martedì 31 agosto 2010

Lui può non sapere, appartiene agli Illuminati di sinistra

Questa interessante notiziola mi fa sorgere una domanda: l'Ing. per eccellenza, Carlo De Benedetti,  poteva non sapere?
Adottando il metodo di misura dei suoi giornali: Repubblica ed Espresso, la risposta è Sì, sapeva certamente che i suoi parenti, da parte di moglie, si stavano arricchendo con le notizie riservate di cui lui era a conoscenza.

Insider trading, multati azionisti
di una ex società del gruppo De Benedetti


Sanzioni per 3,5 milioni. Tra i colpiti alcune persone appartenenti all'entourage familiare dell'Ingegnere

Multe e confische di beni mobili e immobili per un totale di 3,5 milioni in relazione a un caso di insider trading sono state deliberate dalla Consob a carico di sette azionisti della ex Cdb Web Tech, la società di new economy del gruppo de Benedetti. I sette provvedimenti sono stati adottati per alcune speculazioni operate in Borsa nel luglio del 2005 facendo uso, secondo la Commissione, di informazioni privilegiate su Web Tech, dalla quale stava per nascere il fondo salva imprese M&C. Alcuni dei destinatari delle sanzioni Consob appartengono all'entourage familiare di Carlo De Benedetti e di sua moglie Silvia Monti. Il nome più noto è quello di Alessio Nati, fondatore e amministratore della società e marito della figlia del primo matrimonio con della Monti, il cui vero nome è Silvia Cornacchia. Compare la sorella di quest'ultima, Renata Cornacchia, oltre alla stessa Una Donà Delle Rose figlia di Umberto Donà Delle Rose e dell’attuale moglie di Carlo De Benedetti. Tra gli altri anche l'imprenditore romano Davide Colaneri.

Il gruppo ha acquistato i titoli in Borsa nelle due settimane precedenti l'annuncio al mercato dell'operazione che avrebbe portato alla nascita del fondo M&C. Sulla diffusione ufficiale della notizia, era il 28 luglio del 2005, i sette azionisti hanno venduto i titoli in Piazza Affari, realizzando una lauta plusvalenza. Dopo la nascita del fondo M&C, sulla Cdb Web Tech fu lanciata un’Opa da parte di De Agostini che poi riquotò in Borsa la società con l’attuale nome, Dea Capital. Secondo quanto si legge nelle delibere della Commissione firmate dal presidente vicario Vittorio Conti (dopo l’uscita di Lamberto Cardia a fine giugno, la Consob è ancora in attesa che il governo nomini il presidente) Nati avrebbe comunicato ad alcuni azionisti - Daniele Dolci, Davide Colaneri e Alberto Gianni – «l'informazione privilegiata concernente il progetto dell'avvio da parte di Cdb Web Tech della nuova iniziativa di investimento in imprese in difficoltà, conoscendo o potendo conoscere in base a ordinaria diligenza il carattere privilegiato di tale informazione».

Nati, 39 anni, era finito sotto la lente della Consob anche l'estate scorsa in seguito ad alcuni movimenti sui titoli M&C. Gli accertamenti della Vigilanza su questa seconda vicenda sono tuttora in corso. Il genero di De Benedetti aveva (brevemente) accarezzato l’idea di lanciare un’ offerta pubblica di acquisto su M&C, per la quale erano in corsa anche la famiglia Segre, Gianni Tamburi, e Gianpiero Samorì. Fu il caso di Borsa dell’estate 2009, una vicenda da record , un affollamento di offerte che in Piazza Affari non si era mai visto su un solo titolo. Le Opa sono finite nel nulla, ma la Commissione è ancora impegnata a ricostruire la dinamica dei rialzi e dei ribassi del titolo.


[Fonte

La vera sindrome di Gianfranco Fini

Terminate le brevi ferie, eccomi di nuovo fra voi con il commento esaustivo di Marcello Veneziani che interviene su quello che ormai è diventato un romanzo a puntate. Fra gli scoop giornalieri fatti da Feltri e quelli settimanali di Panorama, il silenzio di Fini non ha fatto altro che ingigantire ancor di più  la questione che è certamente morale, oltre che indagabile sia civilmente che penalmente.  

Vi racconto la vera sindrome di Gianfranco
di Marcello Veneziani 
  
 Ma perché lo ha fatto? Gira e rigira è quella la domanda su Fini che resta senza risposta. Tutti parlano del pasticciaccio brutto, da Montecitorio a Montecarlo, tutti conoscono le tappe dell'escalation ma in fondo non ci sono risposte alla domanda che pure sento ripetere ovunque io vada: ma cos'ha nella testa Fini, perché ha combinato tutto questo casino, dove vuole andare? Non pretendo di darvi una risposta convincente, mi limito a comporre le possibili spiegazioni in un racconto che tiene conto di tutte le più accreditate versioni, eccetto le tempeste ormonali. Escludo anche le cause patologiche, tipo la scatola cranica dei dobermann che a una certa età comprime il cervello e li fa impazzire, fino ad azzannare il padrone.

Fini soffriva della sindrome di Salieri. Sapete, Salieri era un musicista che non sopportava il successo del suo collega Mozart e dicono che abbia avvelenato il suo più famoso amico-rivale. Per tradurlo in termini correnti, diciamo che Fini ha vissuto per anni alla destra del Padre, soffriva del complesso del vicario; apparire sempre coprotagonista, cofondatore, spalla e cognato del Re, alla lunga logora e frustra. Non dimentichiamo il lato umano, la psicologia elementare. La stessa cosa accade al principe Carlo che ha passato una vita a fare l'erede, ma la regina non schioda e ora prevedono di bypassarlo. A Carlo per la rabbia gli sono cresciute le orecchie, a Fini il rancore.

A ciò si aggiunge la frustrazione dei sondaggi, dove Fini spopolava. E questo gli dava un senso di insofferenza anche verso il suo partito e la sua destra: si era convinto di essere più amato del suo partito e più grande della sua destra. In realtà confondeva la popolarità con il consenso, il generico apprezzamento con il voto. Se è per questo anche Almirante era ammirato da mezz'Italia e detestato dall'altra metà, ma poi visse al 5 per cento, per dirla con una poesia di Montale. Così Bertinotti. Mai confondere gradimento e consenso. Ma questa convinzione, probabilmente alimentata da chi gli sta vicino, lo ha portato a far crescere l'autostima e a nutrire un duplice fastidio: verso Berlusconi che gli faceva ombra, pur essendo più basso di lui, ma anche verso la sua destra, dalla base ai colonnelli tutti, che considerava con disprezzo la sua palla al piede, senza accorgersi che era il suo fondamento: è come un uccello che se la prende con l'aria perché fa resistenza al suo volo senza accorgersi che è l'aria a sostenerlo in volo, e senz'aria cadrebbe a terra.

