienda che ha vinto l’appalto senza gara.

LA RELAZIONE DEPOSITATA. Gli ispettori regionali inviati dall’assessore Massimo Russo hanno stilato una relazione di dieci pagine, adesso finita in commissione Sanità. L’appalto della Solsamb sarebbe stato affidato in violazione del D.lgs 163/2006 e “dei principi di libera concorrenza – scrivono gli ispettori – parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità”. Secondo gli ispettori, l’affare avrebbe “violato il Codice degli appalti” trattandosi di importi di rilevanza comunitaria “e non rientra nei casi di esclusione”.

Gli ispettori intervengono anche sul passaggio di consegne tra il Consorzio Sanità Digitale partecipato dalla Solsamb e la stessa Solsamb: “in ordine a ciò – si legge nella relazione – occorre rilevare che tale attribuzione caratterizza la fornitura quale “esternalizzazione” che, come è noto è espressamente vietata dall’art.21 della legge regionale 14 aprile 2009 n.5 che dispone che “è fatto divieto alle aziende del servizio sanitario regionale o agli enti pubblici del settore di affidare mediante appalto di servizi o con consulenze esterne, l’espletamento di funzioni il cui esercizio rientra nelle competenze di uffici o di unità operative aziendali”.

“Sulla base della documentazione acquisita – conclude la relazione – e delle analisi svolte, con riguardo anche agli atti assessoriali propedeutici al procedimento autorizzativo, si ritiene che il provvedimento di affidamento a privati dell’organizzazione ed informatizzazione del PTA, da parte dell’Asp di Catania, evidenzi i profili di illegittimità, come sopra esposti”. Su questi presupposti è stata annunciata da Massimo Russo la revoca imminente dell’appalto.

L’amministratore unico della Solsamb srl, Melchiorre Fidelbo, ha chiesto un’audizione alla Commissione Sanità dell’Ars dicendosi “a disposizione per avere l’opportunità di descrivere e far comprendere il rilievo scientifico che il progetto sperimentale di “Casa della salute” rappresenta per la sanità Siciliana”. Contemporanemte Fidelbo ha annunciato ricorso al Tar sostenendo che la gara d’appalto non era necessaria perchè si trattava di “opere dell’ingegno” e che non esisterebbe alcuna connessione tra la vicenda e il ruolo politico della moglie presente all’inaugurazione. Ha anche osservato che “il clima che si e’ voluto instaurare di strumentalizzazione politica non consente uno sviluppo compiuto e sereno del progetto a 3 o 5 anni”, minacciando querele agli organi d’informazione siciliani.

[Fonte]