mercoledì 30 giugno 2010

Sempre in tema di denaro!

Vi ricordate quando il vecchio Partito Comunista italiano, ora PD, fu costretto a vendere la sua sede storica delle Botteghe oscure a Roma perché pieno di debiti?
Adesso nonostante non abbia vinto nessuna lotteria nazionale, ne fatto vendite miliardarie di salamelle ed affini, si ritrova con un attivo in cassa.
Miracoli del loro arcinemico Berlusconi che non ha il coraggio civile di attuare la volontà della stragrande maggioranza dei cittadini italiani: abolire la dazione di denaro pubblico ai partiti, come direbbe l'ex tutto Di Pietro, anche lui gratificato dalla munificenza del Cavaliere di Arcore, fatta con i nostri soldi. 
Volontà sancita da un referendum popolare. 

Stando all'ultimo bilancio che il PD ha pubblicato, i mille miliardi di vecchie lire che li costrinsero a vendere Botteghe oscure, sono diminuiti, grazie alle tre B di cui ho scritto al post precedente, a meno di 360milioni, ovvero a 180mila euro. Ecco cosa scrive il sito Dagospia al riguardo:

DS CHIUDONO 2009 A + 9 MLN, MA DEBITI A QUOTA 180 MLN.

(ANSA) - I Ds chiudono l'esercizio 2009 con un avanzo di oltre 9 milioni di euro, non avendo dovuto sostenere le spese di un'attività politica vera e propria, ma i debiti pregressi verso le banche sono altissimi e salgono addirittura a 180 milioni rispetto ai 176 del 2008. E' quanto risulta dal Bilancio approvato giovedì scorso dal Consiglio nazionale del aprtito e pubblicato oggi sull'Unità e su Europa. Le entrate della Quercia per il 2009 assommano a 24.082.279 euro, in massima parte rimborsi elettorali (35.000 euro arrivano da quote associative e 51.622 da donazioni di privati).

Gli oneri della gestione sono stati 9.272.153 euro, di cui 3,4 milioni di spese per il personale, 648 mila di affitti, 2,7 milioni per pagare utenze e materiali vari, e 1,8 milioni di contributi ad Associazioni e Fondazioni. Altri 6,6 milioni sono usciti per l'incremento degli interessi passivi sulle rate dei mutui con le banche. Comunque sia alla fine il 2009 si è chiuso con il segno più, e per l'esattezza con 9.008.668 euro. Il problema rimane lo stato patrimoniale del partito, con i debiti pregressi che ammontano a 180.185.754 euro, in crescita di oltre 4 milioni rispetto all'anno prima. Il grosso dell'esposizione è verso le banche che ammonta a 177.731248 euro.

Fonte

Ecco un'altra storiella, fra le tante, che ci illustra una delle loro fonti di denaro.

UN ALTRO BANCHIERE ALLA CORTE DEL PD
di Nicola Imberti

Nessun caso di omonimia. Dopotutto i Democratici hanno sempre avuto un ottimo rapporto con i banchieri (basti ricordare Giovanni Bazoli e Alessandro Profumo in fila per votare alle primarie). Così, il Giuseppe Mussari che nel 2009 ha staccato un assegno da 85mila euro al Partito democratico di Siena è proprio il presidente del Monte dei Paschi appena nominato alla guida dell'Associazione bancaria italiana. A un nostro iscritto spiegano dal Pd senese - e non dell'ultima ora. Da tempo condivide con noi un percorso». In effetti Mussari ha sempre avuto un ottimo rapporto con la politica e in passato è stato vicino al Pci e al Pds. 
Lo scorso anno questa sua vicinanza si è tradotta in un sostanzioso contributo che, come previsto dalla legge, è stato registrato nel bilancio del partito appena approvato. Bilancio che dice che i Democratici hanno chiuso il 2009 con un avanzo di 22.332.447,76. Un risultato positivo che dimostra una sostanziale tenuta dei conti nell'anno in cui, come sottolinea nella sua relazione il tesoriere del partito Antonio Misiani, «la struttura del Pd è entrata a pieno regime». 
La maggior parte dei proventi, oltre 68 milioni di euro, arriva dai rimborsi elettorali visto che il contributo delle quote associative è pari a 0. 
Tra i «creditori» del partito guidato da Pier Luigi Bersani la Lista Pannella (630.000 per le elezioni politiche 2008) e La Margherita cui spettano 701.988,61, ma che deve anche ottenere un rimborso per le spese di utilizzo della sede nazionale a Santa Andrea delle Fratte. La trattativa è ancora in corso ma il Pd ha istituito un fondo rischi il cui importo, nel 2009, è salito a un milione 785mila euro (nel 2008 erano 550.000). Da annotare poi il contributo di 75mila euro che, per il secondo anno consecutivo, viene versato dal Pd all'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione dell'Italia. 
Il presidente Oscar Luigi Scalfaro ringrazia.
Fonte: Il Tempo del 29 giugno 2010 

Soldi, denaro, shei, argent, pecunia... non olet

Perché i nostri pOLITICI politicanti fanno tale mestiere?
Normalmente dovrebbero farlo per il bene comune e per passione. 
Magari fosse così.
Qui da noi, il Bel Paese di Machiavelli,  chi fa politica, nella stragrande maggioranza dei casi, se non nella totalità, lo fa per interesse personale.
Eccone una delle tante prove più che concrete.

RIMBORSI ELETTORALI SENZA FINE
di Cesare Maffi  

Il finanziamento pubblico ai partiti è stato da quasi vent'anni definito ufficialmente rimborso elettorale, al fine di aggirare l'esito fortemente negativo del referendum del 1993. Si tratta di uno dei costi della politica tra i più impopolari, probabilmente secondo soltanto all'assegno vitalizio dei parlamentari (e consiglieri regionali). Che si tratti di un mero espediente lessicale si rileva pure dal versamento in rate annuali: ove si trattasse di un autentico rimborso per spese sostenute dopo le elezioni, dovrebbe essere elargito poche settimane dopo le elezioni di riferimento, non già scaglionato nel tempo. Il bello è che gli stessi bilanci dei partiti confermano tale assunto. E’ in questi giorni pubblicato il bilancio di una piccola formazione di estrema destra, il Movimento sociale fiamma tricolore che, essendo scomparso dall'Europarlamento, non riceve più un euro dallo Stato. Candidamente la relazione confessa: «Con la mancanza di un nuovo sostegno pubblico, non ci sono possibilità di stanziamento di risorse utili per nuove iniziative di attività politica». Il rimborso dovrebbe servire, in linea di principio, a sostenere le campagne elettorali, laddove le iniziative ordinarie dovrebbero far carico ai contributi di simpatizzanti e aderenti. Invece, con la sola eccezione dei radicali (i quali hanno sempre, solitari, denunciato tale assurda situazione), tutti i partiti presentano spese ridotte, talvolta scarsissime, per le campagne elettorali, mentre si servono dei rimborsi per l'ordinaria attività. Altro indicativo esempio è dato dal recente bilancio di Democrazia Europea. Costituirà per molti, anche fra i conoscitori delle vicende dei palazzi romani, una sorpresa apprendere che tale partito non sia formalmente deceduto. Si tratta di uno dei tanti movimenti zombi sopravvissuti al reale dissolvimento, e sopravvissuti di solito per motivi finanziari. Democrazia Europea si presentò alle elezioni politiche del 2001, appena fondata, fuori dei due poli maggiori, e spuntò un po' più di un milione di voti: era costituita da ex diccì, leghisti dissidenti, personaggi di altra provenienza. Vi aderì, con entusiasmo, Giulio Andreotti. Ne era animatore il sindacalista Cisl Sergio D'Antoni. 
L'anno dopo Democrazia europea contribuì, con Ccd e Cdu, al nascere dell'Udc. Adesso si scopre, dal bilancio firmato dal «legale rappresentante» Sergio D'Antoni, che il partito ancora esiste, verosimilmente senza eccessiva attività (per il personale registra per il 2009 spese inferiori a ottomila euro). Ha un patrimonio di oltre quattro milioni, fra titoli e depositi bancari. A quasi un decennio, quindi, dal cosiddetto rimborso elettorale del 2001, un partito zombi campa ancora con solide disponibilità finanziarie. C'è da chiedersi, a questo punto, perché nella manovra non si abbia il coraggio di ridurre drasticamente i sedicenti rimborsi elettorali, per esempio legandoli a spese documentate e nei limiti di una somma rapportata ai voti ottenuti, non riferita, invece, a tutti gli iscritti alle liste elettorali della Camera. Se ne era parlato, ma le pressioni della maggioranza e delle opposizioni hanno fatto venir meno ogni ipotesi di secco taglio. Ci si è limitati a un dieci per cento, e all'abolizione del rimborso esteso anche oltre i limiti della legislatura, ove questa abbia avuto un termine anticipato.

Tutto questo è reso possibile da questo parlamento e dai suoi leader attuali, con le tre B in testa: Berlusconi, Bossi e Bersani. (NdB)

• da Italia Oggi del 29 giugno 2010

Fonte

venerdì 25 giugno 2010

Per ridere un po'

Un amico mi ha segnalato questo divertente video.
Lo pubblico per spezzare l'atmosfera che può diventare opprimente con tutte queste notizie che non trovano ancora una soluzione.



