Abbiamo così due spiegazioni di partenza, intrecciate e compatibili. Ma direte voi, un vero politico sa pazientare, conosce i tempi giusti per uscire allo scoperto, non rompe il gioco a metà fino a inimicarsi i suoi stessi elettori. Fini era il naturale successore di Berlusconi, e dopo la diaspora di Casini ancora di più; era perfino accettato dalla Lega, verso cui solo ora ha scoperto i suoi livori nazionalistici. Perché allora non ha avuto pazienza? Qui viene l'ipotesi chiave. Fini ha il terrore di succedere a Berlusconi come premier, ha orrore del gran lavoro, sa che sarebbe schiacciato sotto il peso del governo, non ce la farebbe. Lui aspira al ruolo di Speaker Supremo, cioè di presidente della Repubblica. Perché lui vuol essere Capo ma senza la fatica di governare; vuol essere sopra i partiti e non dentro, perché ha nausea dei medesimi, è single. Bello fare il presidente della Repubblica, magari qualche bel discorso a reti unificate, ricevi i potenti della Terra, passi dal Principato di Monaco al regno d'Italia, fai immersioni nelle tenute di Stato... Per andare al Quirinale deve azzoppare il suo più temibile concorrente interno, Berlusconi, e amicarsi la sinistra, senza aspettare il turno per Palazzo Chigi. Ecco, la partita è il Colle.
In tutto questo, capirete bene che a Fini il suo partitino gli serve solo come leva provvisoria, come calzante per mettersi le scarpe presidenziali; poi non serve più. Dopo aver scaricato il Fronte della Gioventù, l'Msi, l'elefantino, An, avete ancora qualche dubbio che Fini non sia disposto a sbarazzarsi dei suoi?

Non trascurate poi l'incoraggiamento avuto: dopo una vita d'insulti e di ghetto perché fascista, non gli è parso vero l’elogio della stampa e della sinistra.

Alla costruzione del movente manca però la causa scatenante. Quando Fini ha svoltato? Dicono al predellino che Fini ha subìto; ma sapeva che correndo da sola An, svuotata da anni di sfinimento, avrebbe perso voti. Io penso a due altre ipotesi, una vistosa e l'altra nascosta. La causa vistosa accadde due anni fa. È la convinzione finiana che Striscia la notizia lo abbia killerato per conto del Cavaliere, mandando in onda quei terribili filmati sulla Tulliani e Gaucci. Fu la svolta. Lui chiese la testa di Ricci e di Confalonieri, fece il diavolo a quattro, annunciò la fine di Mediaset... E invece, mi ha raccontato Antonio Ricci, il filmato andò in onda quasi per caso, anticipato da uno spezzone su Blob; giaceva lì da qualche giorno, lo tirarono fuori per casuali circostanze, senza parlarne con i vertici di Mediaset che magari avrebbero tentato di bloccarlo... Lui se la legò al dito, come poi col Giornale. Perché Fini è vendicativo, non ha la duttilità del politico intelligente né la magnanimità del vero capo.

Insomma la causa prossima fu Gaucci. Non è una gran bella causa e non è certo una base adatta per diventare presidenti della Repubblica, semmai per diventare presidenti del Perugia calcio, completando la successione a Gaucci...

In alternativa, se cercate una ragione più alta, complessa e dietrologica, ve ne prospetto un'altra concomitante: si narra dell'ostilità di Fini al progetto berlusconiano dell'accordo con Putin sul gasdotto che passa dall'Iran; un progetto sgradito agli ambienti che stanno dietro a Fini, che lo seguono da tempo, non solo agli Esteri, e lo hanno sdoganato nei luoghi giusti. Non so quanto sia vero, ma fa emergere anche l'ipotesi che Fini, come è sempre stato, sia eterodiretto, guidato, telecomandato. Insomma questo è il quadro generale delle ipotesi. Ora mi direte voi che ci azzecca con tutto questo il progetto politico, o addirittura culturale, la destra più moderna, la libertà, il futurismo, la legalità, e pure il suo partitino provvisorio, il suo pied-à-terre in aula. Ora i conti tornano, le contesse un po' meno...

Amici, suocera, cognato: è da 16 anni che Gianfry piazza i suoi alla Rai
di Gian Maria De Francesco

