venerdì 31 dicembre 2010

Il Fatto quotidiano ha intervistato la escort di Gianfranco Fini

  Parla Lucia (Rachele), la escort che sostiene di avere avuto rapporti sessuali con Fini.La squillo di Reggio Emilia in un'intervista sul sito 4minuti.it racconta la sua vita e parla degli incontri a pagamento con il presidente della Camera.

Ecco chi è realmente donna Rachele. La escort di Reggio Emilia che nei giorni scorsi ha sostenuto di avere avuto incontri a pagamento con il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Si chiama Lucia Rizzo, ha 34 anni ed è nipote di un gerarca fascista. Oggi lavora per l'agenzia Dive e Star di Milano. Dice di avere raccontato tutto “per una promessa non mantenuta” da Fini: una partecipazione al Grande fratello. Mentre le riviste di gossip le danno la caccia, Dagospia la dipinge come una “racconta bufale”, ilfattoquotidiano.it l'ha rintracciata per sentire la sua versione.

Preferisce essere chiamata Lucia o Rachele?
Mi chiami Rachele.

Rachele perché ha deciso di raccontare questa storia?
Per una questione morale. L'ho fatto per alcune promesse che non sono state mantenute. Nonostante il lavoro che faccio – un mestiere da molti considerato immorale – per me la parola data è sacra. Se una persona prende un impegno, poi deve onorarlo. Nel mio caso non è stato così. Ho pensato di avere subito un dispetto e per questo ho deciso di vuotare il sacco.

Quali sono le promesse non mantenute?
Un ingresso al Grande Fratello.

Quando le è stata fatta la promessa?
Negli incontri successivi al primo, avvenuti nel maggio e nel settembre scorso.

A settembre la rottura tra Fini e Berlusconi era già consolidata.
Di questioni politiche ne capisco veramente poco. Non voglio esprimermi. Io mi limito a raccontare solo le cose che mi riguardano.

Però risulta che in passato lei sia stata una “supporter” politica di Fini.
No. Mi sento molto vicina a lui per le idee che esprime. Sono di destra e ho votato Fini alle ultime elezioni.

Insomma, si interessa di politica o no?
Sì, un pochino. Ma come le ho spiegato prima, non seguo gli eventi politici. Vengo da una famiglia di destra: sono nipote di un gerarca fascista.

Lei sostiene che Gianfranco Fini sia stato un suo cliente, da donna di destra come si definisce lei che sensazioni ha avuto?
Il mio pensiero andava ai soldi: Un “personaggione” del genere avrebbe pagato un sacco di quattrini, pensavo solo a questo.

Lei sostiene che Fini le ha promesso una raccomandazione per il GF.
Sì, stavamo parlando della mia situazione: di quello che faccio per vivere e se mi piacerebbe cambiare vita. E io gli ho espresso il desiderio di poter partecipare al Grande fratello. Lui mi ha risposto che c'era una possibilità.

E dopo questa promessa?
A settembre sono arrivate due convocazioni, una negli studi di Milano e una a Roma. Sinceramente pensavo fossero dovute a delle chiamate dall’alto. Poi invece non ho avuto riscontri di nessun tipo.

Il contatto con la televisione quindi non è avvenuta tramite la sua agenzia.
No, assolutamente. In seguito alle convocazioni al GF ho chiamato l’agenzia, proprio per gestire il “dopo”. Si sa, ti vengono proposte serate, ti invitano ad eventi. E per quanto io sia grande e sappia cavarmela da sola, c’è sempre bisogno di qualcuno che ti segua.

E dopo la delusione la sua video dichiarazione a Libero.
Sì, in cui parlo dei tre incontri, dei 2.000 euro ricevuti per la garanzia del silenzio e delle promesse non mantenute.

Dove sono stati girati i famosi 13 minuti di intervista?
Sono andata dal dottor Belpietro e ho esposto i fatti. Poi lui mi ha chiesto se ero disposta a rilasciare un'intervista. Ora non so come intendano utilizzarla.

Durante le riprese, oltre ai suoi agenti c'era anche un giornalista di Sky?
(Ride, ndr) Sa bene che non risponderò a questa domanda. Nell'intervista fatta da Belpietro non c'erano le persone di cui parla lei. Eravamo presenti io, due collaboratori di Belpietro e un giornalista. Poi ne abbiamo fatto una seconda che ha girato un altro cronista.

E insieme ai suoi agenti c’era un giornalista di Sky?
Sì.

Come mai non ha scattato una foto, non ha girato un video, per incastrare Fini?
Secondo lei è facile fare una cosa del genere? Ha idea dei controlli che venivano fatti prima di ogni incontro? E poi, con un cliente del genere non pensi mica a fotterlo. Pensi solo a tenertelo stretto per i soldi.

E’ consapevole del fatto che rischia una condanna per calunnia ai danni della terza carica dello Stato?


Non mi tange minimamente questa cosa, perché i fatti che ho raccontato sono veritieri. Quindi, non vedo il rischio.

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giovedì 30 dicembre 2010

Ormai alla RAI comandano i giudici

Senza alcun commento riporto questo fondo del direttore de Il Riformista che condivido pienamente. Adesso mi aspetto che al primo licenziamento di un direttore di un giornale, naturalmente di sinistra, avvenga la stessa reintegra!