Cliccate sulla foto o qui per vederlo. 

giovedì 24 giugno 2010

Ci sarà un giudice che faccia chiarezza definitiva?

Un'altra verità viene fuori. Questa volta si tratta di accuse che vengono mosse a Di Pietro dall'interno del suo stesso partito-associazione.

GIALLO SU 600MILA EURO: DI PIETRO PORTATO IN TRIBUNALE DA UNA DONNA
 
di Gian Marco Chiocci, Paolo Bracalini

Ci risiamo. Un’altra inchiesta sull’Italia dei valori, stavolta al Tribunale civile di Milano, ma sempre sulla stessa questione: il mancato versamento dei rimborsi elettorali, promessi ma mai visti. Qui il solito giallo, già al vaglio della Procura di Roma, si tinge di rosa. Perché la causa civile è stata promossa dall’ex responsabile del Dipartimento Pari opportunità dell’Idv, Wanda Montanelli, che per ottenere il riconoscimento del (presunto) torto subìto si è anche resa protagonista, qualche tempo fa, di un pannelliano sciopero della fame. L’udienza dal giudice milanese Paola Gandolfi ci sarà tra pochi giorni, il 30 giugno, e sono chiamati a comparire i legali della Montanelli e quelli dell’Idv, guidati dallo storico avvocato di Tonino, Sergio Scicchitano. Il nocciolo della causa sta in un capitolo di spesa indicato nei bilanci dal 2000 al 2006 dell’Idv, da cui risulta che il partito ha versato in più riprese 600mila euro «per la promozione della partecipazione delle donne alla politica». Fondi che in linea di principio spettavano al Dipartimento guidato dalla Montanelli. Solo in linea di principio, però: «Né io, né alcuna delle responsabili regionali e provinciali del Dipartimento ha mai avuto informazione di come siano stati spesi questi soldi», spiega la Montanelli.
«L’unica spesa sostenuta in quegli anni dal Dipartimento che io dirigevo è stata l’organizzazione della prima Festa Nazionale dei Valori, a Roma. Una manifestazione che però costò appena 20mila euro, era articolata su 5 giornate e di queste solo l’ultima era dedicata alle donne. Quindi un investimento di circa 4mila euro, a fronte degli oltre 600 mila dichiarati in bilancio relative ai rimborsi elettorali per le donne». Insomma la domanda è sempre quella: come sono stati spesi quei fondi, destinati alla Consulta femminile del partito, ma mai visti dai vertici di quello stesso organismo? In più, la Montanelli solleva l’ipotesi di una discriminazione di genere, oltre che contabile, ai danni delle quote rosa. Un altro elemento su cui dovrà pronunciarsi il giudice del Tribunale di Milano.
L’aspetto interessante sta poi nella difesa dei legali Idv, cioè nelle eccezioni preliminari portate dagli avvocati del partito per respingere l’istanza delle ex donne dell’Idv. «I legali del partito sostengono esattamente il contrario di quanto sostenuto nella causa di Elio Veltri spiega la Montanelli -. Cioè, avendo noi chiamato in causa Antonio Di Pietro come responsabile del partito Italia dei Valori, loro hanno eccepito che avremmo dovuto chiamare in giudizio la piccola associazione, che è cosa ben diversa. Quindi, mentre nella causa di Veltri affermano che Idv e associazione sono la stessa identica cosa, con noi affermano che si tratta di cose ben distinte, ovviamente con lo scopo di invalidare la nostra istanza per vizio procedurale. E tutto agli atti, basta recarsi in tribunale e verificare».
I legali di Di Pietro hanno eccepito anche che il Tribunale non è competente a esaminare direttamente i bilanci dei partiti. Anche su questo punto, l’exdipietrista in rosa ha qualcosa da dire: «I bilanci dei partiti sono in effetti soggetti solo al controllo del collegio dei revisori presso la Presidenza della Camera dei Deputati. Ovviamente, la prima cosa che abbiamo fatto, noi donne Idv, è stata presentare istanza a quell’organo che però, per forza di cose, si è potuto solo limitare ad "ammonire" genericamente l’Idv, raccomandando al partito di destinare alle donne la quota di rimborsi elettorali loro spettanti. Però il collegio non può entrare nel merito del come e del quando tali somme siano state spese. Può solo verificare se la voce compaia o meno a bilancio. E nel bilancio le somme destinate alle donne ci sono. L’aspetto surreale è che non si può richiedere la produzione di ricevute o documenti riguardanti l’effettivo impiego di quei fondi. Nessuno può farlo, neppure la Corte dei Conti! L’unica cosa accertabile è se il bilancio sia stato redatto in modo regolare, ma sull’effettivo utilizzo dei fondi vale la buonafede dei partiti. Per questo, non possiamo chiedere al Tribunale di esaminare direttamente i bilanci Idv, ma chiediamo almeno di appurare l’avvenuta discriminazione femminile e in seguito a questo formulare una sentenza per danno esistenziale».

Fonte: Il Giornale del 24 giugno 2010 

Cosa dirà di questa intervista il vice presidente del CSM, Mancino.

Un giudice contro «Basta correnti occupano il Csm»
Intervista a Guido Salvini
 di Jacopo Matano


«Mi sono sempre tenuto a distanza dalle attività associative, ma ora ho sentito il bisogno di rompere il silenzio». A parlare è Guido Salvini, giudice di Milano protagonista di importanti processi italiani da Piazza Fontana alle Nuove Br. Che ha deciso di scendere in campo con una lettera ai colleghi contro lo strapotere delle correnti alle elezioni del Csm e in appoggio dei quattro candidati indipendenti.

Giudice Salvini, quanto pesano le correnti nel Csm?
Fino ad oggi il Consiglio è stato letteralmente monopolizzato da questa aristocrazia di poche centinaia di magistrati, che organizza il voto e decide su trasferimenti, carriere e sanzioni disciplinari di tutti gli altri. Sono le correnti i veri padroni, molto più del ministro della Giustizia. Esistono dalla prima repubblica, ma almeno prima erano divise dalle rivalità ideologiche tipiche degli anni ’70, mentre oggi hanno programmi quasi uguali e funzionano soprattutto da uffici di collocamento per i loro iscritti.

Quindi lei vorrebbe una magistratura senza correnti?
Non dico questo. Esiste un luogo deputato, l’Anm, in cui le correnti devono continuare a elaborare la loro politica giudiziaria - compresi i profili sindacali - e confrontarsi con la politica. Ma non possono occupare anche l’intero Csm, che è organo di alta amministrazione di valutazione. Il Csm valuta i candidati e ha incarichi importanti come quelli direttivi, decisioni che “fanno giustizia” e di cui i destinatari finali sono i cittadini. Per questo non è bene che i consiglieri scelgano - in pratica - tra i loro elettori segnalati dai capicorrente che li hanno fatti eleggere e con i quali sono in debito. Nessuno accetterebbe qualcosa del genere in altri concorsi pubblici.

«In debito»? Quindi questo sistema inficia anche l’indipendenza dei magistrati?
Sì, perché spinge nella carriera all'adulazione e al conformismo, esattamente il contrario dell'atteggiamento mentale che si richiede ad un magistrato che deve essere indipendente dall'esterno, cioè dalla politica, ma anche dall'interno, cioè dalla corporazione e dai propri colleghi. Molti ormai rifiutano questo sistema, ma sinora hanno trovato solo uno sbocco silenzioso nella scheda bianca.

Il 4 e il 5 luglio si presentano i candidati indipendenti, che lei appoggia. Un segnale?
Finalmente dei candidati che corrono da soli, si fanno conoscere tra molte difficoltà e al di fuori dei tradizionali comitati elettorali. È importante che qualcuno di loro - e io sostengo il giovane collega di Napoli Edoardo Cilenti, che ha girato l'Italia da solo - sia eletto. Un indipendente non ha cambiali da onorare e può essere, come un giudice qualsiasi, imparziale nelle decisioni: una sentinella della correttezza di certe scelte. Al Csm servono consiglieri che leggano i fascicoli dei candidati che vogliono diventare capo di un tribunale o di una procura, e non persone che si limitano ad aspettare le telefonate di segnalazione.
Ma i candidati indipendenti hanno programmi diversi tra loro, e non sembrano avere un vero potere “contrattuale”, specialmente con la politica…
Invece un processo di rinnovamento toglierebbe argomenti a chi ci accusa di aver trasformato il Csm in un parlamento politico e di non essere degni del nostro autogoverno. Sottrarrebbe elementi a quella parte del potere politico che, usando questi argomenti non infondati, vorrebbe mettere l’intera magistratura nell’angolo e ridurre i controlli di legalità.

È favorevole allo sciopero?

Sono contrario, mentre resto favorevole ad altre iniziative come lo sciopero “bianco”. È vero che i magistrati più giovani non meritano una decurtazione dello stipendio. Ma spesso non diciamo che le fasce più alte godono ancora di stipendi elevati, più alti, ad esempio, di quelli di un medico ospedaliero, con giudici che li percepiscono magari da più di vent'anni. Lo sciopero è un errore, e rischia oltretutto di renderci antipatici.

