mercoledì 16 giugno 2010

Ai giornalisti italiani all'estero è riservato lo stesso trattamento?

Prima pagina

Il bavaglio della Stampa estera

di Anna Mazzone

C'è del marcio in via dell'Umiltà. Nella strada romana tra la sede del Pdl e il Quririnale, presso l'associazione della Stampa Estera recentemente è andata in scena una spy-story con i fiocchi. 400 membri. Alcuni professionisti di fama mondiale, altri perfetti sconosciuti. Diversi - come è saltato fuori in passato - agenti segreti sotto copertura. L'ultimo indagato in ordine cronologico è stato arrestato il 3 marzo scorso. Hamid Nejad Masoumi, corrispondente della tv di Stato iraniana Irib, è accusato di traffico illegale di armi verso Teheran. Messo agli arresti domiciliari, il 13 giugno ha ripreso possesso del suo ufficio in via dell'Umiltà. Per lui nessuna sospensione. Altri, per molto meno, sono stati messi alla porta.

La Stampa estera romana è un piccolo interregno, sospeso tra le regole dello Stato italiano e l'olimpo di una casta, cui tutto è permesso e che si può permettere di tutto. «Hamid è libero. Ringraziamo Dio». Così la tv di Stato iraniana qualche giorno fa, dopo l'uscita di galera di Masoumi. Per lui arresti domiciliari da parte della magistratura e nessuna sospensione da parte della Stampa estera. Anzi, tanta solidarietà. Insomma, un uomo accusato di far parte dell'intelligence del regime di Ahmadinejad e di gestire un traffico di armi dall'Italia verso Teheran potrebbe, se volesse, incontrare il ministro Maroni e fargli delle domande.

Nel 2006, invece, un altro membro fu sospeso dal “tribunalino” dei giornalisti esteri. Aveva commesso un reato gravissimo: aveva scritto una lettera all'Associazione, denunciandone il marcio. La stessa missiva l'aveva poi inviata in copia alla Farnesina. Il motivo è semplice. L'Italia finanzia la Stampa estera e non con bruscolini: 700.000 euro l'anno per pagarsi un elegante palazzetto storico alle spalle di Fontana di Trevi. Tre piani di uffici praticamente sempre vuoti, dal momento che i corrispondenti solitamente lavorano da casa. Ma tutti questi soldi sborsati dai contribuenti italiani dove vanno a finire? Se lo chiese anche il compianto Gianni Pennacchi (scomparso recentemente) in un'inchiesta su Il Giornale nel 2009. Ma le sue domande non hanno ancora ricevuto risposta.

Quello che balza però agli occhi è l'estremo attivismo dimostrato dalla Stampa estera nel bacchettare “usi e costumi” italiani. Ecco dunque inglesi, francesi e tedeschi stracciarsi le vesti in un'appassionata lotta anti-bavaglio, e allinearsi ai giornalisti nostrani. Già, la libertà di parola e pensiero della stampa è sacrosanta. Nella nostra Costituzione è garantita all'art. 21. Ma la Stampa estera deve avere un Bignamino in cui quell'articolo manca, dal momento che negli ultimi anni ha regolato i suoi conti interni attraverso boicottaggi e censure. Menachem Gantz, corrispondente del primo quotidiano israeliano, Yediot Aharonot, è stato sospeso nel 2006. Subito dopo una “vivace” (eufemismo) assemblea dei giornalisti membri gli fu chiesto di firmare una lettera, in cui si impegnava a non diffondere a mezzo stampa, tv e radio le cose dette durante il consesso, pena l'intervento dell'Associazione con «opportuni provvedimenti». Roba che la retorica del Politburo in confronto è un canto gregoriano. Gantz si rifiutò di firmare. Giornalisti che lottano contro il bavaglio e che poi imbavagliano altri giornalisti, ovvero le assurdità di un carrozzone pagato dallo Stato italiano e ormai totalmente fuori controllo.

«Mi sembra scandaloso e paradossale - dice Gantz al Riformista - che io, come corrispondente del primo quotidiano di Israele non posso assistere ad una conferenza stampa del ministro Maroni. Mentre chi è accusato di spionaggio e traffico d'armi ai danni dell'Italia può farlo e rivolgere al ministro le sue domande». Menachem Gantz ha semplicemente «denunciato le pratiche irregolari di questa Associazione e la mancanza di trasparenza, e per questo sono stato messo alla porta». «La mia unica colpa - continua - era di voler avvertire l'autorità italiana, che finanzia pesantemente l'associazione. Cosa hanno da nascondere? I loro conti? I premi fasulli o che fra i loro giornalisti ci sono non solo presunte spie, ma anche presunti giornalisti?».
E Menachem Gantz è in “buona compagnia”. Espulsa anche la fotoreporter francese Ariel Dumont, rea di aver affisso in bacheca (e per ben due volte) la denuncia di Gantz. Eric Jozsef, ex presidente dell'Associazione, accusato di antisemitismo (con un nonno morto ad Auschwitz), invece si è dimesso. Cos'hanno in comune questi tre a parte lo stesso mestiere? Sono tutti di religione ebraica. Curioso. La presunta spia iraniana, ovviamente, commossa ringrazia.

da il Riformista di mercoledì, 16 giugno 2010