venerdì 29 aprile 2011

Inchiesta Why Not: De Magistris e Genchi negano sulle intercettazioni!

Scaricabarile di responsabilità tra Luigi De Magistris e Gioacchino Genchi, in aula insieme dopo tanto tempo, sulle intercettazioni illeggittime legate all'inchiesta Why Not.
La procura di Roma ha chiesto il loro rinvio a giudizio e l'accusa è di concorso in abuso d’ufficio. Secondo la procura infatti, De Magistris e Genchi, avrebbero acquisito, nell’ambito dell’inchiesta denominata 'Why not', i tabulati telefonici di alcuni parlamentari senza avere richiesto prima l’autorizzazione alle Camere di appartenenza.
Ma il consulente informatico Gioacchino Genchi e l’eurodeputato dell’Idv, Luigi De Magistris, si sono ritrovati nella stessa aula di tribunale, ribadendo la propria estraneità ai fatti contestati e hanno reso una serie di dichiarazioni spontanee rese davanti al gup Barbara Callari.
A prendere per primo la parola è stato l’ex pm di Catanzaro che, confermando quanto detto mesi fa al procuratore aggiunto Alberto Caperna, ha preso le distanze da Genchi dicendo di aver avuto in lui la massima fiducia, di avergli affidato un lavoro tecnicamente importante e complesso che un professionista come lui avrebbe potuto affrontare e di non sapere per quale motivo e con quale metodologia l’allora suo consulente individuò quelle utenze riconducibili a parlamentari, molte delle quali, peraltro, non avevano nulla a che vedere con l’indagine 'Why not'.
Dal canto suo, Genchi ha spiegato di non aver violato la legge, svolgendo gli accertamenti secondo determinati e precisi input datigli dall’ex pm e senza sapere che quelle utenze individuate portassero direttamente ad alcuni esponenti politici. Alla fine del suo intervento, Genchi ha invitato De Magistris, che era seduto a poca distanza, a rettificare il senso delle sue dichiarazioni, guadagnandosi un richiamo da parte del giudice.
In udienza hanno poi preso la parola gli avvocati di parte civile, tra cui quelli di Clemente Mastella, Romano Prodi e Francesco Rutelli. Non si è invece costituito il presidente della commissione Antimafia Giuseppe Pisanu, già ministro dell’Interno, che nell’ambito di indagini difensive condotte dai legali di Genchi, ha pure fatto mettere a verbale che non sono riconducibili alla sua persona e alla sua attività politica le utenze telefoniche che, secondo una informativa dei carabinieri consegnata a suo tempo alla procura di Roma, sarebbero state acquisite e trattate in modo illecito.
La prossima udienza è fissata al primo giugno quando, conclusi gli interventi delle difese degli imputati, il giudice potrebbe decidere sulla richiesta di processo sollecitata dal pm Roberto Felici.

lunedì 25 aprile 2011

Non pagherà mai, con le leggi attuali!

Tritacarne De Magistris: chi risarcirà le sue vittime?

  

Ristorante La Buvette di Catanzaro: è il cuore politico della città all’ora di pranzo. Il peperoncino abbonda, si parla a bassa voce, ma in un angolo la discussione sale fino a quando un anziano signore si alza, batte i pugni sul tavolo e grida: «Io non devo dire niente. Io sono Mariano Lombardi e lui non è nulla. La verità verrà a galla». Così il magistrato dell’accusa al processo per la strage di piazza Fontana, capo della Procura di Catanzaro per 40 anni, nel 2007 gridava a chi gli chiedeva di rispondere a Luigi De Magistris che lo accusava di avergli sottratto le inchieste Poseidone e Why not per tutelare i poteri occulti. Lombardi immaginava sarebbe stato rinviato a giudizio dai giudici di Salerno, come poi è avvenuto il 18 dicembre 2010. Lombardi voleva difendersi in aula, ma il 1° marzo è morto a 76 anni. Se n’è andato così uno dei protagonisti delle indagini dell’ex pm De Magistris, oggi eurodeputato dell’Idv e candidato sindaco al Comune di Napoli.  Inchieste oggetto di dure polemiche e di guerre tra procure, finite nel nulla ma costate cifre colossali ai contribuenti. Dieci milioni il costo dell’inchiesta Why not, alcuni milioni quella di Toghe lucane, che il 19 marzo scorso è finita al macero con il marchio del gip Maria Rosaria di Girolamo: mancavano le prove e non c’era neanche la notizia di reato. «Gigineddu Flop» avevano ribattezzato De Magistris. 
Ecco che cosa dicono di lui sette dei suoi indagati.

CLEMENTE MASTELLA
Una delle prime vittime illustri di De Magistris è Clemente Mastella. Come ministro della Giustizia del governo Prodi, nel settembre 2007 chiede al Csm il trasferimento di De Magistris da Catanzaro e pochi giorni dopo il pm lo indaga accusandolo, nell’inchiesta Why not, di appartenere a un comitato d’affari formato da politici, imprenditori, servizi segreti e logge massoniche. Fra gli altri indagati Romano Prodi, all’epoca presidente del Consiglio. Nell’aprile del 2008 il gip Tiziana Macrì assolve Mastella, accogliendo la richiesta di archiviazione della procura generale, per la quale «mancavano assolutamente i presupposti per l’iscrizione e successivamente non sono sopravvenuti elementi nuovi». Mastella accusò De Magistris di avere usato la toga per arrivare alla politica e chiese i danni all’ex magistrato, che si barricò dietro l’immunità parlamentare. Come ha fatto di recente per un’altra querela ricevuta da una società che si occupa del restauro di Bagnoli.

ENZA BRUNO BOSSIO
Con l’inchiesta Why Not, De Magistris diventa una star del sistema mediaticogiudiziario. «È ormai chiaro che cercava il clamore per entrare in politica» dice di lui Enza Bruno Bossio, convinta che l’ex pm l’abbia coinvolta nell’indagine «per colpire mio marito Nicola Adamo, uomo di spicco della sinistra calabrese e all’epoca vicepresidente della giunta regionale guidata da Agazio Loiero». Manager in carriera, Bruno Bossio è la prima a essere indagata: De Magistris l’accusa di contatti con la loggia massonica di San Marino per dirottare fondi Ue. Nel gennaio 2011 viene assolta dal gup di Catanzaro Abigail Mellace: «Il fatto non sussiste». Il giudice accerta che la loggia San Marino non esisteva e nella sentenza scrive che le accuse erano basate su fatti «certamente e radicalmente insussistenti, essendo il frutto di una di quelle tante, troppe, eclatanti rivelazioni che alla fine delle indagini non hanno trovato alcun conforto probatorio». A 53 anni, Enza Bruno Bossio si ritrova disoccupata e «mantenuta dal marito». Le resta l’impegno nella direzione nazionale del Pd, dove conduce una battaglia quasi solitaria per una giustizia giusta.