Fonte: Il Riformista di mercoledì, 23 giugno 2010


mercoledì 23 giugno 2010

Fusse che fusse la vorta bbona, come diceva Tognazzi impersonando il pecoraio?

La notizia è veramente una piccola bomba. Ed ecco il solito giornalistume italico che, come al solito, dimostra di fare l'interesse degli amici degli amici e dei potenti. come si fa a sminuirla per favorire l'indagato.  
Fra i due articoli che pubblico decidete voi qual'è quello corretto, che da la notizia con tutti i fatti in maniera neutra,  e quello invece tutto a favore dell'indagato che da per scontata l'ennesima archiviazione.
Ci sarà un giudice a Roma che applichi la legge super partes?  

Idv, Di Pietro indagato per truffa
di Sonia Oranges
 
Rimborsi. Il fascicolo, aperto dopo la denuncia di Elio Veltri, riguarda le europee 2004.

La notizia circolava da settimane nei corridoi di piazzale Clodio, ma da ieri il leader dell'Idv Antonio Di Pietro è stato ufficialmente iscritto nell'elenco degli indagati. Di nuovo. E sempre per la stessa vicenda: i rimborsi elettorali incassati dall'Italia dei Valori, stavolta per le elezioni europee del 2004.

Il reato ipotizzato è quello descritto nell'articolo 640 del codice penale: truffa. Ad accusare l'ex pm, nella denuncia in base alla quale è stato aperto il fascicolo (nelle mani del pm Attilio Pisani e del procuratore aggiunto Alberto Caperna), l'ex sodale di Di Pietro, Elio Veltri, candidato sei anni fa in una lista collegata a Di Pietro, grazie a un accordo con il movimento politico del Cantiere che mise in campo anche Achille Occhetto e Giulietto Chiesa. I quali, come Veltri, non hanno ricevuto alcun rimborso elettorali, e che con lui hanno presentato una denuncia alla Corte dei Conti. Fascicolo poi girato dai magistrati contabili alla procura capitolina che da tre mesi sta indagando sulla faccenda. Secondo Veltri, l'associazione privata Italia dei Valori (i cui unici soci sono lo stesso Di Pietro, sua moglie Susanna Mazzoleni e Silvana Mura, la tesoriera recentemente assurta agli onori delle cronache quale “beneficiaria” di una delle case di Propaganda Fide) avrebbe incassato i fondi elettorali al posto dell'omonimo movimento politico, attraverso una serie di false autocertificazioni.

Certo, a piazzale Clodio ricordano anche che Di Pietro, qualche mese fa, ha firmato davanti a un notaio un atto per sancire che associazione e movimento politico Italia dei Valori sono la stessa cosa. E ricordano pure che denunce analoghe a quella di Veltri sono finite in archivio. Già nel marzo 2008, infatti, un'inchiesta simile, nata da un esposto presentato da Mario Di Domenico (altro ex fedelissimo del Tonino d'Italia), era stata archiviata. I magistrati, comunque, hanno delegato alla Guardia di Finanza una serie di accertamenti sul caso.

Di Pietro, però, ieri non sembrava essere preoccupato dal riproporsi delle vecchie accuse: «La Procura di Roma non poteva non procedere, anche questa volta, a seguito del solito esposto. Porteremo ancora una volta le carte per dimostrare che è tutto in regola, come peraltro hanno accertato non solamente plurime autorità giudiziarie, ma anche, da ultimo, l'Agenzia delle entrare e gli organi di controllo amministrativi e contabili». E ha aggiunto: «È importante però che l'opinione pubblica sappia che il denunciante, l'onorevole Veltri, è stato condannato a risarcire il danno di oltre 50mila euro per aver sostenuto accuse infondate nei miei confronti». Il riferimento di Di Pietro (che querelerà Veltri) è alla sentenza con cui, lo scorso aprile, il Tribunale di Monza ha condannato il Giornale e lo stesso Veltri per alcuni articoli sulla gestione del patrimonio dell'Idv. Nella sentenza, il giudice faceva anche riferimento alla vicenda del “Cantiere”, ricordando come il gip di Roma avesse «confermato la sostanziale correttezza delle determinazioni assunte dalla Camera nell'individuazione dell'Idv quale unico soggetto legittimato alla percezione dei rimborsi».


Fonte: il Riformista di martedì, 22 giugno 2010


   


DI PIETRO INDAGATO PER I RIMBORSI

di Alessia Meloni



Antonio Di Pietro ed Elio Veltri: un tempo insieme nel fondare l’Italia dei valori, oggi definitivamente contrapposti. E proprio una denuncia del giornalista è costata un'iscrizione nel registro degli indagati per truffa all’ex pm di Mani Pulite. Stando alla denuncia, l'Associazione Italia dei valori in occasione delle europee di sei anni fa si sarebbe sostituita nella gestione dei fondi elettorali al movimento politico di cui è leader Di Pietro con una serie di false autocertificazioni che avrebbero fatto confluire i soldi sul conto dell'associazione e non su quello del partito. «Storie vecchie, già tutte archiviate» si difende Di Pietro (ieri ha dato mandato ai suoi legali di querelare, comunque, Elio Veltri). Tesi, peraltro, confermata a palazzo di Giustizia dove si ricorda che analoghe denunce non sono approdate a nulla e che lo stesso Di Pietro, nel dicembre scorso, ha sottoscritto un atto notarile per sancire che associazione e movimento politico sono la stessa cosa (Quindi prima non lo erano? NdB). Comunque sia l'inchiesta è aperta e i magistrati hanno incaricato la Guardia di finanza di effettuare gli accertamenti del caso. 
Non è la prima volta che la magistratura romana è investita della questione dei rimborsi elettorali destinati all'Idv. Nel marzo del 2008 il gip di Roma archiviò un'analoga inchiesta che prese spunto dall'esposto presentato da Mario Di Domenico, ex esponente dell’Idv fino al 2003 e che, tra l'altro, costò a Di Pietro un'indagine della Corte dei conti ancora in corso e la rottura con Achille Occhetto e Giulietto Chiesa con cui aveva dato vita ad una formazione politica denominata il «Cantiere». 
« È sempre la solita storia trita e ritrita su cui già, più volte, si sono espresse le varie procure della Repubblica, archiviando il caso», ha replicato l'ex pm. «La Procura della Repubblica di Roma non poteva non procedere, anche questa volta, a seguito del solito esposto - ha aggiunto -. Porteremo, ancora una volta le carte per dimostrare che è tutto in regola, come peraltro hanno accertato ormai da tempo non solo plurime autorità giudiziarie, ma anche, da ultimo, l'Agenzia delle Entrate e gli organi di controllo amministrativi e contabili. Ci vuole pazienza, ci sono persone che non si rassegnano alla propria sconfitta politica e continuano ad infangare gli altri». «Si tratta di fatti vecchi con due pronunce penali di archiviazione dei gip di Roma e di Busto Arsizio ha commentato l'avvocato del leader Idv, Sergio Scicchitano -. Tutto questo clamore non ha alcun senso anche perché i bilanci del partito hanno superato il vaglio degli organi parlamentari preposti e dello stesso Erario. È normale che Di Pietro sia stato iscritto sul registro degli indagati: si tratta di un atto dovuto. Sono certo che Di Pietro si farà interrogare in tempi brevi».

• da La stampa del 22 giugno 2010

[Fonte

domenica 20 giugno 2010

Non si smentiscono mai...

Il comportamento che il presidente Napolitano sta avendo nei confronti del governo Berlusconi non piace molto alle sinistre italiche.
 Lo considerano un "traditore" e quindi sono andati a scovare un vecchio filmato di quando Napolitano era europarlamentare.
Ve lo propongo senza alcun commento se non quello: 
che il lupo perde il pelo, ma non il vizio.
Leggete il nome di chi ha messo in rete il filmato e vi renderete conto che il vecchio adagio: 
Dagli amici mi guardi Dio,  che dai nemici mi guardo io 
e più attuale che mai.


giovedì 17 giugno 2010

Leggere qualcosa di sensato si può ancora...

Questa lucida e precisa analisi del direttore de il Riformista, Antonio Polito,  pone l'accento su una questione che a molti italiani sfugge, specialmente ai deputati e senatori che Berlusconi ha fatto entrare in parlamento per attuare il suo programma: si deve governare nell'interesse della nazione e non per quello personale.

Prima pagina

L'impotenza del Cavaliere
di Antonio Polito
 
L'impotenza non è una scusante, meno che mai per Silvio Berlusconi. Il cittadino che vota dà per scontato che il presidente del Consiglio che ha scelto sia in grado di realizzare il suo programma nelle condizioni date, politiche e istituzionali. Governare non è altro che questo. Invece, sin dalla sua discesa in campo il Cavaliere si lamenta di non poter fare nulla di tutto ciò che vorrebbe fare perché non lo lasciano lavorare. Se l'opposizione si facesse furba, è di questa impotenza che dovrebbe accusarlo, invece di contribuire a costruirne il falso mito elevandolo a dittatore, paragonandolo a Mussolini o a Hitler, attribuendogli una grandezza, seppur perversa, che è lungi dall'avere.
La confessione di impotenza che ieri il premier si è concessa sulle intercettazioni ha, per esempio, del sensazionale.

