sabato 22 ottobre 2011

Fini Gianfranco da Bologna dixit.

Navigando in rete ho trovato questo commento ad una delle tante esternazioni dell'ex fascista bolognese Gianfranco Fini, attuale presidente della camera dei deputati. 

La superiorità morale di Fini

Gianfranco Fini su Twitter: "I leader politici devono avere uno stile sobrio e austero privo di volgarità". Tanto per cominciare, evitare i soggiorni a Montecarlo e zone limitrofe. twitter@franborgonovo


Esternazione pseudo-moralistica che mi fa sorgere un dubbio: a farla è lo stesso Fini che si vede in questa foto a sinistra, oppure quello che diceva, in un video pubblicato in rete, che si sarebbe dimesso dallo scranno di Monte Citorio se fosse stato accertato che la casa diMonteCarlo regalata  al suo ex partito, l'MSI, e da lui (S)venduta, a sua insaputa al cognato, Tulliani. 
Questa "storiella" somiglia molto a quella dell'ex ministro Scajola   che dichiarò, cadendo nel ridicolo, di non sapere che la casa con vista sul Colosseo era stata pagata, a sua insaputa,  da altri! 

lunedì 17 ottobre 2011

Il leader dell'Idv, sul suo blog, dopo la devastazione della Capitale, punta il dito contro l'esecutivo.





Nessun esame di coscienza. Nessun pentimento. Nessuna autocritica. Il pensiero che le sue dichiarazioni non abbiano contribuito a placare l'ira dei teppisti che hanno devastato la Capitale non sfiora nemmeno per un attimo Antonio Di Pietro. 

 Frasi come "Berlusconi se ne vada, prima che ci scappi il morto" o "la rivolta sociale è alle porte" per lui sono parole gettate al vento, così, tanto per dire. Per non parlare poi delle continue dichiarazioni e invettive condite con epiteti e insulti non proprio degni del ruolo istituzionale che il leader dell'Italia dei Valori svolge. Quel che conta è cavalcare la protesta, fomentare gli animi, gridare a squarciagola e vaticinare l'autunno caldo.

 Poi una volta che succede quello che è successo ieri a Roma, ecco che l'ex pm punta il dito contro il governo. E nel suo blog scrive: "Un governo che compra voti alla luce del sole che combatte ogni giorno contro la legalità, che presenta al mondo un quadro desolante di corruzione, è l’opposto esatto di quel che servirebbe per offrire alla rabbia dei giovani una speranza e uno sbocco politico anzi, i suoi atteggiamenti sono una vera e propria provocazione che alimenta chi ieri ha messo a ferro e fuoco la capitale".

Insomma, per Di Pietro è colpa dell'esecutivo se cinquecento incappucciati hanno sfondato le vetrine dei negozi capitolini, se hanno lanciato sanpietrini alle forze dell'ordine, se hanno incendiato le automobili di cittadini incolpevoli, se hanno bruciato le bandiere dell'Unione Europea e dell'Italia, se hanno sputato e lanciato uova a Marco Pannella.

Poi però c'è il Di Pietro che, forse ricordando il suo trascorso da poliziotto, difende gli agenti. "Voglio prima di tutto complimentarmi ed esprimere la mia affettuosa vicinanza agli agenti delle forze dell’ordine, la cui perizia e il cui senso della misura hanno impedito che ieri una situazione drammatica degenerasse in tragedia. Subito dopo voglio esprimere piena solidarietà a quel 99% di manifestanti che, nonostante una situazione di grande tensione e rabbia, ha rifiutato e respinto le provocazioni. Non oso pensare a cosa sarebbe successo se ieri ad abbandonarsi alla violenza, invece di un migliaio di delinquenti, fossero state le centinaia di migliaia di giovani che hanno invece manifestato pacificamente".

Non vogliamo immaginarlo neanche noi. Ma basta continuare la lettura dello scritto per accorgersi come Di Pietro torni subito sui suoi passi e si ravveda, tornando nei panni del dietrologo: "Mi chiedo, e chiedo al governo e alle autorità competenti, come sia stato possibile che poche centinaia di teppisti abbiano potuto agire indisturbati per ore fino a che non sono riusciti, alla fine, a ottenere quello che cercavano, coinvolgendo negli incidenti molti altri manifestanti. Non voglio neppure pensare che dietro questa incomprensibile strategia ci fosse la scelta precisa di fare in modo che la manifestazione degenerasse per conquistare un argomento di facile propaganda politica".