Mario Missiroli usava dire che è sempre meglio fare il giornalista che lavorare. (Io aggiungo che c'è di meglio: fare il politico! NdB)

Mario Missiroli usava dire che è sempre meglio fare il giornalista che lavorare. È ancora vero. Proprio mentre si chiede ad operai che guadagnano 1200 euro al mese di accettare più flessibilità e meno diritti, un giudice ha stabilito che Tiziana Ferrario, conduttrice del Tg1 per 28 anni, deve essere rimessa a condurre quello stesso Tg alla stessa ora perché la sua sostituzione è stata frutto di una discriminazione politica da parte del suo direttore Augusto Minzolini. A noi la Ferrario è sempre piaciuta: poco diva, molto professionale, dimessa e seria come poche. Ma davvero non si capisce come si possano esercitare le prerogative che il contratto giornalistico riconosce ai direttori in un’azienda come la Rai, dove è il giudice ormai a stabilire regolarmente orari e ruoli del lavoro giornalistico e palinsesto dei programmi. Minzolini potrà anche non piacere, ma un giudice che ne prende il posto ci piace anche meno.

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Questo è il più bel post del 2010. Una ottima fine d'anno!

Senza alcun mio commento, pubblico questa bellissima notizia che spero sia quella conclusiva sull'ex tutto Di Pietro che finalmente inizia la sua parabola discendente nel consenso popolare.

 Questione morale: il padre-padrone Di Pietro è un uomo solo

Terremoto nell'IDV: consensi, sondaggi truccati e leadership sott'accusa. E' fuga dal partito di Tonino.

Antonio di Pietro come Craxi, bersaglio delle monetine del pubblico inferocito. Cambia l'anno, non siamo nel 1993, e la location: il Tonino-bersaglio stava a Matera, e non all'hotel Raphael di Roma. Già, una questione morale nell'Italia dei Valori esiste. Eccome. Per ultimo, a ricordarlo al leader del movimento, è stato Antonio Razzi, il deputato che alla vigilia del voto di fiducia del 14 dicembre ha abbandonato l'Idv. Meta, la maggioranza di Silvio Berlusconi.

I RAPPORTI CON DE MAGISTRIS

- La critica di Razzi coinvolge i rapporti tra Di Pietro e lo stesso De Magistris, "rinviato a giudizio per omissione di atti di ufficio perché non avrebbe indagato, nonostante l'ordine del Gip, su un caso di collusione tra magistrati di Lecce e magistrati di Potenza con ipotesi di reato gravissime", aggiunge Razzi, "che vanno dall'associazione per delinquere all'estorsione". Insomma, si ribadisce che la questione morale c'è, eccome, e riguarda Di Pietro e gli stessi uomini che lui ha scelto e difeso. "De Magistris", conclude Razzi, "doveva autosospendersi dalla carica, volente o nolente, in quanto il codice etico del partito lo impone. Antonio Di Pietro lo ha difeso a spada tratta invece ponendo una deroga a quanto egli stesso prescrisse".

SUPER SCILIPOTI - Insieme a Razzi, a voltare le spalle a Tonino, è stato l'ormai celeberrimo Domenico Scilipoti. Anche in questo caso la "svolta" è arrivata poco prima che la Camera votasse la sfiducia bramata da Gianfranco Fini (sfiducia al Cavaliere che, puntualmente, non si è concretizzata). Scilipoti ha cercato di spiegare che la sua era stata una scelta "di responsabilità politica". Niente da fare, però. Prima ci si sono messi i suoi stessi compagni di partito - Scilipoti ha parlato di vere e proprie minacce ricevute dai vertici della "nomenklatura" -, poi è stato il turno dei media e dei parlamentari di opposizione ("venduto", "corrotto", "voltagabbana", "mezz'uomo" e via dicendo"). Infine non poteva mancare Santoro, che ha spedito la sua troupe a Barcellona Pozzo di Gotto per intervistare la madre - novantenne - del deputato. Il gesto ha scatenato la divertente (e divertita) ira di Scilipoti, che ha trovato massimo sfogo nell'indimenticabile show trasmesso dall'etere di Radio 1.

FLORES D'ARCAIS: "SONDAGGI TRUCCATI" - Facile puntare il dito, parlare di compravendita di parlamentari e mercato delle vacche. Ma guardiamo in casa Idv. Se non bastasse l'accusa lanciata in queste vacanze natalizie dall'intellettuale Paolo Flores D'Arcais (alfiere del partito, che però ha messo sotto accusa Tonino Di Pietro, tacciato di truccare un sondaggio sulla trasperarenza nel suo parito), possiamo fare un tuffo nel passato per ricordare tutte le incongruenze che hanno animato il partito della legalità. Il cartello elettorale del padre-pardone che, però, viene abbandonato.

"INDEGNITA' MORALE" - Partiamo dal 2005, quando Beniamino Donnici si permise di dire che l'Idv avrebbe dovuto aderire subito al progetto riformista di Romano Prodi, prima tappa verso la nascita del Partito Democratico. Donnici contestò la decisione di Di Pietro di candidarsi alla primarie dell'Unione, e affarmò di voler sostenere Prodi. Il democratico risultato fu l'espulsione - senza appello - di Donnici dall'Italia dei valori. Il motivo? "Indegità morale".

