domenica 2 gennaio 2011

Un nuovo anno con lucida pazzia!


Sergio D'Elia intervistato da Il Riformista sulla questione della mancata estradizione di Cesare Battisti dal Brasile, ne spara una più grossa dell'altra. In pratica sarebbe come dire: visto che le carceri italiani sono strumenti di morte, chiudiamole.
Ma lui che è stato ospite per quasi un decennio di queste fatiscenti "strumenti di morte" è vivo per dirlo, quindi smentisce se stesso.


  
D’Elia choc su Battisti «Meglio libero in Brasile»


«Lo Stato italiano è un delinquente abituale. Basta considerare che le nostre carceri sono strumenti di tortura». E «la nostra classe politica sta ragionando secondo la logica parabrigastista del “colpirne uno”, e cioè Cesare Battisti, per assolverne cento». Intervistato dal Riformista, l’ex deputato Sergio D’Elia, leader di Nessuno tocchi Caino, grida «onore a Lula».
L'intervista che Sergio D’Elia consegna al Riformista è di quelle destinate a lasciare un segno nel dibattito sulla mancata estradizione del pluriomicida Cesare Battisti. 
L’ex deputato radicale (fu segretario dell’Ufficio di presidenza della Camera), con un passato remoto nell’organizzazione terroristica Prima linea (ha scontato 12 anni di carcere per l’assalto al carcere di Firenze in cui nel 1978 perse la vita un agente di polizia, anche se non era fisicamente presente) e un presente storico da leader dell’associazione Nessuno tocchi Caino, difende la scelta del Brasile di non consegnare all’Italia Battisti.
D’Elia, credo che lei stia andando oltre il «rispetto» della decisione del Brasile.
Non c’è dubbio che la scelta delle autorità di un paese democratico come il Brasile dev’essere rispettata. A questo si aggiunge il giudizio severo e condivisibile su come vengono amministrate la giustizia e le carceri in Italia.
Il suo giudizio qual è?
L’Italia non ha l’autorità politica nazionale e internazionale per protestare con chicchessia. Un paese che è stato condannato decine di volte dalla giustizia europea per come gestisce carceri e tribunali non ha titoli per chiedere al Brasile la consegna di Battisti.
Un conto è la gestione delle carceri, altra cosa sono le condanne di Battisti, non trova?
Guardiamo al numero di morti nelle carceri italiane, pensiamo al sovraffollamento di strutture che sono, di fatto, degli strumenti di tortura. Finire in galera in Italia è come essere condannati a morte. Per questo io dico che è meglio Battisti libero in Brasile che Battisti in una prigione italiana.
Messa così, le sua sembra la difesa di un pluriomicida.
A me non interessa nulla di Battisti. A me interessa la difesa del «detenuto ignoto», non di quello noto. In un carcere italiano, Battisti rischia la vita.
È stato condannato, Battisti.
Secondo la Costituzione, il carcere serve a rieducare. E io sfido chiunque a sostenere che il Battisti di 35 anni fa sia lo stesso Battisti di oggi. Il Battisti del delitto non è lo stesso uomo della pena. Per cui, Costituzione alla mano, non dovrebbe andare in galera.
D’Elia, non pensa ai parenti delle vittime?
Le loro sono le uniche istanze sacrosante. Quelle dei vari La Russa, quelle della destra e della sinistra, sono ridicole. I parenti delle vittime, in realtà, sono stati traditi non da Battisti, ma dallo Stato italiano. E non ce l’ho col governo Berlusconi. Ma con cinquant’anni di un regime partitocratico che ha sottratto a questo Paese le leggi, le garanzie e i diritti. E che ha commesso delitti su delitti.
Ci faccia un esempio.
Questo è uno Stato che si è macchiato del sangue di molte stragi. Piazza della Loggia, Piazza Fontana, l’Italicus: quando non si trovano gli autori, la strage diventa automaticamente «strage di Stato». Parliamo di decine di vittime e di centinaia di parenti delle vittime, altro che dei delitti di Battisti.
Che cosa c’entra col caso Battisti tutto questo?
C’entra che tutti, adesso, urlano «in galera» all’indirizzo di Battisti soltanto per assolvere se stessi. Ripeto: tutti seguono la logica parabrigatista del colpirne uno per assolverne cento. I crimini commessi da Battisti sono orrendi. Ma un delinquente abituale come lo Stato italiano non ha i titoli per insegnare niente ha nessuno.

di Tommaso Labate

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