L’interessamento di Gianfranco Fini per i destini televisivi delle società partecipate dalla «suocera» Francesca Frau e dal «cognato» Giancarlo Tulliani non rappresenta un’eccezione. È da quando - nel lontano 1994 - il leader della destra italiana ha messo piede nel Palazzo che in un modo o nell’altro le sorti (e gli uomini e le donne) della tv pubblica gli stanno particolarmente a cuore.
È l’aprile di sedici anni fa, il centrodestra ha da poco vinto le elezioni e il presidente di Alleanza Nazionale non perde tempo. «I professori - dichiarò da Giovanni Minoli a Mixer - debbono andare a casa entro quindici giorni perché ormai sono delegittimati». Un inequivocabile avvertimento al Cda guidato da Claudio Dematté. Il suo primo atto è l’«inserimento» di Mauro Miccio nel Cda presieduto da Letizia Moratti. Ma il primo governo Berlusconi ha una durata troppo breve perché la strategia lottizzatoria possa estrinsecarsi.
Tuttavia nel cosiddetto periodo della «traversata nel deserto» (1995-2001), quello del centrodestra confinato all’opposizione, Fini balza ugualmente agli onori delle cronache. Si mette in evidenza per la difesa di Clemente Mimun, allora direttore del Tg2 «puntato» dalla sinistra. E poi inizia a raccogliere attorno a sé un côté di intellighenzia che il suo ex portavoce Francesco Storace all’epoca descriveva così: «Alla Rai si sono avvicinati tutti, ma i nomi non li faccio, siamo diventati perfino i difensori dei giornalisti di sinistra, quelli bravi. Da Michele Santoro a Lucia Annunziata, passando per il mio amico Sandro Curzi». E nel 2000, desideroso di poter catechizzare gli italiani all’estero, ottiene un notevole successo per un esponente dell’opposizione, conseguendo la nomina del fido Massimo Magliaro alla guida di Rai International.
Ma è solo dopo le trionfali elezioni del 2001 vinte da Berlusconi che Gianfranco Fini può nuovamente inebriarsi con il profumo del potere. E di quanto sia rilevante e influente il peso di An in Rai non fa mistero. Il primo vero atto, infatti, non è una nomina, ma uno squadernamento (attività che a Fini è sempre ben riuscita): manda infatti a monte l’accordo per la designazione di Carlo Rossella alla presidenza della Rai. Ma di quel periodo si ricorda meglio l’irresistibile ascesa dei «ragazzi di via Milano», gli ex redattori del Secolo d’Italia assurti agli onori del vertice della tv pubblica. Mauro Mazza diventa direttore del Tg2, Bruno Socillo del Giornale Radio, Gennaro Malgieri entra nel consiglio di amministrazione, Guido Paglia va alle relazioni esterne.
Diventano appannaggio finiano anche RaiSport con Fabrizio Maffei e i diritti sportivi con Paolo Francia. Quest’ultimo, però, ha vita breve nell’incarico perché commette un imperdonabile errore: contraddire il capo. Dall’alto infatti arriva l’ordine di acquisire i diritti dei campionati mondiali di sci da Media Partners. La richiesta è esorbitante, circa 8,5 milioni di euro all’anno. Francia rifiuta e Fini non la prende bene, silurandolo. Il nuovo direttore generale della Rai, Flavio Cattaneo, ottiene in consiglio l’approvazione di un contratto biennale da 3,8 milioni e il fatturato per Media Partners, società fino ad allora in difficoltà, triplica.
Ma non è l’unico caso in cui il nome di Fini viene citato dalle cronache di quel periodo. Il suo portavoce Salvo Sottile viene «beccato» dal pm voyeur Woodcock con qualche valletta al ministero degli Esteri. Fini, dispiaciuto e rammaricato come oggi per Tulliani, non esita a farne subito a meno. Eppure il sottosegretario Santanché ha raccontato di recente che fu il numero uno di An a «inaugurare Vallettopoli» inserendo nei programmi Rai «Fanny Cadeo e Angela Cavagna, soprannominata “la tetta della destra”»
E, per dirla tutta, anche nelle intercettazioni dell’ex direttore di RaiFiction Agostino Saccà con le quali si pensava di imbarazzare il premier c’è un nome che ricorre un paio di volte. Indovinate quale? «Hanno fatto un provino a un certo Petrella che interessa a Fini personalmente, che ha chiamato Fini personalmente», si confidò al telefono l’ex dirigente. In un’altra intercettazione si lamenta dell’asse An-centrosinistra (è la Rai di Prodi, ndr) che consente al dg Cappon di procedere spedito alle nomine: «avranno avuto una benedizione di Fini».
La cronaca recente, dopo che Fini, reinsediatosi Berlusconi, bloccò per mesi le nomine Rai pur di assicurare a Mauro Mazza la direzione di Rai1, non sorprende. Un milione e mezzo di euro alla At Media della «suocera» Francesca Frau per lo spazio Per capirti su Rai1 (ora bloccato). E una serie di pressioni su Guido Paglia per ottenere un minimo garantito per il giovane Tulliani nonostante non fosse iscritto nell’elenco dei fornitori Rai. Tre titoli minori venduti a Rai Cinema e sogni di gloria richiusi nel cassetto.

giovedì 12 agosto 2010

Il dossier Tulliani

Il dossier Tulliani
di Fabrizio d'Esposito

Non solo Paglia. Nel senso di Guido, l'ex finiano di ferro della Rai che ha affidato il suo sfogo contro la famiglia Tulliani a Franco Bechis per Libero. Paglia, infatti, ha confidato di aver rotto a causa del cognato di Fini, Giancarlo, lo stesso dell'affaire Montecarlo, «un'amicizia di trent'anni» con il presidente della Camera. Tulliani e le fiction. Tulliani e il trading diritti cinematografici. Tulliani e l'intrattenimento in prima e seconda serata.

Storie che, ai piani alti di Viale Mazzini, circolano da due anni, da quando il centrodestra è ritornato maggioranza e Fini ha una nuova compagna, la rampante Elisabetta Tulliani. Questo quotidiano, già nel 2009, rivelò per primo la sigla della società di Giancarlo Tulliani creata per il settore delle fiction, la Giant, con l'aggiunta di un dettaglio non secondario: una sequenza di foto hard su “Ely e Gianfry” ritirata dal mercato a suon di migliaia di euro.

Poco dopo, la Giant fu accantonata e comparve, come ha raccontato Dagospia, la At media di Francesca Frau, mamma di Elisabetta e Giancarlo Tulliani, che mise le mani su uno spazio di Festa italiana, contenitore pomeridiano di Raiuno, diretta da un altro giornalista amico di Fini, Mauro Mazza. Già, Mazza. E se, dopo Paglia, si decidesse a parlare anche lui? Adesso che in Rai non ci sono più finiani all'indomani della svolta di Futuro e Libertà, i falchi berlusconiani stanno preparando un dossier sul sistema Tulliani che ha imperversato per un bienno a Viale Mazzini. Raccolgono confidenze, stilano cifre, chiamano a raccolta ex finiani “bruciati” dal Capo a causa delle esose pretese del clan familiare della compagna. Sarebbe il colpo di grazia dopo il brutto pasticcio ancora non chiarito della casa della contessa Colleoni a Montecarlo.

E stavolta, fanno osservare, il presidente della Camera non potrebbe aggrapparsi al «non sapevo» balbettato sull'appartamento monegasco. Stavolta verrebbe fuori un sistema organico di rapporti e affari che tirerebbe in ballo direttamente Fini. Del resto, la decisione di Paglia di togliersi gli innumerevoli sassolini finiti nelle sue scarpe in questi ultimi due anni è arrivata dopo una recentissima telefonata del presidente della Camera al viceministro Romani, uomo Rai di Berlusconi e in pole position per lo Sviluppo economico lasciato libero da Scajola. Quel giorno Fini, al telefono con Romani, pose il veto su Paglia presidente della Sipra. E quest'ultimo, che aveva già pagato i suoi no a Giancarlo Tulliani con la mancata nomina a vice dg di Mauro Masi, capì che non c'era più niente da salvare nel suo rapporto trentennale con l'ex leader di An.

Ma ancora più di Paglia, che a Viale Mazzini aveva organizzato un circolo di An che raccoglieva ben 307 iscritti con quota annua di 25 euro, sarebbe stato il direttore di Raiuno Mauro Mazza a subire il sistema Tulliani. In pratica, lo spazio affidato all'interno di Festa Italiana, e non confermato per la prossima stagione, non sarebbe che la punta dell'iceberg. In questi due anni, Mazza avrebbe sopportato pressioni di ogni genere, spesso opponendo rifiuti come Paglia. Di qui furibonde litigate con Fini e di qui la decisione di rompere del tutto con l'antico amico.