INDULTO E DE GREGORIO - Torniamo poi al 2006, quando con il sostegno del centrodestra, al posto della rifondarola Lidia Menapace, fu eletto presidente della Commissione difesa Sergio De Gregorio. Il deputato accettò l'incarico, anche se l'Idv, in un vortice di controsensi, gli chiedeva di declinare l'offerta. Si trattava proprio di quel Sergio De Gregorio finito nell'inchiesta Telecom Sparkle. Certo, vero, l'Idv quando sono sbucati i fondi neri, De Gregorio lo aveva già abbandonato. Lo aveva fatto proprio nel 2006, pochi giorni dopo lo scontro sulla Commissione e pochi giorni dopo le plateali manifestazioni di Tonino sotto Palazzo Madama. Di Pietro cercava di boicottare l'indulto promosso dalla sua stessa coalzione, che all'epoca governava. Ma a favore di quell'indulto votò una deputata dell'Idv. E' Federica Rossi Gasparrini, e contro di lei si concentrò il fuoco incrociato dei pasdaran dipietristi. Morale, lei fa "ciao ciao" con la manina e va con Mastella. Per inciso, anche De Gregorio, sull'indulto, preferì astenersi. Come a dire, "noi nel partito del tiranno Di Pietro non ci vogliamo rimanere". Esattamente quello che pensano Razzi - in maniera - e l'ex fido alleato De Magistris - in modo meno esplicito.

FRANCA RAME - Andiamo avanti di un anno, siamo nel 2007. La defezione è di quelle pesanti. Si tratta di Franca Rame, la moglie di Dario Fò, portata in pompa magna dall'Idv in Senato. Franca non condivide alcune scelte del gruppo, in particolare quella di non votare a favore dello scioglimento della società per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina. Insomma: Di Pietro ordina, il partito obbedisce. Ma il dissenso cresce, e le persone l'Idv possono anche abbandonarlo. Così fa la Rame, come un mese prima aveva abbandonato Salvatore Raiti. Meglio il Partito Democratico. Meglio evitare le bizze di Tonino.

Ancora nel 2007, il movimento Repubblicani Democratici guidato da Giuseppe Ossorio preferì rescindere l'accordo con l'Idv. Non per fare salti (politicamente) pindarici, ma per stringere un'alleanza con i nascenti Democratici. Esattamente come il deputato Salvatore Raiti, che lasciò La Rete per aderire al Pd. Sarà proprio vero che quelli di Scilipoti, Razzi e De Magistri (perchè no...) siano solo capricci, fregnacce e tradimenti?

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mercoledì 29 dicembre 2010

I nostri deputati conoscono la "diligenza del buon padre di famiglia"?

 Pare proprio di no!

Avevo già scritto sullo sperpero di denaro pubblico da parte dei nostri "onorevoli deputati" che, è bene ribadirlo, sono sempre 630 fin dal 1946. 


Quindi, pur non essendo mai aumentati di numero, anzi lor signori dovrebbero essere dimezzati, gli spazi necessari al loro "lavoro" aumenta sempre di più, fino a sfociare nello spreco più assoluto e indecente. 

Ma il solerte e certosino lavoro svolto da due parlamentari - Rita Bernardini dei radicali e del forzista Amedeo Laboccetta - ha 
messo a nudo lo scandalo "Affittopoli" che, per quattro palazzi nel centro di Roma, adibiti ad uffici per i deputati, la Camera spende ogni anno 46 milioni di euro che raggiungono i 53 milioni per l'aggiunta della pulizia e sicurezza! 

Con l'aggravante che Sergio Scarpellini, titolare della Milano 90 , società che ha dato in affitto i palazzi ed offre alla Camera dei deputati anche il servizio denominato Global service chiavi in mano, gode di strani privilegi quali, per esempio, l'aggiudicazione senza gara pubblica di appalto e senza alcuna evidenza pubblica, oltre alla clausola capestro dell'art. 13 del contratto che prevede la disdetta unilaterale da parte della Milano 90 e non da parte della Camera dei deputati che vi ha rinunciato. 
Privilegi che la magistratura dovrebbe indagare se non fosse che la Camera, costituzionalmente, non è amministrativamente indagabile.

Sotto la presidenza di Luciano Violante -PD- nel mese di luglio del 1998 viene riconcessa tale facoltà alla Milano 90 di Sor Sergio Scarpellini (così lo chiamano a Roma), in sede di stipula di un nuovo contratto di affitto denominato Marini 2, che prevedeva all'art. 5.2, la possibilità di disdetta del contratto di affitto di 9 anni più 9, da parte della Camera. 
In data 17 dicembre la Milano 90 scrive alla Camera dei deputati per chiedere la rinuncia a tale facoltà da parte dei deputati, e la Camera, molto solerte, contrariamente al suo solito, risponde il giorno mettendo per iscritto la sua rinuncia a tale facoltà di disdetta. 
(Chiedere ai due parlamentari Bernardini e Laboccetta il loro calvario per avere la documentazione.Calvario sfociato nello sciopera della fame della Bernardini!).

Tralascio il fatto che i locali non potevano essere presi in affitto in quanto non adibiti nel piano regolatore ad uso ufficio. Ma questa è un'altra storia che riguarda il contratto Marini 1.

Quindi 46 milioni l'anno per 18 anni fanno la modica cifra di 828 milioni di euro.
Il buon senso e diligenza del buon padre di famiglia consiglierebbe l'acquisto degl'immobili!

Anzi, per essere più diligenti né acquisto né affitto. 
Per i due/tre giorni che loro signori sono a Roma possono benissimo sfruttare gli spazi presenti nel Parlamento, come fecero i primi deputati eletti.

Viva l'Italia.