Come non detto: è il solito Di Pietro. Che poi conclude il suo intervento aleggiando ancora lo spettro della rivolta sociale: "Se non riusciamo a offrire rapidamente uno sbocco pacifico e democratico a quella frustrazione sarà molto difficile evitare che imbocchi la strada della rivolta sociale". Ma se anche lui contribuisse a morigerare le sue dichiarazioni di sicuro non farebbe cattivo regalo al pacifismo e alla democrazia.

di Domenico Ferrara

[FONTE

domenica 16 ottobre 2011

Ecco la lettera segreta intercettata a Bersani

Il leader del Pd lancia un appello: molliamo procure, Cei e indignati e facciamo proposte. Realtà o fantapolitica?

E' arrivata in busta chiusa questa lettera riservata di Pier Luigi Bersani ai suoi.
 Non posso garantirne l'autenticità, ma è interessante. Ecco il testo. 
 «Cari compagni e amici del Pd, Berlusconi la maggioranza assoluta della Camera l'ha confermata. I giornali ci tengono bordone e parlano di vittoria di Pirro. In effetti se Berlusconi non fa qualcosa di serio per riprendere in mano il governo e la maggioranza, con una svolta decisionista dopo i tanti mesi in cui l’abbiamo obbligato alla paralisi e alla strategia difensiva, si troverà di nuovo nei guai tra non molto. Ma noi che facciamo? I radicali saranno anche “stronzi”, come dice la presidente del partito, ma loro hanno risposto che siamo “mediocri” e “buoni a nulla”, un insulto-diciamocelo senza ipocrisia - più ficcante e preciso del nostro. Berlusconi sembra ormai un difensore delle istituzioni e del regolare svolgimento della vita politica in tempo di crisi, sembra un leader assediato da una canea propagandistica incapace di dare una qualunque prospettiva al Paese. Fossero riusciti i nostri agguati,con l’aiuto di tante Procure in mezza Italia, dei potenti e suggestivi mezzi del gruppo Espresso-Repubblica, forse oggi saremmo in grado di parlare di Berlusconi al passato, il che sarebbe comunque un risultato, anche se mi tremano le vene dei polsi a pensare che cosa poi dovremmo fare. Gli indignados? Ma via, compagni, lo sapete meglio di me che quelli sono movimenti “spintanei”, vanno a spinta, una volta sono viola e un’altra sono spagnoli, ma sempre roba scombiccherata e cieca restano, e oltre tutto lavorano per quel piccolo demagogo di Vendola, per quel trombone di magistrato entrato in politica che ci portiamo appresso. 

E allora che facciamo? Casini ci mena per il naso, eppoi sebbene la gerarchia cattolica faccia il suo solito salto della quaglia, con tanti a reggere la tonaca imbizzarrita, alla fine è una cosa embrionale, quelli seri non ci stanno a fare una rivoluzione bianca contro il centrodestra, e quanto ai programmi, alle idee e ai valori, lo sapete come lo so io, nessuno è più lontano da noi dei preti veri, non i pretini che predicano la questione sociale: c'è un Papa che si chiama Ratzinger e non molla un centimetro sulle cose non negoziabili, i cosiddetti valori. Lavorare per gli indignados, per Casini o per i pretini non mi sembra una grandissima soluzione. D'accordo? Certo, siamo procure-dipendenti, Repubblica-dipendenti (nel senso del giornale e dei suoi scrittori paracalvinisti che hanno in mente un'Italia che non c'è, la dittatura della virtù e altre follie lontane dalla nostra cultura). Siamo anche dipendenti, ormai, dal salottone della City di Londra e da quei gregari dei giornali stranieri che non capiscono un tubo dell'Italia vera, e intonano con me continue richieste di dimissioni. Ma è roba buona a creare un'atmosfera, sappiamo tutti che contano un’acca quanto all'orientamento effettivo sia delle cancellerie europee e mondiali, che alla fine i conti li fanno con il capo del governo in carica, sia al modo di vedere le cose dei cittadini di questo Paese. Ma prima o poi bisognerà che ci inventiamo una politica, non credete, cari compagni? 