Nella destra ex missina di Viale Mazzini, il ciclone Tulliani ha fatto tabula rasa di amicizie consolidate, improntate al mutuo soccorso tra ex camerati ritrovatisi al governo del paese dopo decenni di ghetto costituzionale. Al punto che persino finiani come Italo Bocchino e Luca Barbareschi, entrambi con interessi nella fiction (Bocchino con la moglie Gabriella Buontempo, l'attore-deputato direttamente), quando ancora non era scoppiata platealmente la guerra con il premier, si sarebbero sommessamente lamentati con «l'amico Gianfranco» per le mire eccessive dei Tulliani in campo televisivo.

Al settimo piano di Viale Mazzini, Giancarlo Tulliani si presentava come «il referente del presidente della Camera». E i falchi azzurri stanno monitorando le persone che hanno avuto contatti con lui. E minacciano: «Per sapere il numero esatto non resta che consultare l'ufficio passi e vedere quante volte è venuto». Ormai la rottura con il presidente della Camera è totale. Compresa la Rai. Come dimostrano la già citata decisione di non non far lavorare più At media su Raiuno (un affare da un milione e mezzo di euro) e lo stop alla miniserie Mia madre prodotta da Ellemme Group, una società di Massimo Ferrero detto er Viperetta e dello stesso Giancarlo Tulliani. Per il cda la proprietà della Ellemme, facente capo a due società londinesi, sarebbe «opaca». La tesi del dossier berlusconiano, al momento segreto, è che Giancarlo Tulliani, col pieno sostegno del cognato Gianfranco, avrebbe cercato di accaparrarsi una triplice e sostanziosa fetta della torta Rai. Quella elencata da Paglia nel suo sfogo su Libero: fiction, intrattenimento, diritti cinematografici.

In forte imbarazzo, i finiani per un biennio hanno cercato di resistere all'offensiva dei Tulliani, tentando di limitare i danni. Ma ciò non è servito. Questo è il motivo per cui oggi non si trova un finiano nemmeno a pagarlo oro. Ed è anche tempo di aggiornare la nota battuta che Luca Barbareschi fece in una riunione dei quadri An della Rai alla fine della legislatura 2001-2006: «In Rai abbiamo portato solo zoccole». «Zoccole e cognati», osserva oggi, con molta amarezza, un altro ex aennino di Viale Mazzini rimasto con Berlusconi.

[Fonte

Chicca finale da Dagospia:
1- ESCLUSIVO DAGOREPORT: LOS TULLIANI REAL ESTATE, UNA FAMIGLIA DI IMMOBILIARISTI!
E LUI, IL PADRE SERGIO, FUNZIONARIO PENSIONATO DELL’ENEL. LEI, LA MADRE FRANCESCA FRAU, È PENSIONATA... QUESTA È LA CRONISTORIA IMMOBILIARE DELLA FAMIGLIA T
(amorale della favola: non è lui ad aver attaccato il sombrero ma fini!)
2- SAMMARCO, L’AVVOCATO DI GAUCCI: “IL VALORE STIMATO DEI BENI CONTESI (CASE, GIOIELLI, AUTO) È VENTI MILIONI DI EURO (40 MILIARDI DI LIRE) PIÙ O MENO. E QUI C’È DA CAPIRE BENE: SE GLI AVVOCATI DELLA TULLIANI CI DICONO CHE I BENI SONO STATI ACQUISTATI CON I SOLDI DEL SUPERENALOTTO E I RISPARMI DI FAMIGLIA, PERCHÉ CI MOSTRANO UNA DISTINTA DI VERSAMENTO DA UN MILIARDO DI LIRE? E TUTTO IL RESTO?”
3- "elisabetto" TULLIANI SI SOLLAZZA LAVANDO UNA “FERRARI” CHE VALE 197 MILA EURO
 

Aveva una casetta in Canadà

Aveva una casetta in Canadà
di Giampaolo Pansa

Fini, dopo aver tanto parlato, oggi è il muto di Montecitorio.