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martedì 28 dicembre 2010

Adesso, finalmente, iniziano a capire chi è l'ex tutto.

Riporto alcune ultime notizie di oggi,  successive alla lettera aperta scritta dai tre eletti nel partito dell'ex tutto già pm Di Pietro. Gli ultimi due post nei quali scrivo sull'ex tutto sono qui e qui.

  Dopo le monetine, nell'Italia dei Valori volano gli stracci. Domenica il lider maximo Antonio Di Pietro si è beccato la contestazione Craxi style durante un comizio a Matera. Quindi tre suoi deputati, Sonia Alfano, Luigi De Magistris e Giulio Cavalli, hanno denunciato una "questione morale" all'interno del partito. Si è aggiunto l'intellettuale Paolo Flores D'Arcais, che ha messo sotto accusa la selezione della classe dirigente, imbastendo pure un sondaggio su 'Micromega'.

"LA QUESTIONE MORALE C'E'" - L'ultimo attacco al moralizzatore Tonino arriva però da chi l'ha abbandonato pochi giorni fa, cioè Antonio Razzi, il deputato che alla vigilia del voto di fiducia del 14 dicembre è passato dall'Idv alla maggioranza. La critica coinvolge i rapporti tra Di Pietro e lo stesso De Magistris, "rinviato a giudizio per omissione di atti di ufficio perché non avrebbe indagato nonostante l'ordine del Gip, su un caso di collusione tra magistrati di Lecce e magistrati di Potenza con ipotesi di reato gravissime che vanno dall'associazione per delinquere all'estorsione". Come a dire: la questione morale c'è e riguarda Di Pietro e gli uomini che lui ha scelto e difeso. "De Magistris - continua Razzi - doveva autosospendersi dalla carica volente o nolente in quanto il codice etico del partito lo impone. Antonio Di Pietro lo ha difeso a spada tratta invece ponendo una deroga a quanto egli stesso prescrisse".

"COME IL PARROCO DI CAMPAGNA" - Il problema vero, per Razzi, non è però la condotta etica dei deputati di Idv, ma l'organizzazione del partito: "La guida è nelle mani del Presidente al quale nessuno può dire nulla né proporre nulla. Si vada a leggere lo Statuto dell'Italia dei Valori e si comprenderà come la blindatura del leader sia congegnata ad arte, inattaccabile. La polemica di Micromega è superficiale e pretestuosa quindi perché non va al nocciolo della questione". Di Pietro è "come quel parroco di campagna che dice fate come vi dico io e andrete in paradiso. E' ovvio che non è così. Alzando letteralmente un muro tra il dirigente maximo e i componenti della sua squadra, Antonio Di Pietro, ha inoculato il virus del sospetto riducendo a prassi la circospezione e l'annullamento della personalità di ciascuno. Come si può restare impassibili se non si è degli yesmen?".

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lunedì 27 dicembre 2010

Soltanto da noi possono accadere simili cose!

Ancora una volta, l'ennesima, sono costretto a prendere atto che le cose si possono fare, oltre che nelle due maniere naturali: BENE o MALE, anche  all'ITALIANA, che poi risulta sempre essere la peggiore.

La notizia di oggi che mi ha lasciato con la bocca amara è la condanna a 14 anni di carcere emessa nei confronti del generale dei Carabinieri Gianpaolo Ganzer.  

Ecco una parte delle "motivazioni":

Le motivazioni della condanna a 14 anni per il comandante del ROS nel processo per presunte irregolarità nelle operazioni antidroga. 

MILANO - Il generale Giampaolo Ganzer "non si è fatto scrupolo di accordarsi" con "pericolosissimi trafficanti". Lo scrivono i giudici di Milano nelle motivazioni della condanna a 14 anni per il comandante del ROS nel processo per presunte irregolarità nelle operazioni antidroga.

Secondo i giudici dell'ottava sezione penale di Milano, presieduta da Luigi Caiazzo, il generale "non ha minimamente esitato (...) a dar corso" a operazioni antidroga "basate su un metodo di lavoro assolutamente contrario alla legge, ripromettendosi dalle stesse risultati d'immagine straordinari per se stesso e per il suo Reparto".

Ganzer, sempre stando alle motivazioni di oltre 1.100 pagine, "non si è fatto scrupolo di accordarsi (...) con pericolosissimi trafficanti, ai quali ha dato la possibilità di vendere in Italia decine di chili di sostanze stupefacenti e ha loro garantito l'assoluta impunità".
Il comandante dei ROS inoltre "ha tradito, per interesse personale, tutti i suoi doveri, e fra gli altri quello di rispettare e far rispettare le leggi dello Stato". I giudici, il 12 luglio scorso, oltre a Ganzer, avevano condannato altre 13 persone - a pene variabili dai 18 anni in giù - tra cui anche il generale Mauro Obinu e altri ex sottufficiali dell'Arma. L'accusa aveva chiesto per Ganzer 27 anni di carcere, ma i giudici lo avevano assolto dall'accusa contestata dalla Procura di associazione per delinquere e lo avevano condannato per episodi singoli di traffico internazionale di stupefacenti.