 Ho una proposta. Siamo il primo partito nei sondaggi, siamo dominatori in Parlamento nell'area dell'opposizione. Possiamo tutto sommato riprendere almeno in parte il controllo del partito e della Cgil, e siamo nati per costruire un orizzonte riformista, non la caciara attuale, inconcludente com'è. Tanta gente, ma proprio tanta, spera che noi siamo capaci di proporre una cosa migliore di quella che propone Berlusconi e fa Berlusconi, un governo e un programma di alternativa fondato su fatti e cifre, su idee e forze capaci di realizzarle. Che ne dite se mandiamo affanculo tutti questi depistatori che ci hanno obbligato a fare politica come una setta di indignati speciali, e proclamiamo aperta una fase di lotta per vincere le elezioni del 2013, difendere gli interessi nazionali, farla finita con la politica dell'origliamento e del processo giudiziario come sostituto del consenso? 

Che ne dite se cavalchiamo il referendum per consolidare il bipolarismo di cui siamo coprotagonisti assoluti, magari con Berlusconi che lo fa pure lui, e aspettiamo con pazienza, ma preparandoci con grinta, la fine della legislatura?

Datemi un segno, ma già so che siete d'accordo, che non ce la fate più a fiancheggiare le mosche cocchiere, ronzanti e fastidiose, che hanno fatto della carrozza del Pd la succursale di mille avventure. Un saluto fraterno. Pier Luigi Bersani».

di Giuliano Ferrara
 
[FONTE]  

venerdì 14 ottobre 2011

Soltanto una ex democristiana può usare un simile turpiloquio!

I radicali spaccano il Pd.
La Bindi perde le staffe: "Sono degli stronzi...

Camera dei Deputati, aperta la stagione di caccia al radicale. La pattuglia pannelliana è stata determinante affinché il governo ottenesse la fiducia alla Camera dei deputati? 
Per qualcuno sì, per altri no. 
Ma fa lo stesso, nel dubbio meglio colpire. 
Quando le cose vanno male un capro espiatorio lo si deve comunque trovare, altrimenti si rischia di fare autocritica. E questa volta tocca ai seguaci di Marco Pannella ed Emma Bonino. La tensione alla Camera si tagliava coltello. Incontri, trattative e commenti a caldo. Poi scoppia il parapiglia: i radicali sono entrati in aula, gridano i deputati dell'opposizione che fanno capannello in Transatlantico. 

La sinistra perde le staffe: volano urla e insulti anche pesanti. La più arrabbiata è Rosy Bindi, presidente del Partito Democratico che sbotta: "Quando gli str.. sono str.. galleggiano senz’acqua". La colpa dei radicali? Non essere entrati in aula al segnale del generale Bindi. Così i radicali "liberi" hanno fatto scattare l'intolleranza di tutti quelli che speravano che fosse la volta buona per dare una spallata al Cavaliere. Fabio Granata, di Futuro e Libertà, ci va più leggero (per modo di dire): "Che pena i radicali! Avessero almeno chiesto l’amnistia! Ma per un tozzo di pane o una radio non si può". Antonio Di Pietro invece, prima della votazione finale, salmodiava sui numeri della maggioranza: "Il governo non ce la fa, nel senso che non c’è più una maggioranza politica, ma solo numerica, dovuta al fatto che i radicali hanno cercato la loro visibilità". L'ex pm non funzionato e c'è stato uno scambio di battute piuttosto acceso tra la Melandri e Nannicini e i deputati Radicali Farina Coscioni, Turco e Beltrandi. Poi arriva Franceschini e suona il gong: fine del round, tutti giù dal ring. I radicali non c'entrano un accidenti: "Non sono stati determinanti". Il capogruppo dei Democratici alla Camera spiega, pallottoliere alla mano, che al termine della prima chiama i votanti erano 322, di cui 315 sì (voti di maggioranza) e 7 no (cinque radicali e due Autonomie). Dunque il numero di 315, necessario per far scattare il numero legale, era già stato raggiunto prima dell’ingresso in aula dei radicali. Questa la teoria di Bersani. Epperò ci sarebbe una strategia molto più sottile. I radicali semnrano essere stati determinanti per la tenuta del numero legale durante il voto di fiducia al governo creando una sorta di "effetto traino" per quota 315. Il primo deputato radicale che ha votato è stato Marco Beltrandi, per 298/o. Dopo di lui ci sono stati gli altri voti radicali e 14 della maggioranza. Insomma il calcolo è complesso, ma per sicurezza la sinistra se la prende coi Radicali.


giovedì 13 ottobre 2011

Destra o sinistra pari sono quando si tratta di compagni di merende!