ANTONIO SALADINO
Tutti gli indagati di De Magistris dicono di avere sofferto «la gogna mediatica». Antonio Saladino, presidente della Compagnia delle opere in Calabria dal 2007 al 2010 e principale imputato di Why not, dopo avere contato 3.500 articoli a suo carico e 30 ore di televisione, ha querelato una trentina di giornalisti. Assolto dalle accuse di violazione della legge Anselmi, associazione per delinquere, truffa e frode nelle forniture pubbliche, è stato condannato a due anni per concorso in abuso di ufficio: «Ma non è stato individuato quale fosse l’abuso né chi l’avesse compiuto» dice Saladino, convinto che in appello sarà assolto. E ricorda che il gup Mellace ha mandato al pm le deposizioni della principale teste d’accusa, Caterina Merante, e di un collaboratore di De Magistris, per indagare su presunte irregolarità. «I politici mi segnalavano chi aveva bisogno e presto la gente cominciò a rivolgersi direttamente a me. Ho dato lavoro a 10 mila persone, ma mi avevano avvisato: “Attento, così rompi la catena del bisogno”» dice Saladino, ricordando che la sua società di lavoro interinale, la Need, 480 mila euro di fatturato annuo un tempo,  ormai è defunta. Gli resta una fabbrica di caramelle, ma intanto ha dilapidato 140 mila euro in spese legali. «Soffro di ansia, i miei familiari si sono ammalati e a mio padre è venuto il cancro. Molti mi hanno voltato le spalle, anche in Comunione e liberazione. Cosa ho sbagliato? Sono stato un sognatore: pensavo di poter cambiare la Calabria».

FELICIA GENOVESE
Felicia Genovese era il coordinatore della Direzione distrettuale antimafia di Potenza; suo marito Michele Cannizzaro era il direttore generale dell’Ospedale San Carlo: nel 2007 De Magistris li accusa di far parte di un comitato d’affari con alti magistrati, ufficiali dei carabinieri e imprenditori. Lei viene trasferita a Roma, come giudice, suo marito si dimette dall’incarico e torna a fare il medico. Il 19 marzo 2011 il gip di Catanzaro Maria Rosaria di Girolamo archivia l’inchiesta per i 30 indagati di Toghe lucane: «Manca il carattere fondamentale dell’esistenza di un accordo criminoso volto a perseguire uno scopo comune» scrive il giudice, che definisce «insussistenti » le accuse. «Mia moglie» racconta Cannizzaro «era la bandiera dell’antimafia in Basilicata. Per 15 anni ha avuto la scorta, era stata minacciata. Quando è stata mandata a Roma, per due anni è tornata tutti i weekend a casa, da sola, in pullman, per stare vicina a nostra figlia che aveva 16 anni».

MICHELE CANNIZZARO
«I miei figli si vergognano a uscire» spiega il marito di Felicia Genovese: «Il maggiore era avvocato a Bologna, ma è tornato a casa per starmi vicino». Non si dà pace l’ex manager di un ospedale modello per il Sud che si è visto la carriera distrutta da «un pm missionario divenuto famoso sulla nostra pelle»: «Ero un bravo direttore generale, avevo dimezzato la migrazione sanitaria da questa regione». Ai Cannizzaro l’inchiesta Toghe lucane è costata «quattro anni di vita passati a spulciare carte giudiziarie e diverse centinaia di migliaia di euro tra spese legali e altro. Ma non è nulla rispetto all’onta che abbiamo subito. Io sono cattolico e sono pronto al perdono. Ma certe ferite non si dimenticano».

VINCENZO VITALE
L’imprenditore Vincenzo Vitale, titolare di un resort di lusso a Marinagri di Policoro (Matera), per De Magistris era stato favorito dal comitato d’affari di Toghe lucane. Ma il gip di Girolamo lo ha assolto perché, malgrado «l’enorme mole di materiale probatorio», l’impianto accusatorio è «lacunoso», tanto da poter affermare senza dubbio «l’insussistenza della fattispecie penale ipotizzata». «De Magistris appartiene al passato, saranno gli avvocati a occuparsi di lui» spiega l’imprenditore, che non ha intenzione di perdonare i danni subiti: «12 milioni di danni reali, il cantiere bloccato per due anni e mezzo. Prima dell’inchiesta, con l’indotto avevamo 2 mila lavoratori. Ora siamo ripartiti, c’è lavoro per 500 persone, abbiamo realizzato il 40 per cento del progetto, ce la faremo». Ma non è tutto: a Policoro si è costituita l’associazione Vittime di De Magistris, composta da lavoratori e imprenditori che hanno subito gli effetti collaterali dell’inchiesta.

GIANCARLO PITTELLI
Di cause civili contro De Magistris oggi parla anche il senatore Giancarlo Pittelli del Pdl. Fu indagato nell’inchiesta Poseidone, poi fu prosciolto, e ora è a giudizio a Salerno dove l’ex pm lo ha denunciato perché avrebbe agito per fargli togliere le sue inchieste a Catanzaro: «Di fronte all’ennesimo fallimento» dice «De Magistris lamenterà ancora complotti dei poteri occulti. Ma le sue inchieste vanno lette tutte insieme. E prima o poi capiremo perché sono nate».

di Damiano Iovino

[Fonte

venerdì 22 aprile 2011

Violante: «Basta con la politica che delega ai pm»

Pubblico quanto auspicato da Violante, una delle rare volte che condivido quanto afferma.

La Lega auspica che si spari sugli immigrati, il presidente del consiglio paragona i magistrati ai brigatisti...

Nella foto : Luciano Violante

«La Lega auspica che si spari sugli immigrati, il presidente del consiglio paragona i magistrati ai brigatisti, ora la teorizzazione antidemocratica di Asor Rosa. Assistiamo a opinioni separate dal senso di responsabilità», osserva Luciano Violante. Ma si capisce che l'ex presidente della Camera pensa anche ad altro, infatti aggiunge: «Un linguaggio violento e volgare, al limite della coprolalia, è stato liberalizzato prima nel mondo politico e poi è entrato nel linguaggio della informazione».