Negli altri Paesi, ad iniziare dagli USA, le operazioni antidroga sono tutte realizzate con la metodologia investigativa usata dal generale Ganzer.
Ganzer, servitore dello Stato, che in USA avrebbero premiato per il suo proficuo lavoro, mentre noi lo abbiamo condannato.
Spero che la Cassazione possa rimettere le cose a posto, ridando serenità ed onore al generale Ganzer ed ai suoi uomini.  

venerdì 24 dicembre 2010

Wikileaks: le verità inconfessabili

Se a dirlo fosse stato la solita impiegata dell'ambasciata USA mossa da "invidia, gelosia o rancore" si sarebbe potuto dire che la cosa era da prendere con le molle. 
Ma quanto è stato riferito al governo USA sul pensiero dell'allora ministro degli Esteri Massimo D'Alema, la fonte è assolutamente degna di rilievo: a riferire fu personalmente l'ambasciatore USA in Italia.

Per me la cosa non è una novità.  
Anzi è l'ulteriore conferma che D'Alema, come tutti i politicanti italici, predica bene e razzola molto male. 
Perché l'ex compagno D'Alema abbia detto che la magistratura italiana è la più grande minaccia allo Stato è cosa più che ovvia: gli americani non sono ciechi, vedono cosa accade in Italia e quindi una frase diversa, per esempio: che la magistratura sia imparziale e faccia soltanto gli interessi dei cittadini,  avrebbe fatto passare D'Alema come persona poco sana di mente. 
E il Signor Sottile, tutto è tranne che insano di mente.
All'epoca, quale ministro degli Esteri di uno stato alleato, non poteva che dire la verità su quanto accade in Italia negli ultimi quindici anni, anche se tale non piccola è potente fetta di magistrati è ascrivibile alla sua parte politica. 

Questo è quanto è stato riportato dagli organi di stampa di cui riporto quanto scritto oggi dal Corriere della Sera:

In Un Cablogramma di WIKILEAKS pubblicato da El Pais


«Per D'Alema la magistratura è la più grande minaccia allo Stato»
 Lo riferiva l'ambasciatore americano, Ronald Spogli, in un dispaccio segreto del 2008.
 

MILANO - Sulla magistratura D’Alema e Berlusconi condividono la stessa opinione: i giudici costituiscono la più seria minaccia per lo Stato italiano. Lo scrive in un dispaccio del 3 luglio 2008, diffuso da Wikileaks e pubblicato da El Pais, l’allora ambasciatore Usa a Roma, Ronald Spogli.

D'ALEMA - Massimo D'Alema però replica attraverso una nota: «Accanto ad osservazioni ovvie su fughe di notizie e intercettazioni, viene riportato un giudizio abnorme sulla magistratura che non ho mai pronunciato, che non corrisponde al mio pensiero e che evidentemente all'epoca è stato frutto di un fraintendimento tra l'ambasciatore Spogli e me».

LA FRASE - Nel dispaccio segreto si rivelava che quando era ministro degli Esteri, nel 2007, Massimo D’Alema disse a Spogli una frase che avrebbe potuto essere tranquillamente attribuita al suo «arci-rivale» Silvio Berlusconi: «Sebbene la magistratura italiana sia tradizionalmente considerata orientata a sinistra, l’ex premier ed ex ministro degli Esteri Massimo D’Alema ha detto lo scorso anno che la magistratura è la più grande minaccia allo Stato italiano», scrive Spogli. «Nonostante anni di dibattiti sulla necessità di una riforma del sistema, non sono stati fatti progressi significativi. Gli italiani considerano il loro sistema "rotto" e hanno veramente poca fiducia sul fatto che garantisca giustizia», commenta il diplomatico americano. 

(fonte: Apcom)




mercoledì 22 dicembre 2010

La decenza avrà mai un limite?

Il 14 dicembre a Roma,  mentre nel Parlamento di votava la fiducia al Governo e gli "studenti" manifestavano contro la legge Gelmini ed anche contro la fiducia, mettendo a ferro e a fuoco la capitale e rapinando i Bancomat (forse per finanziare le loro prossime manifestazioni democratiche di dissenso), Elio Veltri si trovava davanti al GIP Maria Bonaventura per chiedere di non archiviare l'inchiesta su di Di Pietro, indagato per truffa, sui rimborsi elettorali. Veltri si è presentato con un dossier di 400 pagine.
"Dal 2002 al 2006 Tonino (di Pietro, NdB) ha comprato case per 4 milioni di euro, di cui solo un milione attraverso mutui. E gli altri 3 milioni? Vuole spiegare ai militanti ed elettori dove li ha trovati?"
La GIP si è riservata di decidere. Speriamo non archivi come sempre accade quando si tratta d'inchieste che riguardano l'ex collega.

Un piccolo passo indietro per capire il perché Veltri voglia chiarezza sui rimborsi elettorali che Di Pietro a ottenuto per il suo partito Italia dei Valori (Immobiliari?).

Elio Veltri lasciò nel 2001 il partito di Di Pietro che contribuì a fondare (" Troppi personaggi  che non mi piacevano"), ma da allora è in guerra con Di Pietro sulla gestione "poco trasparente" dei rimborsi elettorali, visto che il suo movimento Il Cantiere (di cui facevano parte Giulietto Chiesa e Achille Occhetto) non ha visto un euro per le elezioni europee del 2004. 
Elezioni nelle quali partecipò, insieme al partito di Di Pietro che incassò tutto il rimborso elettorale, facendo eleggere anche un deputato europeo.

Su questa storiaccia ho già scritto molti post che hanno tentato di lanciare un sasso nella paludosa melma politiche italiota, ma senza alcun risultato.
La speranza  è quella che tutta questa classe politica si autoconsumi e lasci spazio ai giovani, ma certamente non a quelli che sono andati a manifestare "democraticamente e civilmente" il 14 dicembre a Roma. 