L'inchiesta Penati-Serravalle inguaia gli uomini di D'Alema
I pm controllano gli incarichi esterni della società indagate per l'ex vice di Bersani. Spuntano professionisti vicini a Max


Son lì con i pacchi di documenti da spulciare, i magistrati di Monza che accusano Filippo Penati di corruzione e concussione e finanziamento illecito del partito. E i diversi fronti d'inchiesta si conoscono: da una parte i maneggiamenti intorno all’ex Falck, l'area dismessa (ormai da più d’un decennio) di Sesto San Giovanni ancora da edificare e intorno alla quale sarebbero svolazzate mazzette e quant'altro. E poi c'è la questione Milano Serravalle, società tra le altre cose proprietaria dell'autostrada Milano-Genova e controllata dalla Provincia di Milano: com’è noto, nel 2005 proprio la Provincia - con Penati presidente - acquistò dal gruppo Gavio il 15 per cento di azioni della Serravalle pagandole uno sproposito, e poi subito dopo proprio il gruppo Gavio aiutò la Unipol di Consorte - ai tempi del tutto organico al partito che allora si chiamava Ds - nella fallita scalata alla Banca Antonveneta. E insomma, i pm sospettano che anche questa faccenda nasconda tangenti e accordi illeciti. Tanto che da settimane stanno analizzando bilanci e scandagliando consulenze più o meno sospette. E questo per inquadrare la situazione.

Consulenze: Ecco, le consulenze della Milano Serravalle. Capitolo interessante. Proprio Libero ha raccontato i tanti incarichi professionali che la società in questione assegnò a Renato Sarno, l'architetto pugliese molto vicino allo stesso Penati e anch'egli indagato nell'inchiesta di Monza: addirittura due milioni di euro dal 2005 al 2009, fra “progetti speciali” e “valorizzazione aree di servizio” e “innovazione e servizi” e così via. E ancora Libero rivelò l'interesse dei pm brianzoli per l'inchiesta di Bari - quella su Tarantini, escort e via dicendo -, poiché lo stesso Sarno risultava collegato, come socio in una società immobiliare, ad alcuni personaggi che compaiono negli atti dell'inchiesta pugliese: l'imprenditore Enrico Intini - la cui amicizia con D'Alema veniva rimarcata nel gennaio 2009 dal Corriere della Sera; e poi Roberto De Santis - anch’egli amico nonché compagno di partito di D'Alema, cui nel ’94 vendette la famosa barca Ikarus; e anche Salvatore Castellaneta - si ventilava fosse il proprietario della masseria da cui D'Alema annunciò la «scossa» al governo Berlusconi poco prima dell'esplosione del caso D'Addario, ma la notizia è stata smentita. E comunque, Sarno e Intini e De Santis e Castellaneta: tutti insieme nella società “Milano Pace”, che realizzò un complesso immobiliare a Sesto San Giovanni anche questo citato negli atti dell'inchiesta di Monza.