Dunque? «Dunque, le nostre classi dirigenti, gli intellettuali, dovrebbero iniziare a sentire la responsabilità di mettere fine a una deriva che può diventare pericolosa per la democrazia». E, allora, il pensiero corre al rapporto tra politica e magistratura e al fatto che, spiega Violante, in Italia «i poteri dello Stato sono ormai soltanto due, esecutivo e giudiziario, perché il Parlamento non è più in grado di svolgere le funzioni di rappresentanza e di composizione dei conflitti istituzionali e sociali».

Onorevole Violante, intende dire che i politici italiani sono riusciti a mettere in crisi addirittura Montesquieu?
Osservo che è in atto un conflitto tra due poteri, giudiziario e esecutivo, ciascuno dei quali è in grado di distruggere l'altro.

Delle invasioni della politica nel campo della magistratura se ne scrive spesso. Nel suo libro Pier Luigi Bersani sostiene però che «negli anni, non sono mancate invasioni di campo anche da parte di alcuni magistrati».
A volte è accaduto; basti pensare alla conferenza stampa di quel procuratore contro il ministro Mastella e la moglie o, in passato, alla incriminazione di Paolo Baffi e all'arresto di Sarcinelli. Ma, come emerge anche dal pensiero di Bersani, non è stato questo il segno dominante del rapporto tra politica e giustizia.

Bersani parla di un assottigliamento della cultura delle garanzie. Come ci si è arrivati?
Quando il nemico era il terrorismo, alla magistratura non fu delegata solo l'individuazione dei singoli terroristi ma la lotta contro il terrorismo. Con la mafia è avvenuta la stessa cosa. Con Tangentopoli ai magistrati non furono affidati solo i processi contro i corrotti; fu affidata la lotta contro la corruzione. È stata la politica che ha delegato ai magistrati funzioni che invece erano proprie. E poi è rimasta inerte. È chiaro, allora, che la magistratura è stata investita di un ruolo di “guardiano” della moralità del paese (? NdB).

Di chi è la responsabilità? Nel 2009 lei in Magistrati sostenne che la sinistra «si è limitata al contrasto polemico e moralistico».
In questi anni hanno governato sia il centrodestra sia il centrosinistra e nessuno ha affrontato il problema. Quando la politica ha delegato alla magistratura funzioni politiche ha introdotto un cambiamento nella collocazione istituzionale di quel potere.
Il Parlamento non ha mai fatto nulla per riprendersi ciò che aveva delegato e per di più ora la responsabilità politica è scomparsa dal nostro orizzonte; esiste solo la responsabilità penale e allora perchè meravigliarsi della incidenza della magistratura nella vita politica? Per rimanere alla corruzione, stiamo ancora aspettando una legge in materia.
 
Da cosa dipende l'immobilità?
L'attuale maggioranza rifiuta il principio dei limiti costituzionali all'esercizio del potere politico e sembra ricondurre tutto alla immunità del Politico. Ci sono processi che riguardano il capo dell'esecutivo? Bene, si fa una legge per far prevalere la politica sulla giustizia.

Si riferisce al processo breve?
È una riforma indecorosa. Ma il centrosinistra non deve rimanere in difesa. Serve una elaborazione che fissi con equilibrio i rapporti tra politica e le diverse magistrature e definisca la corretta collocazione istituzionale dell'intero potere giudiziario, salva la sua autonomia e la sua indipendenza. Vedo un impegno positivo in questo senso di Andrea Orlando per superare le posizioni più radicali della magistratura e del centrodestra.

A proposito di processo breve, Csm e Anm hanno parlato di sostanziale amnistia.
Siamo di fronte a un paradosso: si decide di accorciare i termini della prescrizione ma non si fa nulla per accelerare i processi. Il processo penale diventa una macchina iniqua che produce impunità per i più forti.

E Berlusconi oggi rilancia, sostenendo che la maggioranza ha i numeri per approvare le intercettazioni.
Preferirei che li usassero in favore dei precari invece di bloccare per altri 6 mesi il Parlamento su un'ulteriore legge dannosa per la legalità e per le vittime dei reati.

[Fonte: Il Riformista

venerdì 15 aprile 2011

La sinistra scarica Fini: "E' il peggior presidente della storia della Camera"

Senza alcun commento pubblico questa "notiziola" che covava sotto le ceneri fin da quando il bolognerse Fini disse: " Che fai mi cacci?" 
Prescindendo dal fatto che Berlusconi doveva "cacciarlo" molto tempo prima, l'ex camerata bolognese Fini,  che mastica pane e politica da quando era in fasce, sa perfettamente che gli ex comunisti hanno praticato tale regola fin dagli albori del comunismo reale in quanto la regola è stata teorizzata dal fondatore del loro partito, tale Lenin!  


Il Pd accusa il leader del Fli: "Da quando è sotto attacco di Pdl e Lega è il peggior presidente della storia". Scoppia il caos. Ma è ormai da tempo che la maggioranza denucia la parzialità di Fini.

Alla fine anche la sinistra ha scaricato Gianfranco Fini. Nella bagarre della prescrizione breve, Montecitorio è stato assalito da una crisi di nervi che ha fatto letteralmente perdere le staffe ai partiti di opposizione che da ieri mattina si stanno affannando a rosicare minuti, secondi ai lavori parlamentari per procrastrinare il più possibile la discussione del ddl presentato dalla maggioranza. E, dopo oltre sedici ore di estenuante dibattito, i democratici hanno gettato la maschera e si sono scagliati contro il "baluardo" della sinistra contro lo strapotere dell'asse Pdl-Lega.

Lo hanno definito "il peggiore presidente della Camera". Non di questi tempi. Il peggiore di tutta la storia della Repubblica italiana. Un'accusa pesante soprattutto se viene dal partito di Pierluigi Bersani con cui Fini, da diversi mesi a questa parte, sta flirtando per riuscire a far cadere il governo. Questa mattina il piddì Roberto Giachetti ha attaccato il leader del Fli per la conduzione dei lavori a Montecitorio. "Da quando è sotto attacco di Pdl e Lega che chiedono le sue dimissioni - ha spiegato l'esponente democratico - lei è il peggior presidente della storia". Fini, impassibile, ha proseguito con gli interventi sul processo verbale.

Pier Ferdinando Casini si è subito schierato al fianco del presidente della Camera tenendo all'immagine di un Terzo polo coeso. "Sono allibito dalle parole del tutte incongrue di Giachetti contro il presidente - ha detto il leader centrista se avevo qualche dubbio sulla sua terzietà, ora ogni dubbio è svanito. Qui ciascuno vuol tirare il presidente dalla sua parte, ma il presidente non si difende solo quando fa le cose che piacciono a noi...". Ma la difesa di Casini è caduta nel vuoto. Tanto che Bersani è stato costretto a intervenire: "Giachetti ha esagerato un po' e comunque il suo non era un giudizio globale sulla presidenza, ma su un passaggio particolare della conduzione d’aula".