Qualcuno ricorderà una canzone di Carla Boni e Gino Latilla del 1957 che piaceva molto: “Aveva una casetta piccolina in Canadà, con vasche, pesciolini e tanti fiori di lillà…”. Piaceva perché rappresentava il sogno di milioni di persone: possedere una casa, un appartamento, un posto decente dove abitare. Con il tempo, molti l’hanno realizzato. Ma per tanti resta una chimera. Questo spiega perché la casa sia ancora al primo posto nelle chiacchiere che si fanno in un gran numero di famiglie.
Se poi la casa di cui si parla riguarda un politico, le chiacchiere vanno a mille. L’ex ministro Scajola è diventata famoso non per il lavoro svolto, buono o cattivo che fosse. Ma per la faccenda dell’appartamento che un mister X gli avrebbe regalato, in tutto o in parte. Lo stesso vale per Gianfranco Fini, il presidente della Camera. Ormai anche dal parrucchiere le signore parlano di lui, della casa di Montecarlo, del cognato che ci vive, del modo singolare in cui è stata acquisita, poi venduta, poi rivenduta, poi affittata.
u segue dalla prima pagina
Mi hanno raccontato che un signora, nel farsi la piega, domandava: “Ma che cosa sarà questo off shore? Un nuovo modello di reggiseno?”.
Naturalmente è possibile che Fini non sappia nulla dell’appartamento di Montecarlo. E che sia finito sui giornali soltanto perché ha divorziato da Silvio Berlusconi. Scriviamo sempre che il garantismo è un pilastro della società liberale. Anche se spesso su questo pilastro molti ci fanno i loro bisogni. Ma l’etica ci impone di essere garantisti nei confronti di tutti. Anche di un politico importante come Fini, la terza carica dello Stato. Che per difendersi ha molti più mezzi dell’uomo della strada senza potere.
Il guaio è che Fini non parla, non spiega, non dice una sillaba per ribattere alla valanga di parole che i media stanno scaraventando sulla faccenda di Montecarlo e, di riflesso, su di lui. È il primo aspetto paradossale di questa storia. Fini non ha mai amato il silenzio. Soltanto negli ultimi mesi, per non andare più lontano nel tempo, ha esternato di continuo, quasi tutti i giorni. Non si poteva aprire un giornale o accendere la tivù senza inciampare in una dichiarazione del presidente della Camera. Pensate alla tortura inflitta all’italiano qualunque. Ma non appena è emersa la storia di Montecarlo, Fini è diventato il muto di Montecitorio. Almeno sino al momento nel quale scrivo questa puntata del Bestiario: la mattina di sabato 7 agosto 2010.
C’è un leader politico che gli ha rimproverato di essersi tagliata la lingua. È Antonio Di Pietro, un maestro nell’avvalersi del diritto di parola. In due interviste al Riformista e a Libero, Tonino ha detto: «Per uscirne, Fini può fare una sola cosa: portare i documenti all’opinione pubblica, prima che lo faccia la magistratura».
Mentre Fini taceva, hanno parlato altri politici. Qui ne citerò tre. Il primo non mi sento di metterlo in croce perché è una signora con molti obblighi: Flavia Perina. Il suo vincolo più forte deriva dal fatto che dirige il quotidiano del futuristi finiani, il Secolo d’Italia. Per questo ha definito “dossieraggio” le inchieste dei giornali sulla casetta di Montecarlo. Sostenendo che “la lotta politica è regredita come ai tempi di Mino Pecorelli”. Ma che cosa poteva dire di diverso, la gentile Perina?
Più strambe sono le dichiarazioni di altri della casta. Pier Ferdinando Casini ha ruggito che le inchieste dei giornali su Fini sono “squadrismo mediatico” o, secondo un’altra versione, “squadrismo intimidatorio”. Due parole che coprono Casini di ridicolo. Siccome vuole fare il terzo polo con Fini, il capo dell’Udc si è messo a copiare il lessico del Cavaliere. Sia bocciato e ripeta l’anno.
Un altro da bocciare è un politico del Partito democratico, Luigi Zanda, vice capogruppo al Senato. Lui si è indignato per “l’uso della mazza ferrata giornalistica, editoriale e televisiva contro gli avversari del presidente del Consiglio”. Due errori da matita blu in un piccolo bla bla. Il primo è che la faccenda di Montecarlo ormai sta su tutte le gazzette e i tigì, anche su quelli che sono nemici giurati del Caimano. Il secondo riguarda la vecchia professione di Zanda. Quando era il segretario generale del gruppo Espresso-Repubblica si congratulava vivamente per le nostre inchieste su Tizio e su Caio. E non ci ha mai considerato dei mazzieri, bensì campioni del giornalismo investigativo.
Uno che non è da bocciare, bensì da compiangere con simpatia è Benedetto Della Vedova, vice capogruppo dei deputati futuristi. Da bravo valtellinese, si è messo lo zaino da battaglia. E va in tivù a spiegare l’arcano di Futuro e Libertà. Ossia a sostenere che i finiani restano nella maggioranza di centro-destra, accanto al Caimano, e non vanno con le opposizioni. Lo dice con garbo, da vero signore. Senza rendersi conto di accrescere la quota di grottesco che sprigiona dallo scisma di Fini.
Il grottesco aumenterà a dismisura quando inizieranno le manovre per le prossime elezioni. Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, ha già proposto di costituire un Grande Esercito di Liberazione per liquidare il Cavaliere. Ma leggerlo su Repubblica e ascoltarlo alla tivù, ti suggerisce una previsione sola. Se finirà così, vincerà di nuovo Berlusconi.
E se è vero che il premier si prepara a campare sino alla bellezza di 120 anni, molti non ne vedranno mai la caduta. A cominciare da me, che me ne andrò al Creatore senza poter sapere come sarà l’Italia di allora. Posso aggiungere per fortuna? Sì, l’ho aggiunto.

Con questi tre post di oggi vi auguro buone vacanze. Ritornerò on line a settembre. Sul primo articolo del Corsera nessun commento: le dichiarazioni dei finiani si commentano da sole e fanno nascere una domanda molto semplice: il cofondatore del PdL, Gianfranco Fini, cosa pensava di Berlusconi quando decise di unirsi a lui?

Berlusconi, finiani all'attacco
«Chiarisca su Arcore e sulle sue società»


Affondo di Briguglio. Bocchino a Bondi: Fini deve lasciare? Dica allora che pensa del premier plurimputato.


Non si placa la polemica tra finiani e Pdl. Anzi, la tensione sale alle stelle. L'escalation di accuse reciproche ormai è inarrestabile e le parole pronunciate dal leader della Lega Umberto Bossi («Siamo nella palude, l'unica possibilità è votare») lasciano pensare che lo scenario di un'accelerazione verso la crisi di governo sia sempre più plausibile. Ed è lo stesso premier Silvio Berlusconi a finire nel mirino dei finiani. Il capo del governo, è l'affondo di Carmelo Briguglio, deputato del gruppo Futuro e Libertà e molto vicino a Gianfranco Fini, «ha il dovere di dire agli italiani come acquistò la villa di Arcore dove viveva insieme all'eroe Vittorio Mangano, come riuscì ad assicurarsi per soli 500 milioni di lire questo immobile di 3.500 metri quadri con terreni di circa un milione di metri quadri grazie al ruolo di Cesare Previti prima avvocato della venditrice e subito suo legale e uomo di fiducia». «Fini - ci tiene a sottolineare ancora Briguglio - ha dato risposte precise ed esaurienti sulla casa ereditata da An a Montecarlo. Attendiamo ora che altrettanto faccia il presidente del Consiglio. E dica anche se lui, la sua famiglia, il suo gruppo imprenditoriale fanno ricorso a società offshore con sede in paradisi fiscali e dia tutti i dettagli sugli intrecci fin dall'inizio della sua attività imprenditoriale con finanziarie svizzere. Aspettiamo sue dettagliate ed esaurienti risposte». Rincara la dose contro il Pdl Fabio Granata, che sul suo blog attacca: «È oramai evidente che lotta alle mafie, legalità, questione morale rappresentano argomenti off limit nel Pdl, se utilizzati fuori dalla propaganda autoreferenziale del governo».

SENATORI APRONO AL DIALOGO - Se tutti i finiani però sono d'accordo nel difendere il presidente della Camera dagli attacchi dei «giornali berlusconiani», sulla strategia da adottare nei rapporti con il Pdl non c'è all'interno di Futuro e Libertà una posizione condivisa. prova ne è il fatto che a differenza della maggior parte dei deputati finiani, il gruppo dei senatori di Fli apre al dialogo: «Dopo i polveroni polemici e strumentali di Ferragosto - scrivono in una nota - a settembre la strada maestra deve essere quella di un serio confronto nella maggioranza sull'agenda di governo». Proprio a questi senatori si è è rivolto a fine giornata il presidente del Consiglio. Berlusconi ha spiegato di apprezzare l’atteggiamento costruttivo espresso, auspicando una nuova «unità». Altrimenti saranno inevitabili, ha detto il premier, «scelte dolorose e definitive».

BOCCHINO CONTRO IL COORDINATORE PDL - L'affondo di Briguglio su Berlusconi è solo l'ultimo capitolo delle tensioni tra Pdl e finiani. Che hanno fatto registrare anche uno scambio di battute al vetriolo tra il coordinatore del Popolo delle Libertà Sandro Bondi e Italo Bocchino. Il capogruppo di Futuro e Libertà a Montecitorio ha replicato attraverso una nota al ministro che lo aveva accusato «di essere in stato confusionale». «Ha chiesto - ha detto Bondi - le dimissioni di mezzo governo e contemporaneamente una verifica di maggioranza a settembre».