Leggiamo con attenzione la sua lamentela sull'iter della legge: «Prima abbiamo discusso per quattro mesi; poi abbiamo presentato questa legge al Consiglio dei ministri, è andata alla Camera e ci è rimasta undici mesi, poi è passata al Senato e c'è stata tantissimi mesi ancora. Adesso alla Camera si parla di metterla in calendario per settembre, poi dobbiamo vedere cosa farà il Capo dello Stato e se riterrà di poterla firmare. Poi sicuramente quando sarà diventata legge non piacerà ai soliti pm della sinistra che ricorreranno alla Corte costituzionale che, secondo quanto ho sentito, potrebbe abrogare il provvedimento».

Ora, è evidente che questo disastro politico non può essere colpa della sola opposizione di una «ristretta lobby di giornalisti e magistrati». Che quella opposizione ci sia, nessun dubbio. Ma chi governa o è capace di superarla, oppure lascia stare e non rompe le scatole agli italiani per anni con una legge che già sa che verrà abrogata. Berlusconi dovrebbe prendersela con se stesso e con la sua incapacità di guidare la sua maggioranza per le lentezze e le strettoie di cui si lamenta. Camera, Senato, presidenza della Repubblica e Consulta c'erano pure quando il Cavaliere scese in campo quindici anni fa. Avrebbe dovuto avvisarci che con questa architettura istituzionale non sarebbe stato capace neanche di fare una legge sulle intercettazioni, perché il suo lavoro consisterebbe proprio nel far passare il suo programma per la cruna dell'ago della democrazia parlamentare. Oppure, un leader può decidere di provare a cambiare quella architettura e sostituirla con una che gli piace di più. Ma sono quindici anni che Berlusconi lo dice e non lo fa. Ed è inutile lamentarsi del fatto che quando ci ha provato (con la devolution), gli italiani gliel'abbiano bocciata col referendum, perché anche il voto popolare fa parte delle condizioni date di una democrazia parlamentare. A questo punto, non è affatto escluso che anche per questa legislatura la riforma del sistema delle intercettazioni finisca nel nulla del limbo parlamentare. Ma, se accadesse, sarebbe difficile immaginare una dichiarazione di impotenza più clamorosa da parte del super-potente Berlusconi.

Fonte: Il Riformista di giovedì, 17 giugno 2010

E questi i primi commenti dei lettori de il Riformista, ai quali aggiungo il mio: se il Dottor Berlusconi non è in grado di far votare le leggi che attuano il suo programma col quale e per il quale è stato votato dalla maggioranza degli italiani (ad iniziare dall'abolizione delle Province, TUTTE - nessuna esclusa -, il bollo auto, il rimborso elettorale ai partiti e all'editoria, la riforma della giustizia e del parlamento)  rimetta il mandato nelle mani del presidente Napolitano e ci faccia ritornare a votare, con la speranza che si sceglia migliori deputati e senatori oltre che migliori alleati. 
 
Carmelo Miragliotta
17 giu 2010 18:40
Antonio Polito ha ragione. Il SISTEMA (fatto di burocrati, ladri, furbacchioni, parassiti, ecc. ecc.) è da smontare e Berlusconi ce lo aveva promesso e fatto sperare sin dal suo discorso di "discesa in campo" del 26 gennaio 1994. Per questo l'ho votato e rivotato !!! Ma ora caro Presidente dobbiamo arrivare ad un epilogo. O ce la fà oppure butti la spugna. Ci lasci nelle mani dei politicanti professionisti del furto, dell'estorsione e dei privilegi legalizzati; ci sarà più facile entrare nei palazzi con i forconi in mano!!!
stefanostefano
17 giu 2010 18:32
Polito non sei solo un bravo giornalista, ma anche un acuto commentatore politico. Quello che mi preme, però, è sottolineare quello che dicono persone come augupaci: tu hai la tua idea e non ti interessa nemmeno ascoltare l'analisi degli altri. Esempio: le tv sono tutte contro il tuo Silvio a parte Fede. Giusto: e Italia 1 e il suo tiggì non la guardi mai? Male! Comunque mi hai convinto: hai ragione tu; dimmi solo quanto ti pagano a dire queste sciocchezze e lo farò anche io! Pecunia non olet
Bruno Piccioli
17 giu 2010 18:28
In effetti, per come la mette giù lei dr Polito, non le si può che dare ragione. Ma per un momento togliamo di mezzo i piagnistei, lei pensa che questo Paese sia un Paese facile da governare? Lei pensa che se convinciamo Berlusconi a rinunciare e a tornarsene a fare l'imprenditore, una volta celebrati i suoi processi e condannato a niente, lei, dicevo, pensa che ci sarà qualcuno in grado di prendere le redini di questo strano Paese? Mi sembra, la nostra, una strada senza uscita! Eppure, pur non essendo di sinistra, mi piacerebbe avere un Vendola a capo del governo con la stessa maggioranza di Berlusconi e "vedere di nascosto l'effetto che fa"
gapa
17 giu 2010 18:28
Articolo dal contenuto ineccepibile......... purtroppo.
Arcadio
17 giu 2010 17:53
Non si nega a nessuno la possibilita' di esprimersi,e quella piu' complicata di voler governare.Le lobby esistono.Pare che in italia ci sia solo quella mediatico-giudiziaria,detta "giustizialista" o delle "toghe rosse"?Ma quali?Alcuni si'.Ma le altre lobby?No niente.Invece ce ne sono svariate.Banche.burocrati.Cacciatori.Petrolieri-automobilisti.Camionisti.Taxisti. Quella delle quote latte.Lobby politica detta "casta" .Veline e divi tronisti. Ecc.Caro Maurizio Moreno Lupi.Partigiano jonny di silvio.La visione settaria della politica avvizzisce.E crea blocchi.Con tutta la sporcizia che sta venendo fuori,vi opponete ancora alle inchieste?La tangente on the rocks...con un drink ed una bella rumena che balla pippata alla coca?In una villa Certosa?Appalto pulito piu' bianco di cosi'?
Giuseppe Fumagalli
17 giu 2010 17:42
ahahah, Polito è acuto come al solito: chapeau ... e speriamo che qualcuno delle opposizioni lo legga, 'sto articolo! piangina-Berlusconi ci ha davvero rotto le scatole, coi suoi inconcludenti piagnistei da bambino dell'asilo cui hanno portato via il balocco preferito: e quello sarebbe uno statista che si considerava superiore a un De Gasperi??? ahahahahah, c'è solo da seppellirlo sotto una valanga di risate, senza bisogno di proferir parola!!!
decio
17 giu 2010 17:27
Caro Polito, immagini che il cervello dell'elettore è esattamente come un hard disk di un computer: ha una capacità di memoria limitata. Ora, se l'elettore pensa all'opposizione non pensa alle proposte dell'opposizione, giacché non ve ne è traccia, ma pensa ai magistrati che vogliono processare Berlusconi, e, che, di conseguenza lo costringono a leggi ad personam. Se l'opposizione deve essere sempre costituita da scandali: Noemi, D'addario, Spatuzza, Ciancimino, Scajola, Draquila, i massaggi di Bertolaso, e, in genere i processi di Berlusconi, nella testa dell'elettore non vi è spazio per la vera opposione politica (che dovrebbe essere costituita da PD e IDV). In altre parole, l'opposizione resta al "Palo", come viene riportato da Repubblica, di cui riporto il link: http://www.repubblica.it/politica/2010/06/17/news/sondaggio-giugno-4895693/?ref=HREC1-3
GROSS
17 giu 2010 16:38
dott. polito, il cavliere non è impotente, ci sta rendendo tutti impotenti, ingabbiando parlamento, rai, comunicazione, apparati dello stato ect; avendo governato per 15 anni, il cesso che ci troviamo, possiamo solo dire che gran colpa è del cavalliere. certo che lui è bravo a girare la frittata e buttare le colpe su altri, amici e nemici; vorrei anche dire, ma alla fine all'italia, cosa serve a fare la lega, cosa ha fatto finora se non assecondare e parare il fondoschiena al cavaliere. ho l'impressione che troppi abbiano fretta di legiferare leggi che gli parino completamente il fondoschiena, tanta è la smania di chiudere anche il capitolo intercettazioni, anche a costo di fare leggi incostituzionali...lega compresa; lega che dovrebbe essere fuori da questi giochi; ma che ci sai ancora qualcosa di grosso che bolle in pentola!!! dott, polito, lei che ne pensa!!!
augupaci
17 giu 2010 16:30
Egregio Sig.Polito, è proprio sicuro che questa lobby di giornalisti e magistrati sia così ristretta? La stragande maggioranza della stampa italiana è contro Berlusconi e, malgrado le accuse velenose dei fresconi trinariciuti, anche le televisioni non gli sono certo favorevoli. A parte Fede sulla 4, di scarso rilievo, i programmi anti sono assai più cattivi e virulenti di quelli a favore. La magistratura politicizzata controlla tutti gli organi di autogoverno e la stessa Corte Costituzionale. Lo stesso Presidente Della Repubblica, pur persona di notevole buonsenso ed equilibrio, non è certo un esponente di centrodestra e lo si vede dalle pretese che ha nei suoi confronti la sinistra, che lo richiama continuamente alla sua vecchia appartenenza. Perciò, un po' di ragione Berlusconi ce l'ha a lamentarsi di avere poteri assai limitati. Le accuse di ogni nefandezza che gli vengono rivolte da questa opposizione, danno la misura della meschinità e della bassezza morale di persone che non si fanno scrupolo di attaccare Berlusconi con ogni sorta di infami calunnie, dipingendolo come personificazione di ogni male. Chi di questi inetti avrebbe potuto creare la più importante azienda europea di televisione privata e dare un ottimo lavoro ad oltre 50.000 persone? I politici puri, Fini compreso, sono soltanto dei professionisti della chiacchera, capaci solo di fare vita agiata a carico della collettività!
laura braggion
17 giu 2010 16:24
bravo polito come mi associo, grazie!
emmo
17 giu 2010 15:00
Dovessimo farci sfuggire l´occasione, saremmo finiti ma ci sentiremmo dire: Berlusconi ci ha lasciato questa eredita.
lupimor@gmail.com
17 giu 2010 14:18
Caro Direttore, mi trovo davanti due analisi divergenti, la sua e quella di Giuliano Ferrara, autorevolezza e competenza sono garantite, riguardanti l’impotenza a governare del Premier. Lei dice che l’impotenza di Berlusconi è “in sé” e scrive che “…non può essere colpa dell’opposizione e di una - ristretta - lobby di magistrati e giornalisti”, se il governo non governa. Ferrara ironicamente formula una domanda: ”Scopriamo oggi che il circuito mediatico-giudiziario, più la rete dei poteri istituzionali di garanzia gestiti talvolta con spirito codino e parruccone, è il partito più forte della Repubblica, quale che sia la maggioranza del corpo elettorale?” La differenza è di sostanza e, nel caso di Ferrara, chiama in causa altri soggetti oltre a quelli citati da lei. Il cittadino comune, non militante, come ne esce? Che Berlusconi sia sotto le promesse fatte in tema di riforme è indubbio, che si sia impegnato ad ammodernare il sistema e che questo non sia avvenuto è vero, che la P.A dell’Italia 2010, sia strutturalmente uguale a quella del 2002 ne possiamo convenire. Con quello che ne deriva. Che tutto questo sia addebitabile all’impotenza, cioè all’incapacità di Berlusconi a svolgere il suo ruolo, sembra un po’ riduttivo, anche perché c’è da chiedersi come mai di fronte ad un avversario così mal messo, non siano emerse le capacità degli avversari. Mentre a Ferrara chiedo se la sua analisi, a parte la smaliziata ironia, non neghi di fatto, la natura democratica del nostro sistema, sarebbe serio, a lei chiedo se sia proprio sicuro che la lobby cui allude, sia così “ristretta” come dice? Si potrebbe aggiungere Fini? Sarà mica perché da tempi remoti il verbo “governare” sia da noi, considerato una parolaccia? L'importante è che l'altro non governi. Cordialmente Moreno Lupi