L'impossibilità di essere super partes per un politico che si trova a guidare sia Montecitorio sia uno dei partito dell'opposizione è stata più volte avanzata dalla maggioranza. Il Pdl lo aveva tacciato di essere un "dipietrista aggiunto". La Lega Nord, invece, aveva presentato una discussione parlamentare per affrontare l'argomento e sanare la "ferita istituzionale" che si era venuta a creare. Discussione che era stata immediatamente abbandonata. Finché gli ha fatto comodo, però, la sinistra ha giocato di sponda con il fondatore di Futuro e Libertà rispedendo al mittente le accuse del Pdl. E Fini? Avanti per la sua strada. Due giorni prima del voto di sfiducia alla Camera, intervistato da Lucia Annunziata, il leader del Fli si era assunto in prima persona il ruolo di sfiduciatario del primo ministro italiano. Aveva detto: "Voteremo compatti la sfiducia al governo". Il resto è storia: il 14 dicembre Fini ha perso la battaglia parlamentare in cui ha scelto di giocare un ruolo di primo piano. Ma il suo attenggiamento non è cambiato. Poche ore prima dell'inizio della discussione sulla prescrizione breve - tanto per citare uno degli ultimi episodi - il presidente della Camera ci ha tenuto a ricordare che il ddl è stato presentato dalla maggioranza e che lui è a capo di un partito dell'opposizione. Chi ha orecchie per intendere, intenda.

Forse la sinistra si aspettatava qualcosa di più. Magari un colpo di mano per mandare all'aria il processo breve. Così l'ha scaricato. D'altra parte, sondaggi alla mano, gli italiani hanno già dimostrato di non apprezzare la Santa Alleanza di Massiomo D'Alema che mette insieme democratici, futuristi e centristi. In realtà, i media progressiti avevano, già in passato, invitato Fini ad abbandonare lo scranno più alto di Montecitorio. All'indomani del colpo di mano fallito, Ezio Mauro scriveva su Repubblica: "Fini dovrà dimettersi dalla presidenza della Camera per fare liberamente la sua battaglia politica decisiva". Stessa tirata di Franco Cardini su Europa del 22 dicembre: "Una volta sceso sul terreno politico impugnando la bandiera della moralizzazione, e visto che il paese rispondeva (specie a sinistra), avrebbe dovuto far lui subito e per primo il gesto di abbandonare la presidenza della camera per rientrare a vele spiegate, come leader, nella politica". Anche l'Unità non ci era andata leggera: "Era una scena che sfiorava i limiti della decenza della democrazia quella di veder sfilare i dissidenti del partito di Fini con gli occhi bassi, perché se li alzavano lì, sopra di loro, non c'era chi li doveva proteggere, ma colui che avevano tradito".

A rigor di legge, Fini non è costretto a lasciare la presidenza della Camera. La costituzione non prevede, infatti, che questo ruolo istituzionale coincida con l'appartenenza alla maggioranza. Tuttavia, da sempre, le prerogative delle più alte cariche dello Stato sono - in base a una prassi precisa - imparziali e in grado di garantire quanto più possibile la propria neutralità. Adesso, anche il Partito democratico si è accorto che Fini non è una figura politica super partes.

mercoledì 13 aprile 2011

Senza ritegno o vergogna alcuna i politicanti italioti riprovano a battere cassa.

Questa la notizia di ieri che mi ha lasciato basito: 


Raddoppiare i contributi ai partiti?
Letta (Pd) si dissocia, Renzi attacca

Scatena polemiche e viene subito frenata, la proposta di raddoppiare il contributo pubblico ai partiti. “Cinquantotto parlamentari bipartisan hanno chiesto di raddoppiare il finanziamento pubblico ai partiti e fondazioni politiche. Mi sembra una follia”. Matteo Renzi, sindaco di Firenze e “rottamatore” Pd, rottama anche la proposta che vede Sposetti del Pd come primo firmatario e sottoscritta da Di Stanislao dell'Idv (ma oggi si è dissociato), esponenti di Fli e Udc.

Ma Enrico Letta da Milano mette le cose in chiaro: “Si tratta di un’iniziativa autonoma di alcuni parlamentari come ce ne sono tante. Il Pd non si sogna di porre la questione dell’aumento del contributo pubblico al sistema dei partiti”. Quel testo peraltro contiene anche altro per i partiti. Come le primarie obbligatorie e vincoli di trasparenza.

La proposta vede le adesioni di Savino Pezzotta dell'Udc, Luca Barbareschi tornato nel Pdl dopo aver seguito Fini in Fli. E prevede che i partiti ricevano il rimborso elettorale attuale (a oggi ammonta a complessivi 170 milioni di euro comprendendo elezioni regionali, politiche ed europee), mentre riceverebbero altri finanziamenti (185 milioni) fondazioni che si occuperebbero dell'attività politica e culturale del partito di riferimento.
 
La norma propone di trasformare i partiti da associazioni di fatto ad associazioni iscritte in registri pubblici e come tali tenute ad avere primarie tra gli iscritti per la scelta dei vertici. Quanto alle fondazioni, queste darebbero servizi ai rispettivi partiti mentre chi le guida non può guidare la forza politica corrispondente.  
 
Non è l’unica novità contenuta nella proposta Sposetti, ma certo è difficile immaginare questo raddoppio dei costi come “secondario” rispetto al resto del provvedimento. Alla domanda: “Non sono troppi soldi?”, Sposetti risponde: “No che non sono troppi. Perché altrimenti governeranno sempre i partiti dei ricchi, e i Berlusconi ve li tenete per i prossimi 20 anni”.

È un punto di vista. Come lo è il secondo affondo: “Chi fa demagogia per i soldi della politica si vada a vedere quanto spendono Francia e Germania”. È proprio dalla Germania infatti, che Sposetti ha ricavato l’idea del doppio contenitore. Lì i partiti del Bundestag, “oltre a ricevere un contributo diretto di 133 milioni di euro, possono beneficiare di uno stanziamento per le fondazioni pari a 334 milioni”, afferma il deputato anche nel documento di presentazione messo agli atti parlamentari. E il referendum del ‘93? Non doveva cancellare il finanziamento pubblico dei partiti? Sposetti ci gira intorno: “I finanziamenti i partiti li ricevono come rimborso per le campagne elettorali, e gli altri non arriverebbero ai partiti ma alle fondazioni che sono da queste distinte”. Un altro punto di vista.