[Via: Panorama 22/XII/2010 n. 52, pag. 78) 

martedì 21 dicembre 2010

Lo strabismo di Agcom

Riporto l'editoriale di Massimo Mantellini che scrive anche su Punto Informatico, del quale condivido pienamente le osservazioni.

 L'Authority unanimemente approva. Ma cosa? È davvero così urgente semplificare la vita ai detentori dei diritti, trascurando il resto dei cittadini che in Rete vive e prospera? Cui prodest?

Roma - C'è una domanda civile e sensata che forse sarebbe utile porsi in questi giorni. E la domanda è: perché mai io, semplice cittadino italiano, dovrei fidarmi dell'Agcom? L'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni cosa ha fatto in questi anni, da quando è stata istituita, per meritarsi non dico il plauso dei cittadini italiani ma anche solo un minimo di fiducia? La risposta, dal mio punto di vista, è che non c'è stata in questi anni nessuna buona ragione per eleggere l'Autorità, attualmente guidata dal presidente Corrado Calabrò, a garante dei miei diritti di utente dei servizi di telecomunicazioni. C'è un desolate panorama là fuori a testimoniarlo.

Così oggi, quando sento dire che quattro righe del decreto Romani affidano all'Agcom la spinosa gestione del controllo sulla liceità dei comportamenti di Rete, invadendo temi che riguardano la censura dei siti web e la condivisione fra pari dei contenuti, sfilandoli di fatto dalle procedure della magistratura ordinaria, penso non solo che siamo di fronte al solito tentativo sotterraneo di ridurre la Rete a più miti consigli avendo come parametro un mondo che non esiste più, ma che, ancora una volta, l'Authority Comunicazioni molte cose si prepara ad essere tranne che il Garante disinteressato dei diritti dei cittadini.

L'Agcom nasce del resto alla fine degli anni '90 come Autorità indipendente ma, a differenza di Istituti di riferimento come l'Ofcom inglese, di indipendente ha sempre avuto poco o nulla. Decidete voi se per umorale ritrosia, interessi personali o politici dei suoi componenti o per umana ed oggettiva mancanza di potere decisionale. L'irrilevanza dell'Agenzia nel suo ruolo di difensore dell'interesse pubblico è palese, e deriva probabilmente da un mix di queste caratteristiche.
I membri dell'Autorità del resto sono soggetti indicati dal Parlamento con il bilancino tipico degli equilibri elettorali. Si tratta di otto commissari, mediamente "incompetenti" (ma questa è una caratteristica usuale delle nomine politiche) e ampiamente controllati dai propri referenti politici (si veda al riguardo l'ampio lavoro ai fianchi del commissario Giancarlo Innocenzi da parte del premier Berlusconi, ansioso di liberarsi di Annozero). Otto rispettabili persone che non fanno altro che rappresentare le istanze del proprio schieramento di riferimento.

Così oggi un dirigente Ausl in pensione, un gastroenterologo, un medico legale, l'ex presidente della Federazione Editori giornali, un paio di avvocati, un direttore marketing e un dirigente di Publitalia (Antonio Martuscello, l'ultimo commissario recentemente eletto tra mille polemiche al posto del dimissionario Innocenzi bruciato dalle intercettazioni con Berlusconi) hanno annunciato di aver deciso all'unanimità una consultazione pubblica che da un lato servirà - per usare le parole del Presidente Calabrò - "per favorire l'offerta legale di contenuti accessibili ai cittadini, dall'altro prevede azioni di contrasto per la rapida eliminazione dalla rete dei contenuti inseriti in violazione del copyright. Il tutto, nel rispetto del diritto alla privacy e alla libertà di espressione nonché tenendo conto del quadro tecnologico".

Fuor di metafora e dopo aver tutti tirato un sospiro di sollievo, perché la prima bozza del documento proposto era demenziale e pericolosa come solo in Italia le normative per Internet riescono ad essere, quello che, protetti dalle belle parole, si sta cercando di fare, è eliminare l'impiccio dei diritti dei cittadini nel contenzioso che riguarda il diritto d'autore. L'interessato segnala la violazione dei propri diritti e l'Agcom rapidamente e senza troppi controlli chiude il sito web o lo cela agli occhi degli italiani se, come spesso accade, il server su cui risiede è fuori dall'Italia. È il vecchio sogno dell'industria dei contenuti che finalmente diventa realtà, liberarsi delle lente e barbose procedure a tutela dei cittadini previste dal codice. Un nuovo regno nel quale la discrezionalità dei più forti la farà da padrone.

Ci sono aspetti positivi nel documento in consultazione, è vero: come ad esempio aver finalmente capito dopo un decennio che la lotta alla pirateria online non la si fa trascinando in tribunale e minacciando l'utente finale, ma cercando di bloccare il grande diffusore di file piratati (e in questo, sempre più spesso, gli ISP saranno trasformati nei veri gendarmi di Internet). E ci sono specchietti per le allodole, utili a raccontare la favola che l'Agcom persegue un equilibrio fra diritti differenti, per esempio citando una generica ed evangelica accettazione delle cosiddette "licenze collettive estese". Come se le forme contrattuali decise (in questo caso non decise) dall'industria dei contenuti potessero giovarsi dell'avallo del regolatore.