mercoledì 16 giugno 2010

Ai giornalisti italiani all'estero è riservato lo stesso trattamento?

Prima pagina

Il bavaglio della Stampa estera

di Anna Mazzone

C'è del marcio in via dell'Umiltà. Nella strada romana tra la sede del Pdl e il Quririnale, presso l'associazione della Stampa Estera recentemente è andata in scena una spy-story con i fiocchi. 400 membri. Alcuni professionisti di fama mondiale, altri perfetti sconosciuti. Diversi - come è saltato fuori in passato - agenti segreti sotto copertura. L'ultimo indagato in ordine cronologico è stato arrestato il 3 marzo scorso. Hamid Nejad Masoumi, corrispondente della tv di Stato iraniana Irib, è accusato di traffico illegale di armi verso Teheran. Messo agli arresti domiciliari, il 13 giugno ha ripreso possesso del suo ufficio in via dell'Umiltà. Per lui nessuna sospensione. Altri, per molto meno, sono stati messi alla porta.

La Stampa estera romana è un piccolo interregno, sospeso tra le regole dello Stato italiano e l'olimpo di una casta, cui tutto è permesso e che si può permettere di tutto. «Hamid è libero. Ringraziamo Dio». Così la tv di Stato iraniana qualche giorno fa, dopo l'uscita di galera di Masoumi. Per lui arresti domiciliari da parte della magistratura e nessuna sospensione da parte della Stampa estera. Anzi, tanta solidarietà. Insomma, un uomo accusato di far parte dell'intelligence del regime di Ahmadinejad e di gestire un traffico di armi dall'Italia verso Teheran potrebbe, se volesse, incontrare il ministro Maroni e fargli delle domande.

Nel 2006, invece, un altro membro fu sospeso dal “tribunalino” dei giornalisti esteri. Aveva commesso un reato gravissimo: aveva scritto una lettera all'Associazione, denunciandone il marcio. La stessa missiva l'aveva poi inviata in copia alla Farnesina. Il motivo è semplice. L'Italia finanzia la Stampa estera e non con bruscolini: 700.000 euro l'anno per pagarsi un elegante palazzetto storico alle spalle di Fontana di Trevi. Tre piani di uffici praticamente sempre vuoti, dal momento che i corrispondenti solitamente lavorano da casa. Ma tutti questi soldi sborsati dai contribuenti italiani dove vanno a finire? Se lo chiese anche il compianto Gianni Pennacchi (scomparso recentemente) in un'inchiesta su Il Giornale nel 2009. Ma le sue domande non hanno ancora ricevuto risposta.

Quello che balza però agli occhi è l'estremo attivismo dimostrato dalla Stampa estera nel bacchettare “usi e costumi” italiani. Ecco dunque inglesi, francesi e tedeschi stracciarsi le vesti in un'appassionata lotta anti-bavaglio, e allinearsi ai giornalisti nostrani. Già, la libertà di parola e pensiero della stampa è sacrosanta. Nella nostra Costituzione è garantita all'art. 21. Ma la Stampa estera deve avere un Bignamino in cui quell'articolo manca, dal momento che negli ultimi anni ha regolato i suoi conti interni attraverso boicottaggi e censure. Menachem Gantz, corrispondente del primo quotidiano israeliano, Yediot Aharonot, è stato sospeso nel 2006. Subito dopo una “vivace” (eufemismo) assemblea dei giornalisti membri gli fu chiesto di firmare una lettera, in cui si impegnava a non diffondere a mezzo stampa, tv e radio le cose dette durante il consesso, pena l'intervento dell'Associazione con «opportuni provvedimenti». Roba che la retorica del Politburo in confronto è un canto gregoriano. Gantz si rifiutò di firmare. Giornalisti che lottano contro il bavaglio e che poi imbavagliano altri giornalisti, ovvero le assurdità di un carrozzone pagato dallo Stato italiano e ormai totalmente fuori controllo.

«Mi sembra scandaloso e paradossale - dice Gantz al Riformista - che io, come corrispondente del primo quotidiano di Israele non posso assistere ad una conferenza stampa del ministro Maroni. Mentre chi è accusato di spionaggio e traffico d'armi ai danni dell'Italia può farlo e rivolgere al ministro le sue domande». Menachem Gantz ha semplicemente «denunciato le pratiche irregolari di questa Associazione e la mancanza di trasparenza, e per questo sono stato messo alla porta». «La mia unica colpa - continua - era di voler avvertire l'autorità italiana, che finanzia pesantemente l'associazione. Cosa hanno da nascondere? I loro conti? I premi fasulli o che fra i loro giornalisti ci sono non solo presunte spie, ma anche presunti giornalisti?».
E Menachem Gantz è in “buona compagnia”. Espulsa anche la fotoreporter francese Ariel Dumont, rea di aver affisso in bacheca (e per ben due volte) la denuncia di Gantz. Eric Jozsef, ex presidente dell'Associazione, accusato di antisemitismo (con un nonno morto ad Auschwitz), invece si è dimesso. Cos'hanno in comune questi tre a parte lo stesso mestiere? Sono tutti di religione ebraica. Curioso. La presunta spia iraniana, ovviamente, commossa ringrazia.

da il Riformista di mercoledì, 16 giugno 2010

Sempre in tema di pulpiti e prediche...

