martedì 31 agosto 2010

La vera sindrome di Gianfranco Fini

Terminate le brevi ferie, eccomi di nuovo fra voi con il commento esaustivo di Marcello Veneziani che interviene su quello che ormai è diventato un romanzo a puntate. Fra gli scoop giornalieri fatti da Feltri e quelli settimanali di Panorama, il silenzio di Fini non ha fatto altro che ingigantire ancor di più  la questione che è certamente morale, oltre che indagabile sia civilmente che penalmente.  

Vi racconto la vera sindrome di Gianfranco
di Marcello Veneziani 
  
 Ma perché lo ha fatto? Gira e rigira è quella la domanda su Fini che resta senza risposta. Tutti parlano del pasticciaccio brutto, da Montecitorio a Montecarlo, tutti conoscono le tappe dell'escalation ma in fondo non ci sono risposte alla domanda che pure sento ripetere ovunque io vada: ma cos'ha nella testa Fini, perché ha combinato tutto questo casino, dove vuole andare? Non pretendo di darvi una risposta convincente, mi limito a comporre le possibili spiegazioni in un racconto che tiene conto di tutte le più accreditate versioni, eccetto le tempeste ormonali. Escludo anche le cause patologiche, tipo la scatola cranica dei dobermann che a una certa età comprime il cervello e li fa impazzire, fino ad azzannare il padrone.

Fini soffriva della sindrome di Salieri. Sapete, Salieri era un musicista che non sopportava il successo del suo collega Mozart e dicono che abbia avvelenato il suo più famoso amico-rivale. Per tradurlo in termini correnti, diciamo che Fini ha vissuto per anni alla destra del Padre, soffriva del complesso del vicario; apparire sempre coprotagonista, cofondatore, spalla e cognato del Re, alla lunga logora e frustra. Non dimentichiamo il lato umano, la psicologia elementare. La stessa cosa accade al principe Carlo che ha passato una vita a fare l'erede, ma la regina non schioda e ora prevedono di bypassarlo. A Carlo per la rabbia gli sono cresciute le orecchie, a Fini il rancore.

A ciò si aggiunge la frustrazione dei sondaggi, dove Fini spopolava. E questo gli dava un senso di insofferenza anche verso il suo partito e la sua destra: si era convinto di essere più amato del suo partito e più grande della sua destra. In realtà confondeva la popolarità con il consenso, il generico apprezzamento con il voto. Se è per questo anche Almirante era ammirato da mezz'Italia e detestato dall'altra metà, ma poi visse al 5 per cento, per dirla con una poesia di Montale. Così Bertinotti. Mai confondere gradimento e consenso. Ma questa convinzione, probabilmente alimentata da chi gli sta vicino, lo ha portato a far crescere l'autostima e a nutrire un duplice fastidio: verso Berlusconi che gli faceva ombra, pur essendo più basso di lui, ma anche verso la sua destra, dalla base ai colonnelli tutti, che considerava con disprezzo la sua palla al piede, senza accorgersi che era il suo fondamento: è come un uccello che se la prende con l'aria perché fa resistenza al suo volo senza accorgersi che è l'aria a sostenerlo in volo, e senz'aria cadrebbe a terra.

Abbiamo così due spiegazioni di partenza, intrecciate e compatibili. Ma direte voi, un vero politico sa pazientare, conosce i tempi giusti per uscire allo scoperto, non rompe il gioco a metà fino a inimicarsi i suoi stessi elettori. Fini era il naturale successore di Berlusconi, e dopo la diaspora di Casini ancora di più; era perfino accettato dalla Lega, verso cui solo ora ha scoperto i suoi livori nazionalistici. Perché allora non ha avuto pazienza? Qui viene l'ipotesi chiave. Fini ha il terrore di succedere a Berlusconi come premier, ha orrore del gran lavoro, sa che sarebbe schiacciato sotto il peso del governo, non ce la farebbe. Lui aspira al ruolo di Speaker Supremo, cioè di presidente della Repubblica. Perché lui vuol essere Capo ma senza la fatica di governare; vuol essere sopra i partiti e non dentro, perché ha nausea dei medesimi, è single. Bello fare il presidente della Repubblica, magari qualche bel discorso a reti unificate, ricevi i potenti della Terra, passi dal Principato di Monaco al regno d'Italia, fai immersioni nelle tenute di Stato... Per andare al Quirinale deve azzoppare il suo più temibile concorrente interno, Berlusconi, e amicarsi la sinistra, senza aspettare il turno per Palazzo Chigi. Ecco, la partita è il Colle.
In tutto questo, capirete bene che a Fini il suo partitino gli serve solo come leva provvisoria, come calzante per mettersi le scarpe presidenziali; poi non serve più. Dopo aver scaricato il Fronte della Gioventù, l'Msi, l'elefantino, An, avete ancora qualche dubbio che Fini non sia disposto a sbarazzarsi dei suoi?