Ci sarebbe bisogno di molto d'altro invece. Intanto di una Autorità indipendente che non c'è (e che continuerà a non esserci perché non conviene a nessuno che ci sia). Perché, se ci fosse e se il suo compito fosse quello di gestire diritti e doveri dei cittadini e non i desiderata della industria sul diritto d'autore ai tempi di Internet, ben altri sarebbero i temi da mettere all'ordine del giorno. L'abolizione del carrozzone SIAE per esempio, la riduzione dell'estensione temporale del diritto d'autore che, come scriveva Lawrence Lessig inascoltato già molti anni fa, si è ormai trasformato da diritto temporaneo a prebenda eterna: ma, prima di ogni altra cosa, la valutazione banale ma dimenticata che i diritti alla conoscenza ed alla condivisione del pensiero dei cittadini vengono prima di quelli dei detentori dei diritti.

Prima: non è difficile da capire. Altro che "rapida eliminazione dalla rete".

di Massimo Mantellini

[Fonte

domenica 19 dicembre 2010

La minestra non scende dal cielo

Cari ragazzi, se volete un futuro datevi da fare
 
La minestra non scende dal cielo. L'avevate mai sentita questa? È un regola di vita che può essere tradotta nel modo seguente: il piatto di minestra non si riempie da solo. Quando ero un ragazzo, me lo sono sentito ripetere un'infinità di volte. Era una litania recitata soprattutto da mia nonna Caterina Zaffiro.
Lei dava molta importanza alla minestra. Anche perché da giovane vedova non sempre aveva potuto mangiarla. E non sempre era stata in grado di offrirla ai suoi sei bambini.
Volevo scrivere un Bestiario sui giovani rivoltosi che hanno messo a ferro e a fuoco il centro di Roma. Però mi rendo conto di essere partito da tempi troppo lontani.
I ragazzi di oggi che cavolo ne sanno dell'importanza di un piatto di minestra? E della difficoltà di procurarselo? Se hanno delle nonne, sono di sicuro signore ancora giovani, cresciute in un'Italia molto diversa da quella che circondava Caterina. E non recitano litanie.
Ma allora, visto che siamo alla fine dell'anno 2010, voglio raccontare qualcosa ai rivoltosi che si preparano a darci un Natale turbolento. Incoraggiati dalla convinzione di poterla fare franca di nuovo. Del resto, i loro compagni arrestati sono tornati subito in libertà, grazie alla clemenza dei magistrati che avrebbero dovuto tenerli in prigione per un po' di tempo.
Ho imparato che i giudici non vanno criticati. Sono un potere molto forte e geloso della propria autonomia. Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha protestato per aver visto ritornare sulla pubblica via dei giovanotti che gli hanno sfasciato il centro della capitale. Era una protesta che nel mio piccolo ho condiviso. Ma che ha subito ricevuto una replica altezzosa del presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Lui ha sentenziato: accettiamo le critiche, ma non gli insulti. Però non mi pare che il sindaco di Roma abbia insultato nessuno.
Comunque sia, i giovani liberati e i tanti che non hanno trascorso nemmeno un’ora al fresco, appartengono a una generazione che non sa niente della vita. Credono che tutto gli sia dovuto. Si lamentano di non avere un futuro luminoso. Però non muovono un dito per costruirselo da soli. Anche perché vivono nell’illusione che la minestra, e tutto quello che viene dopo, sia un diritto privo di fatica e garantito dagli adulti.
State attenti, cari teppisti, cari sfasciatori di vetrine, di bancomat, di automobili, cari picchiatori di poveri poliziotti. Il mondo non gira come pensate voi. La vita che vi aspetta sarà molto più dura di quella dei vostri padri, dei vostri nonni, dei vostri bisnonni.
Non dovete credere alle favole che dei genitori distratti o troppo clementi vi hanno raccontato. Anche nell'epoca dei computer, di internet e dell'ipod vi potrebbe capitare di ritornare poveri. E di fare i conti con un'esistenza difficile, soprattutto per chi non ha un mestiere vero e finirebbe per ritrovarsi, lo dico alla buona, con le pezze al culo.
Allora, cari bamboccioni violenti, vi potrà servire la storia di mia nonna Caterina, quella del piatto di minestra. Non era nata nel Medioevo, ma nella seconda metà dell'Ottocento. E in una pianura, quella vercellese, a un tiro di schioppo da Torino e da Milano. Era analfabeta e così è rimasta sino alla morte, nel 1947. Non aveva mai un soldo in tasca e rimase vedova a 33 anni, con sei bambini da crescere. Il marito, Giovanni Eusebio Pansa, era un bracciante agricolo. E fu ucciso da un infarto mentre zappava il campo di un padrone.
I figli vennero mandati a lavorare da piccoli. Mio padre Ernesto, il quinto del gruppo, non riuscì neppure a finire le elementari. Aveva nove anni quando lo spedirono fare il servitore in un'azienda agricola, con l'incarico di portare le mucche al pascolo. Era così abituato a non possedere nulla che si ritenne fortunato il giorno che Vittorio Emanuele III, re d'Italia, lo chiamò alle armi e lo inviò al fronte, nella Terza Armata al comando del Duca d'Aosta. Aveva compiuto da poco i diciotto anni.
Tanto tempo dopo, gli chiesi come si fosse trovato nell'inferno della prima guerra mondiale. La sua risposta fu una lezione indimenticabile. Mi disse che si era trovato non bene, ma benissimo. L'esercito gli aveva dato il primo cappotto della sua vita, una novità strepitosa per un ragazzo che si difendeva dal freddo soltanto con una vecchia mantella. Poi un paio di scarponi nuovi, al posto delle scarpe di terza mano, sempre sfasciate. Poi ancora due pasti al giorno, e in uno c'era sempre un po' di carne, la pietanza che in famiglia mettevano in tavola soltanto a Natale.
Infine, sempre sul fronte, assaggiò per la prima volta il cioccolato e fumò una sigaretta. Per ultimo, conobbe il piacere del sesso, sia pure nei bordelli della Terza Armata. Che, per volere del Duca d'Aosta, pare fossero i migliori dell'intero esercito italiano.
L'unico rammarico di Ernesto riguardava il fratello maggiore, Paolo. Lui non aveva potuto godere di tutto quel ben di Dio per un motivo banale. Paolo era emigrato negli Stati Uniti e lì faceva il muratore. Lavorava a New York e proprio il giorno definizione della guerra cadde da un'impalcatura e morì. Venne sepolto nel cimitero di Brooklin ed ebbe una lapide povera com'era sempre stata la sua vita.
Partendo dal piatto di minestra, sono arrivato a descrivere un'Italia ben più miseranda di oggi. La mia conclusione è semplice e schietta. Cari ragazzi teppisti, sono un vecchio signore che ha dovuto conquistarsi tutto. E voglio rivelarvi che di voi me ne fotto. Volete avere un futuro? Pensateci da soli e datevi da fare.