RODOTÀ CAMBIA IDEA: LA PRIVACY PUÒ ATTENDERE

di Paolo Bracalini

«Questa inarrestabile pubblicizzazione degli spazi privati, questa continua esposizione a sguardi ignoti e indesiderati, incide sui comportamenti individuali e sociali, sapersi scrutati riduce la spontaneità e la libertà...». Novello George Orwell, il professor Stefano Rodotà, scienziato della privacy, custode massimo della riservatezza personale minata da spioni e ascoltatori telefonici dissennatamente foraggiati dalle Procure, ha subito una curiosa metamorfosi rispetto a quella relazione del 2002 ormai del tutto archiviata. Da garante dei dati sensibili, a centravanti di sfondamento del partito dello sputtanamento cartaceo, da autorità indipendente, a militante e promotore di appelli pubblici per la diffusione di telefonate, nastri, bobine, brogliacci, ordini di custodia.
Su Repubblica, ora, il professore spiega che «neppure il segreto e l’eventuale falsità della notizia possono
interrompere la circolazione delle informazioni», ma una decina di anni fa, quando il giurista siedeva sulla poltrona del Garante della privacy, la parola intercettazioni provocava in lui un indescrivibile orrore: «Il problema delle intercettazioni esiste, il Parlamento deve provvedere - spiegava al Corriere della Sera nel ‘99 -. Nessuno mette in discussione la loro utilità investigativa, ma nel’98 ce ne sono state 44 mila, il triplo di cinque anni fa. Certo sono autorizzate dal magistrato: ma chi tutela la privacy degli interlocutori di turno?». E a chi, come il procuratore Vigna, ricordava che un quantum di sputtanamento è pure sempre il prezzo da pagare per difendersi dal crimine, Rodotà rispondeva beffardo che «una volta si ricorreva anche alla tortura, pratica ora vietata nei Paesi civili».
Non solo, da Garante inflessibile Rodotà già indovinava i contorni di un minaccioso Grande fratello tecnologico. Le intercettazioni certo, una barbarie da limitare severamente, ma financo le videocamere che spiano e registrano i nostri movimenti ovunque, davanti a «banche, supermercati, incroci, autostrade, palasport, metropolitane, stazioni, stadi di calcio». Un inferno. A livello planetario. Perché Rodotà, il nemico delle intercettazioni, si era spinto più in là, ravvisando in Echelon, il sistema satellitare Usa, il germe di un controllo globale sugli individui, prossimo a contagiare anche l’Europa.
Il Rodotà che adesso spiega che «in democrazia non bastano i controlli istituzionali (parlamentari, giudiziari, burocratici), serve il controllo diffuso di tutti i cittadini, dunque la trasparenza», è lo stesso che fino a qualche anno fa si scioglieva in accenti quasi poetici quando toccava il sacrario della privacy: «L’intimità - scriveva in La vita e le regole - dovrebbe designare un modo d’essere del vivere che non è solitudine, né semplice riservatezza. Non un allontanamento, non una opacità della vita, ma la possibilità di coglierla nella sua pienezza, fuori d’ogni controllo o interferenza. Collocandosi, però, nel cuore della dicotomia tra pubblico e privato, non può che risentire del modo in cui queste due sfere si strutturano, si compenetrano, si combattono. Da ciò il suo trascorrere da libertà in possibile tirannia».
Quando uscirono le foto di Silvio Sircana, portavoce del governo Prodi, in macchina accostato ad un trans, Rodotà - intervistato dall’ Unità - sifece portavoce dell’intimità pubblica violata: «Sircana è finito in un frullatore indegno, hanno violato la sua privacy e i suoi dati sensibili, diritti fondamentali della persona riconosciuti come tali dalla Carta dei diritti dell’Ue. Siamo di fronte a una questione di civiltà, anche se riguarda personaggi pubblici».
Battaglie, in un verso o nell’opposto, però sempre nel nome dell’indipendenza dalle logiche di partito.
Indipendente prima dai Radicali, cui si iscrisse da giovane, poi con il Pci, che lo fece eleggere alla Camera, ma sempre da indipendente, e da cui si staccò, per indipendenza, ritrovandosi la legislatura
dopo ancora a Montecitorio, da deputato della Sinistra (indipendente). Più tardi «l’indipendenza lo spinse a diventare presidente del Pds senza essersi mai iscritto» (come scrive Pietrangelo Buttafuoco nel suo Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini). Esponente emerito della gauche caviar, gran frequentatore delle spiagge intellettuali di Capalbio, dove ritrova la creme democratica dei Rutelli e dei Flick, Rodotà fu ripetutamente preso di mira dal Cossiga presidente della Repubblica, che si divertiva a far notare la curiosa presenza di quel borghese alla presidenza dell’ex partito dei lavoratori. Ultimamente Rodotà ha ritrovato la verve militante, che esprime di norma su Repubblica, di preferenza con appelli alla nazione. Garante, di qualcosa, purché garante.

• da Il Giornale del 14 giugno 2010

[Fonte]  

La memoria è importante... eccone un esempio fra i tanti!

QUANDO LA SINISTRA ERA (QUASI) LIBERTARIA
di Pierluigi Battista


C'era una volta una sinistra che detestava lo strapotere dei magistrati, diffidava di una polizia onnipotente, e vedeva come una minaccia alla libertà uno Stato che potesse spiare chiunque, senza argini e controlli. C'era una volta una sinistra, certo confusa e pasticciona, che però avrebbe accolto lo slogan barbarico «intercettateci tutti» come una disfatta delle proprie ragioni, una concessione ai tentacoli autoritari del Potere, una sottomissione agli imperativi e agli apparati dell’«ordine costituito».
C'era una volta una sinistra che si sdilinquiva con i versi libertari di Fabrizio De André. Che intonava commossa Here’s to you Nicola and Bart per ricordare, sdegnata, l'oltraggio alla giustizia perpetrato con la condanna a morte, di Sacco e Vanzetti. Che sapeva rispecchiarsi nella denuncia degli arbitrii investigativi del poliziotto Gian Maria Volontè in «Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto» («repressione è civiltà»; era il suo motto). Che leggeva avidamente «I mostri» di Luigi Pintor, dove «i magistrati dispongono del più illecito dei poteri, quello sulla libertà altrui. Ma sono intoccabili... dispongono di armi micidiali, leggi inique e meccanismi incontrollabili. E le maneggiano come e contro chi vogliono». Che in «Sorvegliare e punire» di Michel Foucault ritrovava l’anatomia inquietante della «società disciplinare», dell’incubo moderno della trasparenza assoluta in cui il Potere controlla tutti, si intromette nella vita di chiunque, intercetta ogni segreto palpito degli individui. Che si identificava con i fumetti e i cartoon di Alfredo Chiappori, dove le cuffie e i nastri registrati erano le armi della polizia, oltre al tradizionale manganello. C'era una volta una sinistra che adesso non c'è più. Era contraddittoria, sconclusionata, dottrinaria, ideologicamente folle, ma non si sarebbe mai abbeverata alle fonti della nuova letteratura: i mattinali delle questure e delle procure. Snobbava le battaglie per i diritti individuali dei radicali di Pannella, liquidate come un «lusso borghese». Con i dirigenti della Fgci non disdegnava scampagnate ideologico-esistenziali nei Festival della gioventù allestiti a Berlino Est, proprio lì dove una feroce polizia politica faceva strage delle «vite degli altri». Ma se non era certo «liberale», tuttavia, forse perché ancora residualmente impregnata degli umori anti-autoritari della festa sessantottista, non avrebbe mai celebrato la bellezza sublime dell’Intercettazione Globale.
Qualche volta in molti di noi punge come una tormentata infedeltà a se stessi il cambiamento che si è consumato rispetto a quella stagione. Ma è confortante constatare quanto sia cambiata ancora più radicalmente, e in peggio, quella sinistra che non c’è più. E che sembra culturalmente passata, in blocco, dalla parte dell’«ordine costituito». Altro che infedeltà.

• da Corriere della Sera del 14 giugno 2010

[Fonte

Altra new su Bersani, il politico amico di De Benedetti, l'imprenditore pregiudicato

BERSANI: RAI AL DEGRADO, AZZERARLA. MA I SUOI RESTANO NEL CDA

Rai tutta sbagliata e tutta da rifare. Alla vigilia del varo dei nuovi palinsesti (oggi verranno presentati ufficialmente dalla Sipra agli inserzionisti a Milano, domani a Roma; per la cronaca, su Annozero di Michele Santoro resta l’incognita) e di un nuovo giro di nomine, il leader Pd Pier Luigi Bersani ingrana la quarta su viale Mazzini. 
L’azienda è ridotta «al degrado», scrive in una lettera al Corriere della sera. Il conflitto d’interessi arriva ormai al parossismo, con l’interim delle attività produttive ancora nelle mani di Silvio Berlusconi. Per questo il segretario rilancia la proposta - già di Walter Veltroni - di un nuovo amministratore delegato scelto dal Tesoro e un nuovo cda espresso anche da regioni e comuni. E sfida al ministro Tremonti: «Se vuole la libertà d’impresa può dimostrarlo con il caso della Rai che è invischiata in diecimila vincoli e snaturata come impresa, opera contro se stessa». In pratica Bersani chiede l’azzeramento dei vertici e una riforma che benefici di un canale preferenziale di approvazione. Applausi dal campo democratico («II sasso in piccionaia, è arrivato», scrive oggi il presidente della commissione Vigilanza Rai Sergio Zavoli in un’altra lettera, sempre al Corriere). L’Idv si associa alla richiesta di azzeramento dei vertici e di nuove regole che «liberino la Rai dai partiti»; anche perché, fa notare il capogruppo alla camera Massimo Donadi, la loro «fino ad oggi è stata l’unica forza politica ad essere penalizzata con l’esclusione quasi totale dai tg». Scettico invece il segretario radicale Mario Staderini: questione seria, commenta, ma «l’estensione a regioni e comuni del potere di nomina del cda non rimuove il controllo partitocratico, semmai lo diluisce nel centri di potere locale», Ai radicali del resto da sempre, piace una Rai privatizzata che però anche rispetti «gli obblighi di servizio pubblico». Sberleffi e silenzio da parte Pdl. Che non impressionano il segretario Pd: finché Tremonti non risponde, avverte Bersani, «noi non staremo fermi».
Fermi al loro posto, senza alcuna intenzione di fare le valigie, invece restano i consiglieri di amministrazione indicati dal centrosinistra, anche se non da Bersani direttamente che all’epoca delle ultime nomine non era ancora al timone del Pd. «Bene ha fatto il segretario del Pd a dire che questa governance della Rai non funziona e che l’attuale gestione della maggioranza e del direttore generale squalifica il servizio pubblico» commentano Nino Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten. «Separare indirizzo e gestione della Rai è necessario, perché è l’unico modo per allontanare la cattiva politica dall’azienda». E però, per quanto li riguarda, niente dimissioni, per ora. «Finché questa proposta non riuscirà ad affermarsi continueremo la nostra battaglia nel cda per la difesa del pluralismo e degli interessi dell’azienda e di chi ci lavora». Anche se nei fatti si tratta, nel migliore dei casi, di pura testimonianza.