 ( Sposetti, tesoriere del PD, dimentica di dire tre cose importanti:
1a - che i cittadini italiani, tramite un referendum "bulgaro", hanno detto molto chiaramente di non voler dare alcun sostegno economico ai partiti, figuriamoci poi alle fondazioni;
2a - che la più grande democrazia, gli USA, non danno un centesimo ai partiti o fondazioni, ma soltanto ai candidati che concorrono al seggio di presidente;
3a - moralmente è inqualficabile. NdB ) 

La nuova norma, d’altronde, fissa alcuni punti fermi che si riallacciano al profilo pubblico dei partiti organizzati così come immaginato in sede di Assemblea costituente, definendone meglio la natura pubblica. Così, dal punto di vista giuridico i partiti passerebbero da associazioni di fatto ad associazioni vere e proprie, “iscritte in pubblici registri” e obbligate a rispettare alcune regole come la garanzia della democrazia interna, le primarie per la scelta delle cariche elettive (anche se possono essere limitate ai soli iscritti) e la trasparenza dei propri bilanci. L’iscrizione a un registro cancellerebbe anche, per questi soggetti, la sottoscrizione delle liste al momento delle elezioni. I partiti dovranno però dotarsi, per l’appunto, di fondazioni. Indicate come “entità separate” (chi detiene cariche direttive nelle fondazioni non può candidarsi o ricoprire incarichi di governo) non possono versare denari nelle casse dei partiti ma solo erogare servizi.

C’è di più. Il rimborso elettorale (un euro per ogni avente diritto al voto, moltiplicato per gli anni della legislatura e per ogni organo elettivo) ritornerebbe a essere concesso ad ogni partito che superi la soglia dell’1%. La norma dello sbarramento al 4% con la conseguente perdita del rimborso elettorale per Sposetti è iniqua: “Uno può decidere che per avere una rappresentanza in Parlamento deve raggiungere una certa soglia, ma perché non si deve concedere ai movimenti politici il rimborso per averci provato? Se all’epoca Pci, Dc e Psi avessero pensato a norme del genere la Lega non sarebbe mai sopravvissuta”. 

”Questi hanno perso il contatto con la realtà, Mi accuseranno di essere un demagogo. Ma per me sono loro che sono pazzi. Non hanno una percezione dello stato d'animo dei cittadini che ci chiedono più sobrietà. Non posso far altro che esprimere il mio disgusto e chiedo ai parlamentari proponenti di tornare indietro”. “Da parte mia - ha aggiunto ai giornalisti a voce - sono pronto anche a effettuare iniziative di visibilità mediatica contro questa ipotesi”.

Augusto Di Stanislao invece, il parlamentare dell'Idv, scarica tutto sulla sua segreteria: sostiene che ne era "all'oscuro" e che il suo ufficio ha firmato per lui: "In linea con il mio partito non condivido assolutamente i principi della proposta".

11 aprile 2011
[Fonte
 

Per governare gli italiani occorrono anche le "bocce"!

 All'assemblea dei cofondatori del PdL il Cav. Berlusconi ha riletto il programma originario della sua “discesa in campo”, un programma ovviamente ideologico e necessariamente generico, ma fortemente e sinceramente liberale. 
 
Liberismo che mi entusiasmò, insieme alla maggioranza degli italiani.
Adesso, tirando le somme, dopo tre lustri abbondanti dalla sua discesa in politica, mi chiedo se quel liberismo è stato realizzato, anche in minima parte.

Non mi sembra affatto, anche se qualche ostacolo gigantesco ad ostacolargli il cammino è apparso, non voluto, durante il corso degli anni.

Riporto quanto scrisse Polito, già direttore de ll Riformista, in una di queste occasioni quasi un anno addietro, a luglio del 2010:
Antonio Polito

La maledizione dei governi Berlusconi

di Antonio Polito

La maledizione di metà legislatura ha colpito di nuovo il governo di Silvio Berlusconi. Accadde già nella legislatura 2001-2006, ed anche allora tutto cominciò con un mal di pancia di An, causato dalla sconfitta del candidato della destra alle provinciali di Roma. Si avviò così un percorso di crisi virtuale del governo (rottura con Casini, subgoverno con Fini, caduta di Tremonti e ritorno di Tremonti) che portò il berlusconismo sfinito e di fatto già sconfitto alle elezioni.

La maledizione di metà legislatura ha colpito di nuovo il governo di Silvio Berlusconi. Accadde già nella legislatura 2001-2006, ed anche allora tutto cominciò con un mal di pancia di An, causato dalla sconfitta del candidato della destra alle provinciali di Roma. Si avviò così un percorso di crisi virtuale del governo (rottura con Casini, subgoverno con Fini, caduta di Tremonti e ritorno di Tremonti) che portò il berlusconismo sfinito e di fatto già sconfitto alle elezioni.

Stavolta non c'è voluta nemmeno un'elezione locale perché la maledizione si avverasse: da oggi la maggioranza politica uscita dalle urne non c'è più. E non solo perché è numericamente più ridotta - vedremo quanto - ma perché è politicamente diversa e più debole. Dunque la legislatura è davvero a una svolta, e non è neanche detto che duri se veramente gli apostoli di Fini sono 12 al Senato e 33 alla Camera.

Che cos'è dunque questo virus misterioso che uccide allo scoccare della mezza età tutti i sogni di gloria duratura del berlusconismo?

Innanzitutto c'è la sfiga. Bisogna dare a Silvio ciò che è di Silvio: entrambe le sue legislature si sono aperte con un terremoto internazionale che ha sconvolto i programmi liberali di tagli di tasse e spesa e imposto politiche impopolari di austerità e fiscalità. Nove anni fa fu l'11 settembre, stavolta è stata la crisi dei subprime.

Ma, subito dopo la sfiga, viene Silvio, e vengono le sue responsabilità politiche e personali. Politicamente parlando, i governi Berlusconi soffrono tutti di spossatezza e debilitazione programmatica. Nati per rifare il sistema della giustizia penale, di solito si riducono a una Cirielli o a un lodo Alfano, quando non scivolano nell'obbrobrio di un caso Brancher. Nati per scrivere la libertà d'impresa addirittura nella Costituzione, finiscono per inciampare su un articolo 18, sbattere il muso su Marchionne o inseguire Bossi sulle quote latte. Così che quando Berlusconi esalta il governo del fare è come se ammettesse implicitamente la fine del governo del pensare: incapace di cambiare l'Italia secondo promesse, Silvio di solito si riduce a gestirla come meglio può.