La fondazione: Tornando alle consulenze della Milano Serravalle: i pm di Monza hanno notato un'impennata di spese per “incarichi professionali esterni”, dai 2 milioni e 33mila euro del 2005 (anno dell'operazione Serravalle) ai 3 milioni e 162mila del 2009 (ultimo con Penati alla guida della Provincia). Poi uno scorre l’elenco e insomma, quell'uomo lì - D'Alema, intendiamo - è anche sfortunato, ché dove ti giri ti giri e vien fuori il suo baffetto. Niente d'illecito, vediamo di scriverlo chiaramente. E non è nemmeno che si scopra oggi la concessione di incarichi agli amici degli amici - figuriamoci, siamo uomini di mondo, peraltro trattasi di valenti professionisti, sia detto senz'alcuna ironia. In ogni caso, dando un'occhiata proprio alle consulenze del 2009, compare fra gli altri il nome di Carlo Cerami. Il quale, oltre che esperto avvocato amministrativista, è stato coordinatore provinciale dei Ds, e anche responsabile della sede milanese di Italianieuropei, la fondazione presieduta proprio da D'Alema. Per Cerami tre incarichi in un anno, per complessivi 90mila euro. E, come detto, si parla solo del 2009. Proseguendo nella lettura, ci s’imbatte in un altro avvocato d’affari: Luigi Arturo Bianchi, che nel 2009 per “attività segretario organi sociali e assistenza” viene remunerato con euro 30mila. Bianchi è pure ordinario di diritto commerciale alla Bocconi, consigliere del calibro di Generali e Benetton - un fior di professionista, insomma. Peraltro, per usare ancora le parole del Corriere della Sera, «è anche animatore di Futura, il pensatoio fondato da Giuliano Amato e Massimo D'Alema», quello fondato nel 2003 e poi di fatto rimpiazzato da Italianieuropei, di cui lo stesso Bianchi è infatti collaboratore. Pensa te.

Ruoli bipartisan: In ogni caso, quello della Milano Serravalle appare quasi un caso di scuola, emblema di come una società pubblica possa diventare punto d'incontro di cotante professionalità certo eccellenti, e però spesso - come dire - riconducibili a personalità politiche (in senso bipartisan). Sempre nell’elenco di consulenze del 2009, 110mila euro vengono assegnati - “progetto internalizzazione e realizzazione call center” - all’ICT Consulting spa. Società molto quotata il cui presidente è Salvatore Randi, negli anni Ottanta direttore generale della Stet (sempre il Corriere: «...il manager voluto da Graziosi e Prodi...») e poi amministratore delegato di Italtel - in questo ruolo coinvolto nell’inchiesta Mani Pulite, lui si dichiarò vittima di concussione.

Altro capitolo: la realizzazione del sito web e una consulenza di comunicazione - sempre nel 2009 - affidate all'agenzia Sa.Sa., il cui patron Giorgio Cioni è anche un esperto di campagne elettorali - ha organizzato l'ultima del governatore lombardo Formigoni, di cui già nei primi anni Novanta era stretto collaboratore. E poi le consulenze fiscali, curate da uno dei migliori studi milanesi, il Vitali-Romagnoli-Piccardi, che fino al 2008 era presieduto da Giulio Tremonti. Fino alla polemica sugli incarichi alla società di un manager ch'era stato in affari con la moglie di Guido Podestà, nel 2009 succeduto proprio a Penati alla presidenza della Provincia - Podestà ha poi rimarcato come non ci fosse più alcun collegamento, e che con la nomina la Provincia nulla c'entrava. 

E comunque niente, tutto regolare, tutto così.

di Andrea Scaglia

[FONTE]

E' propio vero: al ridicolo non c'è limite.

Il bolognese Fini non fa passare giorno che non confermi il suo essere "unico & diverso". 
Lui non si è dimesso quando venne a galla la storiaccia dell'appartamento di Monte Carlo che era diventato di proprietà del cognato ma a sua insaputa.
Adesso chiede le dimissioni del direttore del TG 1 perché è di parte.  
Se il bolognese Fini fosse coerente dovrebbe, innanzi tutto, dimettersi dallo scranno di presidente della Camera, e chiedere, contemporaneamente, le dimissioni di tutti i direttori di testata del servizio pubblico RAI, nessuno escluso.

Ira di Fini: «Minzolini si deve dimettere»
«Intollerabile faziosità del telegiornale». Il caso per due servizi

«Augusto Minzolini si deve dimettere subito per l'intollerabile faziosità del suo telegiornale. C'è un limite anche all'indecenza». Lo afferma il presidente della Camera Gianfranco Fini in relazione a due servizi mandati in onda giovedì sera dal Tg1 che lo riguardano. Il presidente della Camera fa riferimento a due servizi del Telegiornale di cui uno riguardante l'intervista a Franco Bechis, vicedirettore di Libero. Fini fa sapere che nei confronti del Tg1 si riserva di tutelare la propria onorabilità in sede giudiziaria e professionale. 