Non trascurate poi l'incoraggiamento avuto: dopo una vita d'insulti e di ghetto perché fascista, non gli è parso vero l’elogio della stampa e della sinistra.

Alla costruzione del movente manca però la causa scatenante. Quando Fini ha svoltato? Dicono al predellino che Fini ha subìto; ma sapeva che correndo da sola An, svuotata da anni di sfinimento, avrebbe perso voti. Io penso a due altre ipotesi, una vistosa e l'altra nascosta. La causa vistosa accadde due anni fa. È la convinzione finiana che Striscia la notizia lo abbia killerato per conto del Cavaliere, mandando in onda quei terribili filmati sulla Tulliani e Gaucci. Fu la svolta. Lui chiese la testa di Ricci e di Confalonieri, fece il diavolo a quattro, annunciò la fine di Mediaset... E invece, mi ha raccontato Antonio Ricci, il filmato andò in onda quasi per caso, anticipato da uno spezzone su Blob; giaceva lì da qualche giorno, lo tirarono fuori per casuali circostanze, senza parlarne con i vertici di Mediaset che magari avrebbero tentato di bloccarlo... Lui se la legò al dito, come poi col Giornale. Perché Fini è vendicativo, non ha la duttilità del politico intelligente né la magnanimità del vero capo.

Insomma la causa prossima fu Gaucci. Non è una gran bella causa e non è certo una base adatta per diventare presidenti della Repubblica, semmai per diventare presidenti del Perugia calcio, completando la successione a Gaucci...

In alternativa, se cercate una ragione più alta, complessa e dietrologica, ve ne prospetto un'altra concomitante: si narra dell'ostilità di Fini al progetto berlusconiano dell'accordo con Putin sul gasdotto che passa dall'Iran; un progetto sgradito agli ambienti che stanno dietro a Fini, che lo seguono da tempo, non solo agli Esteri, e lo hanno sdoganato nei luoghi giusti. Non so quanto sia vero, ma fa emergere anche l'ipotesi che Fini, come è sempre stato, sia eterodiretto, guidato, telecomandato. Insomma questo è il quadro generale delle ipotesi. Ora mi direte voi che ci azzecca con tutto questo il progetto politico, o addirittura culturale, la destra più moderna, la libertà, il futurismo, la legalità, e pure il suo partitino provvisorio, il suo pied-à-terre in aula. Ora i conti tornano, le contesse un po' meno...

Amici, suocera, cognato: è da 16 anni che Gianfry piazza i suoi alla Rai
di Gian Maria De Francesco