Infine, last but not least, c'è anche un tratto personale del premier che gioca il suo ruolo nella maledizione di metà legislatura: ed è l'impossibilità del leader carismatico di usare le armi tipiche della leadership politica, che dopo aver vinto le elezioni deve saper gestire le alleanze politiche oltre la logica semplice e brutale del padrone. In verità, per il modo stesso in cui è giunto in politica e per la narrazione che fa di sé, Berlusconi si concepisce come un deus ex machina, o se volete come un unto del signore, o come un Cesare ad esser maligni; il che rende impossibile la convivenza con chiunque abbia una considerazione di sé non acquistabile con scambio merci. Così Berlusconi, l'uomo che passa per essere il grande seduttore, è riuscito a litigare con Umberto Bossi nella prima legislatura, con Pierferdi Casini nella seconda e con Gianfranco Fini nella terza. Avendo così esaurito l'intera gamma dei suoi alleati, tant'è che per cercarne di nuovi è già al secondo giro con Bossi e sarebbe pronto a tornare anche con Casini.

In questa vicenda, che segnala l'esplosione del Pdl dopo l'implosione del Pd e dunque sancisce la fine del bipartitismo perfetto vagheggiato appena due anni fa, Fini si è comportato da politico consumato. Forse anche troppo consumato, perché si ha l'impressione che l'elettorato del centrodestra non ne abbia apprezzato la capacità manovriera. Ma quello che ne esce peggio è proprio Berlusconi. Innanzitutto perché conferma la sua incapacità di essere normale e di gestire con saggezza ed efficacia un'intera legislatura: prima o poi gli elettori si chiederanno se è sempre colpa di qualcun altro quando il governo si arena. Ma ancor di più sarà Berlusconi a pagare la seconda metà della legislatura. Perché quando lui dice che con l'uscita dei finiani non cambierà niente, dice il vero: non cambierà niente. Per far passare una legge come quella delle intercettazioni continuerà ad aver bisogno di contrattarla punto per punto; difendere i suoi coordinatori e sottosegretari inseguiti dai pm non diventerà certo più agevole perché si è dato uno schiaffo a Fini. La nascita di un altro gruppo politico nel centrodestra renderà le fatiche del governo solo più improbe.

Insomma, espellere il dissenso non lo elimina, come gli avrebbero ben potuto spiegare gli odiati comunisti. Più soli non ha mai voluto dire più forti; non in politica. Più conflitto non ha mai portato più consenso. Dalle maggioranze bulgare che avevano dato a Berlusconi, gli italiani si aspettavano anni tranquilli e fattivi, non questo Vietnam. Qui siamo davvero già fuori dal berlusconismo e in acque inesplorate, come dice Bersani. Il problema della democrazia italiana è che sono inesplorate anche per Bersani e per l'opposizione, il che ci fa temere che insieme alla crisi virtuale del governo Berlusconi sia cominciata anche una crisi istituzionale, morale e politica dagli sbocchi del tutto incerti.

venerdì, 30 luglio 2010

 






martedì 12 aprile 2011

QUALCOSA PER RIDERCI SOPRA

Nel sito dell'agenzia ANSA leggo alcune dichiarazioni del bolognese Gianfranco Fini, attuale presidente della Camera dei deputati.
Eccole:



Fini: legge sia uguale per tutti davvero
Il presidente della Camera parlando agli studenti dell'Istituto agrario a Marsala: 'Non decido io, ma si decide a maggiornanza' (E meno male che non decide lui, altrimenti sai che bel risultato)
11 aprile, 19:28

Fini: legge sia uguale per tutti davvero

MARSALA (TRAPANI) - "Se la legge è uguale per tutti deve essere uguale per tutti davvero". (Il signor Fini voleva forse dire come lo è stata, uguale per tutti, nella vicenda della casa di MonteCarlo che ha venduto a suo cognato Giancarlo Tulliani?) L'ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini rispondendo a uno studente sulla prescrizione breve. Fini ha poi aggiunto, rivolgendosi agli studenti nella sala dell'Istituto agrario di Marsala (Tp) : "Ricordatevi che sono anche il rappresentante di una idea politica". (Quale, fra le tgante che professato nella sua "lunga" carriera politica?)

"Se alla Camera si sta discutendo di prescrizione breve invece che di altro è perche c'é una maggioranza e c'é un regolamento parlamentare che devo rispettare, pur avendo la mia idea personale. L'opposizione non discuterebbe di prescrizione breve". Ha risposto così il presidente della Camera alla domanda di uno studente sulle priorità della politica.

sabato 9 aprile 2011

Il tribunale di Napoli ha sospeso la causa e rinviato l'udienza a carico di De Magistris

Dopo la vicenda Why not, ancora una volta l'ex pm Luigi De Magistris, autocandidatosi a sindaco di Napoli per il partito dell'ex collega pm Di Pietro, l'Idv, si è avvalso dell'immunità parlamentare per non presentarsi all'udienza della causa per diffamazione intentatagli dalla società Bagnolifutura. 

Luigi de Magistris, ancora una volta, ricorre all'immunità parlamentare in qualità di eurodeputato a Strasburgo nella controversia in cui viene accusato di diffamazione dai vertici della Bagnolifutura. 
Il giudice Renata Palmieri, di fronte all'istanza del candidato Idv a sindaco di Napoli, ha sospeso la seduta e fissato una nuova udienza il 20 aprile. L'ex pm venne citato in giudizio per un risarcimento danni di milioni di euro dal presidente Riccardo Marone e dal direttore generale Mario Hubler della società che si occupa della bonifica di Coroglio, dopo una dichiarazione giudicata offensiva: «Bagnoli - dichiarò all'Ansa de Magistris - è una pagina vergognosa di commistione tra politica e crimine attorno al denaro pubblico (il litorale di Napoli ovest, già sede dell'Italsider, è interessato da un progetto di bonifica da circa dieci anni, ndr)». Questo a giugno: e ieri, lunedì, nella prima udienza davanti al giudice Palmieri della ottava sezione civile del tribunale di Napoli, il difensore dell’ex pm ha preliminarmente reso noto che è stata presentata dall’eurodeputato richiesta di immunità al presidente del Parlamento europeo.