• da Il manifesto del 15 giugno 2010

di d.p.

[Fonte

Voce dal sen fuggita...

Un vecchio proverbio recita: guarda da che pulpito viene la predica!
Mi era quasi sfuggito il lusinghiero giudizio del pregiudicato imprenditore, mancato padrone della FIAT, sul suo arcinemico Berlusconi, che qui riporto:

De Benedetti: «Berlusconi? Uno della P2
È l'Alberto Sordi della politica italiana»
«Non è un mascalzone, ma è un bugiardo. È talmente fuori di testa che pensa di fare del bene al Paese»
L'Ingegnere sul Pd: «Mi ha deluso molto bersani». Bonaiuti: «Soffre d'invidia»
De Benedetti: «Berlusconi? Uno della P2
È l'Alberto Sordi della politica italiana»
«Non è un mascalzone, ma è un bugiardo. È talmente fuori di testa che pensa di fare del bene al Paese»
LAZISE (Verona) - «Silvio Berlusconi è l'Alberto Sordi della politica ed è uno della P2»: lo ha detto Carlo De Benedetti, intervistato questa sera a Lazise (Verona) dal giornalista Antonello Piroso nell'ambito dell'iniziativa promossa dall'associazione «Trecento Sessanta» di Enrico Letta. «È un bugiardo, punto». ha detto ancora De Benedetti del premier. «Penso che in molte cose sia davvero convinto di fare il bene del Paese - ha proseguito - È talmente così fuori di testa che pensa di fare il bene del Paese. Non è un mascalzone, non è una carogna, è l'Alberto Sordi della politica. Ognuno di noi ha delle caratteristiche - ha spiegato l'editore - e gli italiani ne hanno diverse: sono un po' bugiardi, un po' gradassi, un po' mascalzoncelli. Lui ha preso tutte queste cose, le ha messe insieme e le ha elevate al cubo». E secondo De Benedetti, Berlusconi «c'è riuscito mirabilmente, tanto è vero che gli italiani lo votano, gli danno il consenso: avranno una ragione».
«UNO DELLA P2» - Durante l'intervista di Piroso, De Benedetti ha detto di «avere avuto sempre una ritrosia ad essere cooptato», un aspetto questo, ha incalzato il giornalista, che lo accomuna a Berlusconi? «Beh, no. Lui è della P2», ha riposto De Benedetti. Poi ha ricordato l'ultima volta che ha incontrato il premier: «Letta ha organizzato una colazione a casa sua - ha raccontato De Benedetti -. Ci sono andato e il presidente mi è venuto incontro dicendomi: "Perché non mi vuoi bene?". Come faccio, ho replicato 
(...)
«BERSANI? MI HA DELUSO» - Cambiando pagina, Carlo De Benedetti ha parlato della delusione provata dopo la nascita del Pd, partito che per l'Ingegnere rappresenta una speranza che si è presto dissolta: «Quando il Pd è nato era una speranza, ma poi mi ha profondamente deluso», ha detto l'editore di Repubblica, che ha avuto però parole di elogio per il segretario Pierluigi Bersani. «Ma lo vorrei vedere con un po' più d'entusiasmo - si è affrettato ad aggiungere - Bersani è una persona per bene. Lo stimo molto, è stato un ottimo ministro, è un caro amico perché è una persona estremamente per bene (che però ha il difetto d'avere amici pregiudicati, NdB)». L'imprenditore ha tuttavia ammesso che il segretario del Pd questa settimana l'ha deluso: «L'ho visto in tivù e difendeva gli enti pubblici. Per uno che è stato l'unico ministro italiano a fare delle liberalizzazioni vere, sentendolo difendere gli enti locali mi è sembrata una stranezza che non gli riconoscevo. Però la mia stima nei suoi confronti è totale». De Benedetti ha confermato il suo giudizio negativo su Massimo D'Alema, ma non ha risparmiato anche altri personaggi parlando di Carlo Caracciolo come di un »tirchio« e di Giampaolo Pansa come di una «persona anziana che in quanto tale inacidisce un pochino perché pensa di non avere avuto quello che la vita gli doveva dare». Insomma, per De Benedetti, Pansa «è un po' in aceto». 


Ebbene, il Signor De Benedetti dimentica di dire che nella sua storia d'imprenditore vi è stata anche quella di far male all'Italia. La prova provata è nella condanna definitiva che ha ricevuto, che fa di lui un pregiudicato.
La memoria degli italiani è molto corta e per tale motivo sono andato alla ricerca ed ho trovato su un altro blog tutta la storia di questo grande e geniale imprenditore, tutto d'un pezzo. Giudicate voi se può permettersi di fare il moralista. 
Un'altra cosa importante:
Maurizio Costanzo, suo amico , ha sempre ammesso di essersi iscritto alla P2 per fare carriera. Berlusconi ha sempre detto di averlo fatto ma di essersene subito tirato fuori. Come mai a Costanzo non viene rinfacciato mai di essere stato un piduista reo confesso. Non lo fa  neanche l'altro moralista d'antan, l'ex tutto Di Pietro? 
Misteri italici? 
NO! 
Certezze sinistre!

ECCO LA STORIA:

venerdì 9 ottobre 2009
Berlusconi è stato condannato in 1° grado, da un giudice unico, a risarcire il "danno per mancata chance" nei confronti di De Benedetti.
A parte il giudizio su tale motivazione di condanna e la somma (la prima che la magistratura italiana infligge secondo i parametri americani), quello che desidero sia di pubblica memoria è il solito modo di fare italico dei due pesi e due misure.

Il pregiudicato ing. Carlo De Benedetti è stato condannato (fece soltanto pochi giorni di carcere) a tre anni di galera per aver truffato lo Stato, cioè noi tutti.

Il pregiudicato De Benedetti e i suoi complici (funzionario dello Stato) non hanno mai pagato il loro debito a noi cittadini per  "danno per mancata chance", nè altro!

Questa la storia di CDB ed altre di giustizia all'italiana che ho ricercato in rete e che vi ripropongo.

  
Nel 1993, in piena bufera Tangentopoli, Carlo De Benedetti presentò al pool di Mani Pulite un memoriale in cui ammetteva il pagamento di 10 miliardi di lire in tangenti ai Partiti di governo e funzionale all'ottenimento di una commessa dalle PPTT, consistente in telescriventi e computer obsoleti. Nel maggio dello stesso anno, viene iscritto all'albo degli indagati.Quindi, nessun pentito o altro, è lo stesso ing. Carlo De Benedetti, patron de La Repubblica e Olivetti, che confessa al Pool di aver versato ai partiti di governo 10 miliardi di 'tangenti' per avere potuto vendere alle Poste italiane migliaia di obsolete telescriventi e computer.
Iscritto nell'albo degli indagati nel maggio '93,  a De Benedetti non sarà fatto alcun processo dal Tribunale di Milano. 

Ci penserà il Tribunale di Roma a processarlo e condannarlo dopo una lunga diatriba fra la Procura di Roma e quella di Milano su chi avesse competenza a giudicare De Benedetti.

Per molti altri imputati di Mani Pulite, le cose andarono diversamente dall'ing. De Benedetti che fece soltanto pochi giorni di carcere.

Gabriele Cagliari, presidente dell'ENI, dimenticato in carcere dopo la promessa di liberazione, il 20 luglio '93 si suicida in cella. 

Tre giorni dopo, il 23, con un colpo di pistola si ammazza anche Raul Gardini.

Poche ore dopo la morte di Gardini è arrestato Sergio Cusani suo segretario, commercialista e confidente.