ATTACCO A BONDI - «Bondi anziché aggredirmi verbalmente dicendo che sono in stato confusionale - attacca Bocchino - farebbe bene a dirci se nella scala dei suoi valori deve dimettersi prima un plurimputato come Berlusconi o il presidente Fini a cui la magistratura non ha niente da chiedere neanche come persona informata sui fatti». «La differenza tra noi e Bondi - continua il finiano - è anche nella lealtà perché noi abbiamo sempre difeso Berlusconi dalle aggressioni esterne mentre loro si sono fatti promotori di un'aggressione contro Fini soltanto perché, e uso parole di Feltri, non si è voluto "mettere a cuccia" nel "partito contorno"». «Che Bondi provi piacere a stare a cuccia facendo il contorno di Berlusconi è comprensibile, così come è comprensibile - conclude Bocchino - che Fini con la sua storia e il suo consenso abbia scelto di non starci».

LA NOTA - Le parole di Bondi che hanno fatto scattare la dura replica di Bocchino erano contenute in una nota del ministro: «Ho l'impressione che all'onorevole Italo Bocchino sfugga, quantunque faccia sfoggio di baldante sicurezza, la durezza e al tempo stesso la complessità della politica». Il coordinatore nazionale del Pdl aveva poi aggiunto: «Chiedere, come fa oggi l'onorevole Bocchino, da una parte le dimissioni pressoché dell'intero governo e dall'altra parte la convocazione di un vertice con tanto di verifica, tradisce l'estremo stato di confusione e di smarrimento in cui si trova il capogruppo di Fli». Martedì Bocchino aveva detto che chiedendo le dimissioni di Fini, come insiste da giorni una parte del Pdl, «si correva il rischio di una grave crisi istituzionale».

« SI DIMETTA BERLUSCONI» - Bocchino - in un'intervista a Repubblica - ha poi aggiunto che le possibilità che Fini si dimetta «sono pari a zero». E certo, prima di lui, «che non è nemmeno sotto processo», dovrebbe essere «Berlusconi a dimettersi, al contrario imputato in più processi» e con lui «per lo stesso motivo i ministri Matteoli, Fitto e il sottosegretario Bertolaso». Il capogruppo di Futuro e Libertà alla Camera sottolinea che se i berlusconiani «vanno avanti di un solo passo siamo alla crisi istituzionale» e «la sta aprendo Berlusconi». Il presidente della Camera, dice, «dipende dal Parlamento che gli dà la fiducia, ma il Parlamento non può e non deve dipendere dal governo». In ogni caso, si chiede come possa il Cavaliere chiedere le dimissioni di Fini, «proprio lui che è imputato in più processi» come i ministri e il capo della Protezione Civile. «Noi - aggiunge - non abbiamo mai chiesto le loro dimissioni». Anche se Berlusconi ufficialmente in questi giorni non si è pronunciato, per Bocchino «ci sono prove inconfutabili che lui sia il mandante di tutta l'operazione»: in primis le dimissioni chieste dal portavoce del Pdl (Capezzone) e mai smentite, e in secondo luogo «la raccolta di firme contro Fini arrivata dal Giornale, che è una sua proprietà». Il «rispetto del ruolo istituzionale di Fini» diventa allora «una precondizione» per evitare la crisi: «Non possiamo più stare a guardare gli avvoltoi, non possiamo più tollerare che il presidente della Camera sia quotidiano bersaglio della stampa berlusconiana».
 

giovedì 5 agosto 2010

2 case e 2 misure per il giornalismo italiota

Con questo post chiudo il sequel, per effetto nausea,  sulla casetta monegasca abitata dal "cognato" del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Il Riformista, quotidiano di sinistra, è l'unico che precisa il pessimo comportamento dei giornali italiani, Corsera e Repubblica in testa,  sulla scandalosa questione e sui silenzi dell'ex camerata Fini, ora moralista e giustizialista.

2 case e 2 misure per il giornalismo
di Fabrizio d'Esposito
 
Due case e due misure. La casa di Scajola, con vista Colosseo. La casa a Montecarlo della discendente fascista di Colleoni, quello con tre attributi, finita al “clan” Tulliani.
 
Il giornalismo italiano non finisce mai di sorprendere. La notizia, dunque. Una settimana fa, Gian Marco Chiocci del Giornale di Vittorio Feltri ha scoperto che a Montecarlo c'è un appartamento di 75 metri quadrati abitato da Giancarlo Tulliani, fratello della nuova compagna del presidente della Camera, Elisabetta. La storia ha un antico sapore di destra: la casa faceva parte dei beni che la nobildonna Anna Maria Colleoni lasciò in eredità ad An, nel 1999, per la «buona battaglia» del partito. Abbandonata per quasi dieci anni, l'abitazione nel 2008 viene venduta da An a una società off shore (non immobiliare) con sede ai Caraibi, la Printemps Ltd. Prezzo messo a bilancio del partito finiano: 67mila euro, a fronte del milione e mezzo offerto da alcuni residenti di Montecarlo tre anni prima, nel 2005. Contestualmente la Printemps rivende la casa a una sua società gemella, Timara Ltd, per 330mila euro e la dà in locazione a Giancarlo Tulliani.
Una storia enorme. Che però giace per giorni solo su due quotidiani. I più berlusconiani d'Italia: oltre al Giornale di Feltri, anche Libero di Maurizio Belpietro. Così il duello finale tra il Cavaliere e l'ex delfino Gianfranco fa piegare il valore oggettivo della notizia, innegabile, alle convenienze politiche di parte.

C'è chi bastona Fini e chi no. Le polemiche si sprecano. Due case e due misure, appunto, per comparare Scajola e Fini. Epperò. A Feltri e Belpietro, secondo molti i dioscuri del giornalismo con il manganello, va dato atto che hanno menato in entrambi i casi, contribuendo pure alle dimissioni del ministro dello Sviluppo economico. Da ieri, poi, la notizia sugli altri quotidiani c'è finita. Per un motivo semplice: i legali di Tulliani hanno annunciato querele varie. Perché nel frattempo l'indagine giornalistica, oppure il «trattamento Boffo», con riferimento alla vicenda dell'ex direttore di Avvenire, si è ampliata anche alla precedente relazione di Elisabetta Tulliani. Quella con l'ex patron del Perugia calcio Lucianone Gaucci, che prima di fuggirsene latitante a Santo Domingo per i suoi guai giudiziari intestò una marea di beni a Elisabetta. Di qui un'altra querelle perché adesso Gaucci, tornato in Italia, li rivorrebbe indietro e ha fatto causa all'intera famiglia Tulliani: Elisabetta, il fratello Giancarlo, il papà Sergio e la mamma Francesca Frau.