De Magistris, contattato dal Corriere, precisa: «Non si tratta di un processo penale ma di un'azione civile e in genere in udienza ci vanno gli avvocati. E poi l'immunità è garantita dall'articolo 68 della nostra Costituzione e dal Trattato sulle guarentigie della comunità europea. A giugno convocammo diversi eurodeputati per smascherare il bluff della bonifica di Bagnoli, scandalo di livello europeo. Espressi un'opinione che non piacque a Bagnolifutura che, con evidente gesto intimidatorio, mi ha intentato una causa milionaria. Mi sono limitato a presentare istanza formale per far valere un diritto che scatta d'ufficio, e cioè la possibilità per un parlamentare di non essere perseguibile per le opinioni espresse nell'esercizio delle sue funzioni. Tutto qua. Ribadisco quanto ho sempre sostenuto in merito al comportamento della società in questione - prosegue - e non cesserò di denunciare la malapolitica, gli intrecci finanziari con le amministrazioni pubbliche, lo sperpero di denaro pubblico. Mi vogliono intimidire, in quanto voce libera, per mezzo di cause civili. Ma questo tentativo non sortirà effetto. Mi difenderò ovviamente nei processi, senza scudi immunitari ad hoc. Ricordo alla Bagnolifutura che, da Matteotti in poi, le opinioni di un parlamentare sono insindacabili».

Dal canto suo, Clemente Mastella, nemico giurato del candidato dipietrista, che giusto 4 giorni fa ha querelato l'eurodeputato, attacca: «È proprio vero. De Magistris predica bene e razzola male. Ancora una volta, per la seconda volta, l’ex Pm si è avvalso dell’immunità parlamentare ed è sfuggito così al giudizio per una richiesta di risarcimento danni. Proprio lui, il grande fustigatore, l’uomo sempre pronto a puntare l’indice, ad accusare gli altri di sfuggire ai processi, cosa fa? Da quanto riferiscono fonti giornalistiche, si avvale di nuovo dell’immunità di parlamentare europeo per farsi scudo, dopo essere stato querelato dai dirigenti della società Bagnolifutura. Che vergogna».

di Alessandro Chetta

[Fonte

L'ultima della sinistra? La tassa "ad personam"

Dopo la patrimoniale del Pd, ecco la proposta della Cgil: un'imposta dell'1% sulle ricchezze superiori a 800mila euro. E fa l'esempio di Berlusconi e Ferrero.

È molto più di un riflesso condizionato, è qualcosa di innato. L’insana passione della sinistra per le tasse è qualcosa di inscritto nel codice gene­tico di questa parte politica. Non è bastata la riproposizione della patrimoniale in sva­riate versioni il mese scorso: dalla tassa dello 0,1% annuo sui 9mila miliardi di ricchezza degli italiani fino al contributo da 30mila euro per gli italiani più ricchi (copyright Giuliano Amato) passando per un’imposta sulle plusvalenze immo­biliari oscillante tra il 5 e il 20 per cento. Tutto con la benedizione di Uòlter Veltroni.

Anche la Cgil è salita sul car­ro dei «tassatori scortesi» e in vista dello sciopero generale del 6 maggio ha elaborato una proposta monstre: un’imposta sui grandi patrimoni dell’ 1% per le famiglie con ricchezza netta ( la somma del valore di beni mobili e immobili al netto delle passività come mutui e finanziamenti) superiore a 800mila euro.

Lo scopo sembrerebbe nobi­le, celato com’è sotto il titolo di «redistribuzione» e cioè fa­re come Robin Hood toglien­do ai ricchi per dare ai poveri. Ma sempre di un aggravio di imposte si tratta. Anche se nella simulazione elaborata il sindacato di Susanna Camusso cerca di indorare la pillola. La tassa non si rivolge a dipendenti e pensionati che hanno due case di proprietà (magari con un mutuo) e un portafoglio titoli di 100mila euro. Piut­tosto è diretta a «imprenditori e liberi professionisti» che - a prescindere dall’imponibile Irpef - ha due case del valore complessivo di 800mila euro e 100mila euro di titoli. Costoro dovrebbero pagare circa mille euro giacché la soglia di esen­zione è rappresentata da quota 800mila. Il discorso è sempre lo stesso: poiché imprenditori e liberi professionisti sono «evasori per natura» si cerca di stangarli per vie traverse.

L’antipatia per questa clas­se sociale è tale che si citano due esempi a caso della classi­fica italiana di Forbes: il signor F (che sta per Pietro Ferrero e famiglia, primo della lista) e il signor B (Silvio Berlusconi al terzo posto). I loro patrimoni, rispettivamente di 11 e 9 mi­liardi, produrrebbero un getti­to di 100 milioni da Mister Nu­tella e di 80 milioni dal Cav. L’obiettivo è chiaro: colpendo gli ultraricchi si potrebbero ot­tenere circa 18 miliardi di eu­ro all’anno (9,8 miliardi nel­l’ipotesi di un’aliquota ridotta allo 0,55%). Secondo Camus­so & C., liberando le risorse concentrate tra i più facoltosi si può generare ricchezza «spezzando l’alleanza tra pro­fitti e rendite» che danneggia lavoro e investimenti.

Confutare queste tesi neo­marxiste è molto semplice. E non è necessario nemmeno ricorrere al dogma liberista per il quale solo il capitalista può mettere in moto l’economia sia per la maggiore propensione al consumo sia per la naturale abitudine all’investimento, mentre i meno abbienti tendono a «bloccare» le risorse mettendole da parte per i tempi di magra. Per sconfessare la Cgil bastano i numeri e la logica. I numeri dicono che 18 miliardi sono l’1% del nostro debito pubblico e dunque la tassa è insufficiente ad assicurare quella riduzione necessaria alle politiche per lo sviluppo. La logica invece dice che 100 milioni sottratti al signor Ferrero sono 100 milioni in meno da reimpiegare nella crescita dell’azienda. In tal caso avrebbe tutte le ragioni per spostare la «baracca» dal Cuneese a un luogo fiscalmente più vantaggioso, magari varcando le Alpi in direzione Svizzera.

di Gian Maria De Francesco

[Fonte

venerdì 8 aprile 2011

I pizzini del senatore PD Alberto Tedesco

Il senatore democratico, che rischia il carcere per la sanitopoli pugliese, intervistato dal Corriere lancia accuse e avvertimenti: "Mai avvenuto un arresto in Parlamento, il mio caso sarebbe un precedente che non conviene a nessuno...". E Vendola? "Sapeva tutto"