(Fonte Ansa

mercoledì 12 ottobre 2011

Non è tutto oro quello che luccica in Parlamento

C’è il giochetto Giachetti dietro il flop del governo sulla legge di bilancio
  
 Lo chiameremo “il giochetto Giachetti” e sotto questo titolo siamo in grado di spiegare gli aspetti più cialtroni che hanno creato martedì pomeriggio a Montecitorio il caos e l'illusione che il governo fosse andato sotto politicamente, anziché con un trucco e su una questione di pura ratifica notarile: l’approvazione della legge di bilancio che è un atto dovuto del parlamento e del  governo.
Premessa e mea culpa: io sono uno degli assenti al voto di ieri avendo dovuto correre al pronto soccorso con un figlio che si è fatto male giocando a pallone e avendo poi avuto la sventura aggiuntiva di un taxi bloccato a piazza San Silvestro per i lavori stradali. D’accordo, tutte cose che non dovrebbero capitare, ma che invece capitano. Sono arrivato trenta secondi dopo la chiusura del voto, così come è successo a Umberto Bossi che stava fumando un sigaro fuori nel cortile del Transatlantico e che poi ha perso tempo con un giornalista. Si dirà: ma perché Bossi invece di restare in aula, si trovava in cortile a fumare? Giusta domanda.
La risposta è: per il trucchetto di Giachetti, che adesso racconterò. La premessa necessaria è che l’aula si riempie e si svuota secondo se ci sono o no votazioni in corso: nel Parlamento italiano è permesso infatti agli oratori di ammannire i loro avvocateschi e vanitosi pistolotti retorici per dieci e anche quindici minuti, motivo per cui quando si svolge la prolissa e prolassata “discussione generale” molti deputati ne approfittano per un caffè, una sigaretta, una corsa al bagno.
E’ normale, è sempre stato e sempre sarà così, almeno finché non si ridurrà il tempo degli interventi a due minuti, massimo tre, come avviene nei Parlamenti seri. Martedì dunque il colpaccio di Giachetti è consistito nel far credere che si sarebbe andati per le lunghe con le chiacchiere, per poi far scattare la trappola in cui alcuni deputati di maggioranza sono caduti come polli, malgrado la presenza fisica di Berlusconi che aveva fiutato l’inganno ed era venuto in aula a votare, per poi uscire fumante di rabbia voltando con disprezzo la schiena a Tremonti che non aveva votato.
Ma il giochetto di Giachetti è riuscito. Roberto Giachetti è il vice-capogruppo del Partito democratico, è un deputato abilissimo e un vero enfant prodige dei tecnicismi parlamentari, colui che prepara le imboscate, usa tutti i trucchi e se ne frega della vera politica: è un commando, un organizzatore di truppe speciali per effetti speciali. Quel che ha combinato martedì, lo ha lui stesso candidamente raccontato. Ecco che cosa ha combinato: ha scelto tre colleghi del PD (selezionati in accordo con il suo collega in furbizie Emilio Angelo Quartiani) ed ha costruito il suo cavallo di Troia. Ho chiesto cioè ai deputati del suo partito Boccia, Rosato e Tocci di uscire e nascondersi. Quindi ha chiesto al Presidente della Camera se poteva discutere almeno per un’altra ora prima del voto, diffondendo l’impressione di tirarla per le lunghe. La conseguenza, ma direi il riflesso condizionato è stato che un buon numero di parlamentari è uscito dall’aula pensando di rientrare al momento del voto. “A quel punto”, gongola Giachetti, “ho fatto rientrare i tre colleghi che avevo nascosto e ho chiesto che si passasse al voto. In quella concitazione non tutti hanno fatto in tempo a rientrare in aula, e in questo modo abbiamo mandato sotto il governo”. Complimenti, Giachetti, sembri davvero De Gasperi, Cromwell, Gobetti, Gramsci, Einaudi. Ma forse di più, direi, anche Oudini, Silvan, David Copperfield, e soprattutto il callido Ulisse del cavallo di legno.
A che servivano infatti i tre deputati nascosti nella pancia del cavallo di Troia? A creare un’illusione sul numero dei presenti nella prima votazione dove il PD mostrava sul tabellone tre voti in meno di quanti ne avesse realmente. Poi il gioco delle tre carte e il governo battuto. Conseguenza immediata: urla e schiamazzi, dimissioni, Berlusconi vada al Quirinale, Champagne a sinistra e su tutti i giornali che aspettano qualsiasi imboscata e incidente per dichiarare morto un governo che se la passa male ma che è ancora vivo e abbastanza vegeto.