Dall'inner circle del presidente della Camera, riferiscono che «Gianfranco è letteralmente furioso» e per questo motivo sarebbe pronto a ributtare nell'arena politica la questione del conflitto d'interessi del premier (il Giornale è di proprietà di Paolo Berlusconi). Non solo: ieri il suo portavoce Fabrizio Alfano ha annunciato altre querele: «Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha conferito incarico all'avvocato Giulia Bongiorno di agire in sede legale contro il Giornale e il suo direttore per aver pubblicato negli ultimi giorni una serie di notizie false e diffamatorie riguardo alla cessione, da parte di Alleanza Nazionale, di un immobile ubicato a Montecarlo. ll presidente Fini non è titolare dell'appartamento, e non sono a lui riconducibili le società che hanno acquistato l'immobile. Del pari è falsa la notizia relativa alla cifra versata quale corrispettivo». Questa la reazione del Diretur: «Quereli pure. Ride bene chi ride per ultimo». In ogni caso, resta la sostanza del problema politico-giornalistico: da quando Fini è diventato l'anti-Berlusconi per eccellenza scrivere del clan Tulliani per molti è diventato difficile e sconveniente, nonostante le notizie.

Eppure il peso della famiglia della nuova compagna del presidente della Camera sembra sia molto importante. Un problema grande più e quanto di una casa, seppur a Montecarlo, per il leader di Futuro e Libertà. Come dimostrano gli scoop passati di Dagospia, anche questi ripresi con le molle dai media italiani, sugli affari Rai dei Tulliani: prima il fratello Giancarlo, poi la mamma Frau.

La Fineide di Feltri pare sia destinata a proseguire nei prossimi giorni con altri colpi, compresa un'intervista verità a Gaucci sulla sua ex fidanzata. E chissà se il patron tirerà fuori un ricordo particolare della sua relazione con Elisabetta Tulliani. Ossia di quando la accompagnò nel 2004 alla sede nazionale di Forza Italia per tentare di inserirla nella lista azzurra per le europee. Ma i vertici forzisti dissero di no e lei rimase molto delusa.

[FONTE
 

mercoledì 4 agosto 2010

SENZA COMMENTO...

Come ti infeltrisco Fini

Prima vi consiglio la visione di questo filmato, tratto dalla videoteca del quotidiano La Repubblica, in maniera da capire chi è l'attuale compagna dell'ex camerata Fini.  

“querelare senza spiegare né motivare è un atto di spocchia e di arroganza che non chiarisce la vicenda dell’appartamento di Montecarlo - Da notare che Fini, oltre a parlare ogni due minuti di moralità e legalità, si proclama difensore della libertà di stampa. Quale libertà di stampa? Quella che consente di sbertucciare i suoi avversari e soltanto quelli? Qui non siamo di fronte a una storia di letto e di corna: c’è di mezzo il patrimonio di un partito che non è proprietà privata del suo ex leader, bensì appartiene a tutti gli iscritti”
Gianfranco Fini ci ha querelato. Ma querelare senza spiegare né motivare - scrive Vittorio Feltri su IL GIORNALE - è un atto di spocchia e di arroganza che non chiarisce la vicenda dell'appartamento di Montecarlo. Vicenda complessa di cui oggi forniamo ulteriori particolari che ne comprovano la fondatezza nei termini descritti dal nostro inviato Gian Marco Chiocci.

Riassumo. Una nobildonna lascia in eredità ad Alleanza nazionale un alloggio nel Principato di Monaco affinché sia destinato a finanziare ‘la buona battaglia' degli ex missini. Valore dell'immobile: oltre 2 milioni di euro. Trascorre un po' di tempo e si scopre che il quartierino è nella disponibilità del fratello di Elisabetta Tulliani, compagna di Fini.

Come mai? La casa è stata ceduta a prezzo stracciato da An a una società con sede in un cosiddetto paradiso fiscale, e per quale tortuosa via sia finita proprio lì non si sa con precisione. Il Giornale denuncia il tutto con una serie di articoli che sollevano vari dubbi sulla liceità dell'operazione. Il presidente della Camera, anziché giustificarsi, affida all'avvocato l'incarico di querelarci. Giudichino i lettori se è questo il modo migliore di agire.
 
Da notare che Fini, oltre a parlare ogni due minuti di moralità e legalità, si proclama difensore della libertà di stampa. Quale libertà di stampa? Quella che consente di sbertucciare i suoi avversari e soltanto quelli? Qui non siamo di fronte a una storia di letto e di corna: c'è di mezzo il patrimonio di un partito che non è proprietà privata del suo ex leader, bensì appartiene a tutti gli iscritti.

L'appartamento donato dalla contessa Colleoni doveva essere utilizzato per scopi politici e non per ospitare il ‘cognato' di Fini. Sono concetti che il Giornale ha espresso più volte, ma vale la pena ribadirli nel momento in cui il presidente della Camera ricorre alle carte bollate per zittirci, confermando il vizietto di sentirsi un padreterno il cui nome non può essere citato se non accompagnato da lodi sperticate.

Ricordo, in proposito - prosegue Feltri su IL GIORNALE - le sue reiterate richieste di licenziamento del sottoscritto, presentate a Silvio Berlusconi, solo perché, undici mesi orsono, mi ero permesso di criticarlo e avevo annunciato quello che poi in effetti sarebbe successo.

E cioè che lui, pur essendo presidente della Camera eletto in base a un accordo politico col Pdl, avrebbe tradito gli impegni assunti e mostrato ostilità verso la linea della maggioranza e del governo. In sostanza, che avrebbe recitato due parti in commedia: quella di uomo delle istituzioni e quella di leader politico in contrasto col proprio partito. Previsione azzeccata, di cui però non mi glorio, avendola ricavata dalla semplice osservazione della realtà.

Ogni dichiarazione di Fini è sempre stata accolta dagli applausi della sinistra solo perché tesa a demolire l'esecutivo e il premier. Se un personaggio di spicco della destra diventa un'icona della sinistra o c'è qualcosa che non va in lui o c'è qualcosa che non va nella sinistra. Alla luce degli ultimi avvenimenti completo il ragionamento: non vanno né lui né la sinistra.
 
Se Pier Luigi Bersani è costretto a usare Fini come cavallo di Troia, e se Fini si presta quale cavallo di Troia per conto di Bersani, non erano i miei articoli del settembre 2009 a dover essere censurati, ma la politica dei sullodati signori. Nonostante ciò, il presidente della Camera continua a prendersela col Giornale, convinto che esso sia la causa dei propri guai.
 