La rapidità dell'attenzione giudiziaria verso Cusani è nelle date: arresto il 23 luglio. Richiesta di processo il 27 agosto.
Parere favorevole del GIP Italo Ghitti il 6 settembre. Prima udienza del processo 28 ottobre. Conclusione dello stesso sei mesi dopo con la condanna a otto anni di reclusione (l'accusa ne aveva chiesti sette)

Per i tempi lunghissimi della nostra giustizia un record eccezionale! Il processo Cusani assume in tivù la spettacolarità dei processi soap opera con Di Pietro al posto di Perry Mason, che appare stranamente umile col tronfio Craxi, quanto insolente con l'accasciato Forlani.
Nell'ottobre scoppia lo scandalo dei fondi riservati del Sisde. Il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, nella sua passata funzione di ministro degli interni,
 avrebbe avuto per quattro anni un appannaggio di cento milioni mensili in busta gialla fuori di ogni controllo. 
Fatto rivelato dagli agenti segreti e dal prefetto Malpica,  capo del servizio segreto civile. 
Il capo dello Stato, O.L. Scalfaro,  la notte del Capodanno '94, nel messaggio alla nazione, reagisce indignato col famoso e reiterato "Non ci sto" a reti unificate. 


 
Ma gli italiani non capiscono. 
Disinformati dei fatti nulla sanno del motivo di quella negazione (ma non conosceranno neppure nulla della destinazione di quei fondi ad personam; nessuno dirà loro se usati per esigenze istituzionali e quali). L'inchiesta si spegne, e gli accusatori vengono incriminati con l'accusa di golpe! 

 
Questa la sentenza che riguarda i complici di De Benedetti. 


Corte dei conti

Sezione I giurisdizionale centrale

Sentenza 5 gennaio 2005, n. 1

Con sentenza 7 giugno 2005, n. 191, la Corte dei conti, sezione I giurisdizionale centrale d'appello, ha disposto la revoca, per errore di fatto, della presente decisione, nella parte in cui condanna il sig. Davide Giacalone al risarcimento del danno arrecato alle Poste italiane s.p.a.
 

FATTO

Avverso la sentenza n. 1725/2002 depositata il 6 giugno 2002, resa dalla Sezione Giurisdizionale, per la Regione Lazio è stato proposto appello da Giuseppe Parrella, rappresentato e difeso dall'avvocato Giulio Correale, Oscar Mammì, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Sanino e Giampaolo Ruggiero, dal Procuratore regionale, nei confronti di Oscar Mammì, costituitosi come sopra rappresentato, Giuseppe Parrella, costituitosi come sopra rappresentato e Davide Giacalone, costituitosi con la rappresentanza e difesa dall'avvocato Franco Gaetano Scoca, e dal Procuratore Generale, nei confronti di Oscar Mammì, Giuseppe Parrella, Davide Giacalone, tutti costituitisi come sopra rappresentati, Maurizio Di Sarra, costituitosi con la rappresentanza e difesa degli avvocati Michele Sterbini e Filippo Lattanzi, ed Enrico Veschi, costituitosi con la rappresentanza e difesa degli avvocati Claudio Pittelli e Salvatore Mileto.

Questi i fatti di causa.

Con atto di citazione del 29.9.1994, la Procura Regionale conveniva in giudizio i sigg. Giuseppe Parrella e Davide Giacalone per sentirli condannare al pagamento della somma complessiva di Lire 36.560.740.000, oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese di giudizio.

Tale importo veniva riferito a due voci di danno: la prima, per Lire 26.535.740.000, relativa ad una fornitura all'Amministrazione PP.TT. di n. 3356 telescriventi rimaste inutilizzate (nell'ambito di un acquisto complessivo di n. 5000 telescriventi avvenuto nel gennaio 1991 per un importo totale di Lire 39.534.775.000) e la seconda, per Lire 10.025.000.000, relativa alla riscossione di dazioni di denaro senza titolo da parte della Società fornitrice in correlazione con la fornitura delle telescriventi.

(Omissis)

P.Q.M.

La Corte dei Conti - Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette, rigetta i gravami proposti avverso la sentenza in epigrafe dalle parti private; rigetta l'appello del Procuratore Generale nei confronti dei sig.ri Enrico Veschi e Maurizio Di Sarra; accoglie parzialmente gli appelli proposti dal Procuratore Regionale e dal Procuratore Generale e, per l'effetto, condanna i sig.ri Giuseppe Parrella, Oscar Mammì e Davide Giacalone, al pagamento, in solido tra loro, della somma di Euro 2.405.429,00 (duemilioniquattrocentocinquemilaquattrocentoventinove/00), comprensiva della rivalutazione monetaria oltre agli interessi legali dalla data della sentenza al soddisfo, in favore delle Poste S.p.a. e alle spese del primo grado come in premessa, nonché a quelle del presente grado che si liquidano in Euro 3429,59 (tremilaquattrocentoventinove/59).

Fonti:
http://virusilgiornaleonline.com/elogio_19.htm
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/10/31/quell-inchiesta-contesa-sui-signori-delle-poste.html
http://archiviostorico.corriere.it/1993/ottobre/31/Benedetti_ricercato_per_corruzione_co_0_9310317166.shtml
http://www.eius.it/giurisprudenza/2005/019.asp
 
http://archiviostorico.corriere.it/1994/maggio/27/Malpica_Scalfaro_con_busta__co_0_94052712644.shtml  

Fonte

Pubblico anche a futura memoria queste altre notiziole sull'ing. Carlo De Benedetti, imprenditore pregiudicato ma che fa il moralista saccente. 

Archivio del 27 gennaio 2009
L’EDITORE DI REPUBBLICA CARLO DE BENEDETTI LASCIA, ANZI NO: ARRAFFA TUTTO IL VERO POTERE, QUELLO DEL DOMINIO DEI GIORNALI CON CUI INFLUENZARE LA POLITICA. LO STILE LOMBARDO SEGUE IL MOTTO NAPOLETANO “CHIAGNI E FOTTI”, E INTANTO FOTTE IL FIGLIO RODOLFO LASCIANDOGLI LE AZIENDE INNOCUE. LA GUERRA CONTINUA
martedì 27 gennaio 2009
De Benedetti, addio con il truccO

L’Ingegnere molla solo in apparenza: tiene il potere conquistato licenziando Scalfari

Di Paolo Guzzanti

  La biografia industriale di De Benedetti è sterminata, ma io voglio ri­cordare quel che ho vissuto e riveduto anche per motivi di lavoro: De Benedetti fu accusato dal presidente George Bush, padre, di giocare molto sporco con il potere sovietico, cui avrebbe fornito l’accesso a merci strategicamente proibite. La lamentela del presidente americano fu espressa al presidente della Repubblica Francesco Cossiga e al mini­stro degli Esteri Gianni De Michelis nel corso di un loro viaggio a Washington: i due italiani difesero a spada tratta l’imprenditore italiano e fecero quadrato su di lui benché non lo amassero affatto. Poco tempo dopo però dalle colonne dell’Espresso partì una campagna di delegittimazione del presidente Cossiga che toccò il suo culmine con la richiesta di rimuoverlo dal Quirinale con certificato medico e sostituir­lo con un comitato di saggi in attesa della nuova elezione. Cossiga aveva fatto cancellare i contratti della Olivetti al Quirinale sostenendo che le telescriventi di De Benedetti erano scarti di magazzino.

  Di certo De Benedetti non ebbe alcun riguardo per il patrimonio tec­nologico della Olivetti, l’unica compagnia informatica europea che avesse prodotto una eccellente e tuttora rimpianta linea di computer, anzi di «calcolatori», che gettò nel cassonetto delle immondizie per entrare invece nel core business della telefonia mobile ma senza una propria tecnologia, giocando soltanto sul commerciale. In questo modo De Benedetti distrusse il patrimonio culturale e sociale di «Comunità» di Adriano Olivetti, sbaraccò quel che restava dell’identità elitaria, radical-chic e borghese-rivoluzionaria del gruppo L’Espresso, si liberò dello stesso Scalfari e procedette come un rullo compressore con il di­chiarato ed evidente scopo di dominare la politica attraverso l’editoria. Oggi De Benedetti si lamenta di aver subito due «scippi», quello del la Sme e quello della Mondadori. È storia vecchia: quanto alla Sme, è un dato di fatto che fu allora il presidente del Consiglio Craxi a rivolgersi a Berlusconi perché desse vita a una cordata alternativa a De Benedetti che aveva raggiunto un accordo molto personale con lo svenditore Romano Prodi. Come tutti sanno, al la fine non vinse né la cordata che a malincuore Berlusconi aveva cerca to di metter su per far piacere a Craxi, né De Benedetti. Quanto alla Mondadori, De Benedetti rimpiange ancora un impero editoriale simile a quello di Carlo Quinto, sul quale non tramontasse mai il sole, ma fu costretto a contentarsi di una redi­stribuzione un po’ più pluralista.


Corriere della Sera > Archivio > De Benedetti ricercato per corruzione


DA ROMA L' ORDINE DI CUSTODIA CAUTELARE, IL PM CORDOVA HA RIBALTATO LA TESI DI " VITTIMA " DEL REGIME ACCREDITATA DALL' INGEGNERE
De Benedetti ricercato per corruzione
latitante? " e' partito per il weekend, rientrera' martedi' . e collaborera' " . secondo l' accusa avrebbe dato ordine a Cherubini Giovanni di versare 10 miliardi in tangenti al direttore del ministero delle Poste Parrella Giuseppe.

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(31 ottobre 1993) - Corriere della Sera