«Le manette sono più vicine. È andata male», spiega al Corriere della Sera il senatore Alberto Tedesco, subito dopo il voto della giunta di Palazzo Madama che ha dato parere favorevole al suo arresto. E allora il parlamentare pugliese manda un messaggio. Il primo: «Intanto, a parte tre casi, nessuno è davvero mai stato arrestato in Parlamento, e quindi creare un precedente non dovrebbe convenire a nessuno». Testuale. E inquietante. È da almeno un mese che Tedesco, con un piede in cella su richiesta della procura antimafia di Bari, sparge i suoi pizzini in varie direzioni. Ma la gran parte viene recapitata in casa del Pd o direttamente a Nichi Vendola, di cui era potente e chiacchierato assessore alla Sanità. «Mi ascolti - ripete a Fabrizio Roncone del Corriere - erano due le indagini che mi riguardavano. Una, dov’ero coinvolto con il presidente Vendola, s’è conclusa con l’archiviazione, l’altra con la richiesta di custodia cautelare. I fatti sono gli stessi, ma i pm hanno dato due valutazioni diverse... Non è persecuzione questa?».
Una domanda che suona minacciosa per i big della politica con cui il senatore parlava quotidianamente. Nella deposizione davanti al gip di Bari, Tedesco, accusato di concussione, corruzione, turbativa d’asta e falso, parla ancora del suo rapporto con Vendola e lo chiama in causa:
il governatore era sempre informato sulle nomine di primari e dirigenti Asl. «Vendola sapeva tutto. Sempre».

Insomma, Tedesco, non ci sta a fare la parte del capro espiatorio, di quello che a sinistra oggi provoca solo mal di pancia, dubbi e distinguo. «Quanto a Nichi Vendola - aveva aggiunto ai primi di marzo conversando con il Tg1 - i miei rapporti si sono interrotti improvvisamente il giorno dopo la rielezione di Vendola a governatore della Puglia, dopo che ho fatto per la seconda volta la campagna elettorale per lui, esprimendomi a suo favore, anche interloquendo direttamente con il Presidente D’Alema che non era convinto di questa candidatura». Tedesco dunque attacca Vendola che ora prende platealmente le distanze dall’ex assessore. E con Vendola, il senatore critica anche il sindaco di Bari, l’ex pm Michele Emiliano: lui e Vendola «sono due facce della stessa medaglia. Ti blandiscono, ti inseguono quando puoi essere utile alla causa e naturalmente poi ti scaricano immediatamente».

Il gioco delle allusioni continua. Intanto, il parlamentare si attrezza per gestire il futuro che si fa oscuro. «Ho il 70 per cento delle possibilità di finire in carcere - è la sua previsione ai microfoni di Un giorno da pecora - mi presenterò io, nella caserma che mi diranno, con un borsone».

Una scena livida, quella che il parlamentare pugliese immagina. Una scena che riporta agli albori di «Mani pulite». Una scena che fa balenare possibili e devastanti contraccolpi. Chissà. Di sicuro non c’è niente, a parte i tormenti del Pd, che non vuole sacrificare un proprio esponente, ma nemmeno vuole accreditarsi come un partito antigiudici, incoerente e ondivago, arroccato sulla tutela di Tedesco quanto e più del criticatissimo Pdl con Berlusconi.

«Finora c’è stato un percorso abbastanza lineare - aggiunge Tedesco - credo che nel giro di una ventina di giorni dovremmo avere il responso definitivo da parte del Senato». L’ultimo messaggio, davvero choc, è sul Cavaliere e fa scricchiolare tante presunte certezze: «Ora - dice ancora al Corriere - capisco Berlusconi». Frase poi puntualmente smentita: «Non l’ho mai detta». Chissà a chi indirizzerà nei prossimi giorni le sue lettere Alberto Tedesco.

[Fonte

CRAXI dixit


«L’uomo che passata una certa età, dopo certe esperienze, crede ancora nella giustizia degli uomini, nella giustizia delle cose, é un gran farabutto».

I "fratelli bandiera" e i mille colori degli anti-Cav

Ho rivisto ieri al sit-in il compagno Ezio.
Lo vidi tempo fa che agitava la bandiera rossa contro i padroni.

Lo rividi in versione serafica ma sempre aggressiva con la bandiera arcobaleno a una manifestazione pacifista contro la guerra.

Poi lo ritrovai in piazza in versione neopatriottica con la bandiera tricolore contro la Lega e i suoi complici.

Martedì era in versione incazzista con la bandiera viola contro Berlusconi.

Me lo ricordo pure con la bandiera palestinese sotto l'ambasciata d'Israele ma non escludo che la sera dopo abbia sventolato la bandiera d'Israele contro il nazismo risorto (una svastica sul muro basta per manifestare contro il nazismo risorto).

Sono sicuro che avrà in casa anche una bandiera verde per sfilare con i Verdi e poi magari con gli islamici e un domani, chissà, se rompe con Berlusca, anche con la Lega. Se oggi sventola con i finiani... 

E' prodigioso il mimetismo cromatico del compagno Ezio e der valoroso popolo de sinistra. Hanno bandiere di tutti i colori, per tutte le occasioni, magari in versione lana o cotone secondo la stagione. Uno stock da 24.
Vorrei vedere casa sua, tra tutte quelle bandiere, pure antitetiche; sembrerà una filiale delle Nazioni Unite. Non c'é che dire, Ezio ha stoffa.

Non so se tra una bandiera e l'altra Ezio pensi, ami, lavori.
A vederlo direi di no, perché è sempre lì ad inveire, a sfilare, a lanciare monetine.
Professione: sbandieratore sott'odio. 
Avrà uno sloganamento al cervello, come capita a chi ripete troppi slogan.

Leggo su Repubblica trattati antropologici su quanto sono servili, scemi e plebei quelli che ridono alla barzellette di Berlusconi.
Chiedo la perizia psichiatrica per quelli che con lo  riflesso condizionato ringhiano, inveiscono e lanciano monetine appena lo sentono nominare.
Vorrei in particolare un estratto conto dell'encefalogramma di Ezio e dei suoi fratelli bandiera.
Non sono così fazioso e imbecille da sostenere la tesi opposta, che i cretini siano gli sbandieraqtori di sinsitra. 
Penso che l'imbecillità non abbia bandiera. Anzi ne abbia di tutti i colori.

Come diceva Malraux, in ogni minoranza "intelligente" si nasconde una maggioranza di imbecilli.
  


Dalla rubrica Cucù di Marcello Veneziani, ho riportato l'articolo pubblicato ieri, 7 aprile 2011 in prima pagina da il Giornale.




 [Fonte