A me, lo dico con sincerità, è venuto un colpo: è mancato un voto che per la mia coscienza era il mio. Certo, ognuno dei quasi trenta deputati assenti può dire la stessa cosa, ma bisogna distinguere fra chi ha agito di proposito, chi si è fatto fregare dai giochetti di Giachetti, chi come me ha avuto un doppio contrattempo.
Certo, resta la questione Tremonti, che non ha votato, come non ha votato Scajola insieme al liberale storico Antonio Martino. Di Bossi e del suo sigaro abbiamo già detto e infatti il Senatùr ha subito minimizzato dichiarando che non è successo niente: niente di politico: una giornata di giochetti di Giachetti,e niente di più. Ma è vero che Tremonti e Scajola hanno, come si dice in gergo, “dato un segnale”? O anche loro erano distratti, uno si allacciava le scarpe e l’altro faceva il solitario col telefonino? Bisognerebbe chiederlo a loro. Certo è che dal punto di vista scenico, dell’apparire, delle urla e dei titoli di giornale, il governo ha preso una bella botta. Ma ci sembra che non sia avvenuto nulla di politico: a mio parere, di testimone e di sfortunato protagonista, direi che la cosa più “politica” è il senso di sfilacciamento, di distrazione, di sbadiglio e distacco che si respira nell’aula, nelle Commissioni e nei corridoi, perché tutti pensano ad altro. E questo dipende da un logoramento che a sua volta dipende dalla depressione politica.
Nessuno ha più entusiasmo, nessuno si aspetta più il colpo d’ala, tutti pensano al dopo, alla fine, al nuovo inizio, alla paura di non essere più eletti, alla necessità di apparire in movimento, in dissenso, in nervosismo. La politica non c’è. Per questo sarebbe utile un colpo di cannone e un rullo di tamburi. Che so, Berlusconi fa chiedere direttamente da Napolitano a Mario Monti di fare un sacrificio e mandarlo alla Banca d'Italia chiudendo così un altro capitolo demenziale, perché Monti è più milanese di tutti e che Bossi potrebbe soltanto essere contento, dal momento che Monti è anche presidente della più prestigiosa università italiana, la Bocconi. Certo, non potrebbe chiederglielo Berlusconi, ma Napolitano  d'accordo con Berlusconi e sarebbe un colpo d’ala per l’Italia e per l'Europa, visto anche che lo stesso Berlusconi mandò alla Commissione europea nel suo primo governo proprio gente del calibro di Mario Monti ed Emma Bonino. E soltanto un esempio di quel che si potrebbe fare sul piano dell'immagine.
Oppure, Berlusconi potrebbe preparare una forte dichiarazione ideologica liberale da amministrare e concordare con il liberale Antonio Martino, accompagnata da forti iniziative in Europae nel mondo: ha fatto una pessima impressione il fatto che la nave italiana catturata dai pirati somali sia stata liberata, senza spargimento di sangue, da commando inglesi anziché dagli italiani.
Come insegna Giachetti con i suoi giochetti, occorre talvolta saper costruire bene i trucchi di scena, i baffi finti, la donna cannone, per impressionare i cittadini, agitarli con parole reboanti e senza senso, ma che ripetono l’eterno Dna dell'ammuina borbonica: apparire anziché essere, barare anziché giocare, piagnucolare quando ci si fa male e diffamare co la calunnia l’avversario senza avere la forza e il coraggio di batterlo sul terreno delle cose. Il governo potrebbe, se volesse, dare prova di una differenza di stile.
Ce ne sarebbero di cose da fare in quest'anno e mezzo che ci separa dalle elezioni del 2013, perché, stando al calendario, ai numeri e ai fatti, questo governo è condannato a restare in carica per mancanza, oltre tutto, di alternativa politica, numerica e programmatica. Dunque, forza e coraggio, uscite dalla depressione e fate vedere al Paese che la politica intende riconquistare la dignità infangata dando risposte visibili ai problemi e al panico artificiale alimentato dai furbi giocatori delle tre carte e dai loro compari.


[Fonte