L’interessamento di Gianfranco Fini per i destini televisivi delle società partecipate dalla «suocera» Francesca Frau e dal «cognato» Giancarlo Tulliani non rappresenta un’eccezione. È da quando - nel lontano 1994 - il leader della destra italiana ha messo piede nel Palazzo che in un modo o nell’altro le sorti (e gli uomini e le donne) della tv pubblica gli stanno particolarmente a cuore.
È l’aprile di sedici anni fa, il centrodestra ha da poco vinto le elezioni e il presidente di Alleanza Nazionale non perde tempo. «I professori - dichiarò da Giovanni Minoli a Mixer - debbono andare a casa entro quindici giorni perché ormai sono delegittimati». Un inequivocabile avvertimento al Cda guidato da Claudio Dematté. Il suo primo atto è l’«inserimento» di Mauro Miccio nel Cda presieduto da Letizia Moratti. Ma il primo governo Berlusconi ha una durata troppo breve perché la strategia lottizzatoria possa estrinsecarsi.
Tuttavia nel cosiddetto periodo della «traversata nel deserto» (1995-2001), quello del centrodestra confinato all’opposizione, Fini balza ugualmente agli onori delle cronache. Si mette in evidenza per la difesa di Clemente Mimun, allora direttore del Tg2 «puntato» dalla sinistra. E poi inizia a raccogliere attorno a sé un côté di intellighenzia che il suo ex portavoce Francesco Storace all’epoca descriveva così: «Alla Rai si sono avvicinati tutti, ma i nomi non li faccio, siamo diventati perfino i difensori dei giornalisti di sinistra, quelli bravi. Da Michele Santoro a Lucia Annunziata, passando per il mio amico Sandro Curzi». E nel 2000, desideroso di poter catechizzare gli italiani all’estero, ottiene un notevole successo per un esponente dell’opposizione, conseguendo la nomina del fido Massimo Magliaro alla guida di Rai International.
Ma è solo dopo le trionfali elezioni del 2001 vinte da Berlusconi che Gianfranco Fini può nuovamente inebriarsi con il profumo del potere. E di quanto sia rilevante e influente il peso di An in Rai non fa mistero. Il primo vero atto, infatti, non è una nomina, ma uno squadernamento (attività che a Fini è sempre ben riuscita): manda infatti a monte l’accordo per la designazione di Carlo Rossella alla presidenza della Rai. Ma di quel periodo si ricorda meglio l’irresistibile ascesa dei «ragazzi di via Milano», gli ex redattori del Secolo d’Italia assurti agli onori del vertice della tv pubblica. Mauro Mazza diventa direttore del Tg2, Bruno Socillo del Giornale Radio, Gennaro Malgieri entra nel consiglio di amministrazione, Guido Paglia va alle relazioni esterne.
Diventano appannaggio finiano anche RaiSport con Fabrizio Maffei e i diritti sportivi con Paolo Francia. Quest’ultimo, però, ha vita breve nell’incarico perché commette un imperdonabile errore: contraddire il capo. Dall’alto infatti arriva l’ordine di acquisire i diritti dei campionati mondiali di sci da Media Partners. La richiesta è esorbitante, circa 8,5 milioni di euro all’anno. Francia rifiuta e Fini non la prende bene, silurandolo. Il nuovo direttore generale della Rai, Flavio Cattaneo, ottiene in consiglio l’approvazione di un contratto biennale da 3,8 milioni e il fatturato per Media Partners, società fino ad allora in difficoltà, triplica.
Ma non è l’unico caso in cui il nome di Fini viene citato dalle cronache di quel periodo. Il suo portavoce Salvo Sottile viene «beccato» dal pm voyeur Woodcock con qualche valletta al ministero degli Esteri. Fini, dispiaciuto e rammaricato come oggi per Tulliani, non esita a farne subito a meno. Eppure il sottosegretario Santanché ha raccontato di recente che fu il numero uno di An a «inaugurare Vallettopoli» inserendo nei programmi Rai «Fanny Cadeo e Angela Cavagna, soprannominata “la tetta della destra”»
E, per dirla tutta, anche nelle intercettazioni dell’ex direttore di RaiFiction Agostino Saccà con le quali si pensava di imbarazzare il premier c’è un nome che ricorre un paio di volte. Indovinate quale? «Hanno fatto un provino a un certo Petrella che interessa a Fini personalmente, che ha chiamato Fini personalmente», si confidò al telefono l’ex dirigente. In un’altra intercettazione si lamenta dell’asse An-centrosinistra (è la Rai di Prodi, ndr) che consente al dg Cappon di procedere spedito alle nomine: «avranno avuto una benedizione di Fini».
La cronaca recente, dopo che Fini, reinsediatosi Berlusconi, bloccò per mesi le nomine Rai pur di assicurare a Mauro Mazza la direzione di Rai1, non sorprende. Un milione e mezzo di euro alla At Media della «suocera» Francesca Frau per lo spazio Per capirti su Rai1 (ora bloccato). E una serie di pressioni su Guido Paglia per ottenere un minimo garantito per il giovane Tulliani nonostante non fosse iscritto nell’elenco dei fornitori Rai. Tre titoli minori venduti a Rai Cinema e sogni di gloria richiusi nel cassetto.