È colpa nostra, e non sua, se si è comportato da nemico del Pdl che ha contribuito a fondare. È colpa nostra, e non sua, se un appartamento regalatogli dalla vedova Colleoni affinché lo usasse a favore del partito è abitato invece dalla famiglia Tulliani. Attingiamo al vocabolario di Fini per il commento: siamo alle comiche finali", conclude Feltri su IL GIORNALE.


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martedì 3 agosto 2010

E adesso, povero Futurista?

Ormai è diventata una consuetudine di questo blog pubblicare gli scritti di Giampaolo Pansa.Non poteva mancare questa "riflessione" sull'attuale presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini.

E adesso, povero Futurista?

di Giampaolo Pansa 

Qualche lettore del Riformista ricorderà un forte romanzo di Hans Fallada, scrittore tedesco del Novecento. Il titolo era: E adesso, pover’uomo? Raccontava le traversie dei tedeschi alle prese con la terribile crisi economica degli anni Trenta, quando la Germania stava per essere inghiottita dalla notte del nazismo.

Quel libro mi è ritornato alla mente nell’osservare l’ennesimo strappo di Gianfranco Fini e la sua dichiarazione di guerra a Silvio Berlusconi. Mi sono chiesto: e adesso che cosa accadrà al povero signor Fini? Proviamo a immaginarlo, saltando le puntate precedenti. E guardando in avanti, come ci impone la nuova insegna dei fuorusciti dal Pdl: Futuro e Libertà.

Tuttavia, sul passato almeno una cosa bisogna dirla. Nella finta conferenza stampa di venerdì, Fini si è lagnato di essere stato cacciato dal Pdl per decisione del Cavaliere, un dittatore che non sopporta il dissenso. Ma a mio parere la verità è opposta. È stato Fini a voler essere espulso. Se uno decide di mettere su casa con qualcuno e poi questo qualcuno comincia a sfasciarla, è il coinquilino distruttore che sceglie di essere mandato via. Questo suggerisce il buon senso.

Lasciando perdere il passato, una semplice occhiata al futuro ci dice che, allo stato dei fatti, Fini ha di fronte a sé due strade, entrambe molto impervie e con tanti serpenti sotto le foglie.

La prima è la più banale. Pur contando su un gruppo parlamentare di tutto rispetto, i futuristi sanno soltanto vivacchiare. Fanno un po’ di guerra al Cav, ma senza provocarne la caduta. E nel 2013, alla fine della legislatura, si ritrovano con un pugno di mosche. Nel voto successivo, anche in virtù dell’attuale legge elettorale, spariscono o quasi dal Parlamento.

Questa mi sembra la strada meno probabile. Il Futurista numero 1 è un leader giovane, in gennaio ha compiuto 58 anni, sedici meno di Berlusconi. Ha di certo grandi ambizioni, seppure ancora imprecisate. Vuole disarcionare il Cavaliere? Vuole fondare una nuova Destra? Vuole arrivare a Palazzo Chigi con l’aiuto delle tante sinistre? Ho già immaginato un ticket fasciocomunista con Nichi Vendola o qualche altro big rosso. Però l’ho fatto soprattutto per divertimento. Resta una verità indiscutibile: neppure Fini oggi ha ben chiaro quale sia il proprio traguardo. È soltanto un tattico, sia pure bravo nel navigare a vista. Ma allora non resta che passare alla seconda, ipotetica strada.

Qui l’unico dato certo è la buona consistenza numerica dei futuristi: per ora 33 deputati e 9 senatori. Nessuno l’aveva previsto. È stato un regalo a sorpresa, dovuto soprattutto al cesarismo suicida di Berlusconi. Che è andato a cacciarsi in una condizione pericolosa. Il Cavaliere era già prigioniero di Umberto Bossi. Adesso lo diventerà anche di Fini. I futuristi sono in grado di rendere infernale il percorso parlamentare di Silvio. E anche di far cadere il suo governo.

Vorranno farlo per davvero? Il Bestiario pensa di no. Le incognite successive sono rischiose. La prima è che il presidente della Repubblica potrebbe mettere in sella un governo di transizione dal quale Fini sarebbe escluso, poiché presiede la Camera. Quel governo potrebbe durare, grazie all’intervento di santa Scarabola, la patrona delle imprese impossibili. E durando potrebbe far bene, a vantaggio del paese. Ma in questo caso il futurismo finiano resterebbe ai margini di un processo del tutto nuovo.

L’altra incognita è presto descritta: Giorgio Napolitano non ce la fa a salvare la legislatura, deve sciogliere il Parlamento e indire le elezioni anticipate. Sarebbe una vera sciagura per i futuristi. Che difatti stanno già sgolandosi a dire che non le vogliono, mai e poi mai. Come ho ricordato, con la legge elettorale odierna se ne andrebbero a casa quasi tutti. Salvo nell’ipotesi fantascientifica di una coalizione a tre colori: rossa, bianca e nera. Un po’ troppi.

Esiste una prova di quel che ho detto. Molti sostengono che il Cavaliere stia pensando proprio al voto anticipato. Vorrebbe tirar fuori dal cassetto la vecchia bandiera di Forza Italia. Per poi spiegare al paese che l’Italia di oggi non ha bisogno di avventure, bensì di un governo del fare guidato da lui medesimo. E non è detto che non riesca a convincere la maggioranza degli elettori.

Già, l’Italia. Un paese che stenta a uscire dalla crisi economica e, meno che mai, dalla crisi sociale. Un paese spaventato dal grigiore che lo attende. Ancora inconsapevole che non potrà più vivere come è vissuto negli ultimi decenni, sempre al di sopra delle sue possibilità reali. Un paese che ha paura di perdere non soltanto il lavoro, ma pure i televisori al plasma, i cellulari di ultima generazione, l’internet a gogò, la droga di face-book, l’outlet ogni domenica, le crociere esotiche, l’università facile, il posto fisso, un miraggio purché non sia quello dell’infermiere, del badante, dell’idraulico. Un paese, infine, che aborre la severità, i doveri, il rigore, l’imperio delle regole e dell’onestà.

L’unico collante di questa Italia in frantumi è il disprezzo per la casta dei partiti. Lo sanno i nuovi futuristi? Penso di sì. Allo stesso modo sanno che, nel caso abbiano anche loro qualche panno sporco, prima o poi verrà fuori. Nel giro dei cronisti politici si dice che venerdì Fini non abbia voluto fare una conferenza stampa vera per timore di qualche domanda sull’appartamento di Montecarlo. Può darsi che non sia così. Ma un vecchio detto recita: a pensar male si fa peccato, però non si sbaglia quasi mai.

lunedì, 2 agosto 2010

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