di Giampaolo Pansa 

[Fonte

mercoledì 8 dicembre 2010

La giustizia italica a senso unico

L'imparzialità delle toghe

Silvio Berlusconi si lamenta spesso di essere perseguitato dagli av­versari politici e dai magi­strati. 
E il dubbio ti viene: magari esagera. Ma non fai in tempo a pensarlo, che la realtà si incarica di confermare i suoi peggio­ri sospetti. 
Con gli inte­ressi. 
Quel che sta avve­nendo in Parlamento è sotto gli occhi di tutti, con gli ex fascisti rifatti pronti ad allearsi con chiunque, dai democri­stiani ai comunisti ai for­caioli, pur di disarciona­re il Cavaliere, alla faccia degli elettori e degli inte­ressi del Paese. 
E tuttavia lo squallido show della politica rischia di mette­re in ombra quanto si va architettando in altri Pa­lazzi, quelli di giustizia, nei quali la prescrizione è uguale per tutti tranne che per il premier e la trat­tativa mafia-Stato esiste solo ed esclusivamente se può essere usata con­tro di lui: se dietro a quel­li dei boss scampati al 41 bis si profilano i volti di Conso, di Ciampi o di Scalfaro, l’argomento perde immediatamente interesse. 
Accade allora che i giu­dici impegnati su quel fronte si ritrovino ad ave­re un sacco di tempo libe­ro. 
E quale miglior modo di impiegarlo che scate­narsi in un bello spettaco­lino anti Berlusconi? E così il procuratore di Pa­lermo, che indaga su tut­t­i i presunti misteri berlu­sconiani dal 1945 ai gior­ni nostri, parteciperà ve­nerdì alla «Notte del bun­ga bunga », simpatica ini­ziativa organizzata a Bo­logna dal partito di Anto­nio Di Pietro. 
Sul palco, accanto all'esimio magi­­strato, personaggi di cer­tificata imparzialità co­me l'attore-regista Dario Fo, il comico Cornac­chione, il vignettista Vau­ro, i giornalisti Marco Travaglio e Sergio Rizzo (quest'ultimo, immagi­niamo, convocato per te­s­timoniare quanto sia su­per partes il quotidiano per il quale scrive: il Cor­riere della Sera ). 
Imbarazzo? Figuria­moci. Vergogna? 
Non scherziamo, per favore. 
Timori che l'esibizione possa far credere che la sbandierata autonomia e indipendenza della ma­­gistratura siano favole per bambini? Macché: il­lustri precedenti hanno ormai convinto le toghe di essere immuni da insinuazioni ultraberlusco­niane di questo tipo. 
Il giudice Gandus ha potu­to sfilare contro il pre­mier e poi pronunciare una sentenza che lo ri­guardava con la massi­ma serenità d'animo. Il pm De Pasquale, attiva­mente coadiuvato dalla Corte, ha fatto straordinari giochi di prestigio con i termini di prescri­zione, sia nel processo Mills sia in quello per i di­­ritti Mediaset, tra gli ap­plausi di quasi tutti gli or­gani di stampa del Belpa­ese. E la lista finisce qui solo per mancanza di spazio. 
Del resto, è di tutta evi­denza, come usa dire il presidente della Came­ra, che la colpa è solo di Berlusconi, il quale non ha saputo curare i rap­porti con la magistratu­ra. 
Doveva imparare da Fini, che ha coltivato te­nere amicizie con i rap­presentanti dell'accusa, come dimostra il celebre fuorionda con il procura­tore di Pescara Trifuog­gi, e ha goduto di ferrei se­greti istruttori (se neces­sario con sapiente depi­staggio dei media) e di iscrizioni-lampo al regi­stro degli indagati con ri­chiesta di archiviazione incorporata. E così ades­so può permettersi anco­ra di giocare allo statista. 

di Massimo De Manzoni 

[Fonte]

Wikileaks e le notizie ignorate!

Dopo l'arresto di Julian Assage, creatore del sito "giornalistico" Wikileaks, i clamori delle sue rivelazioni hanno smesso d'occupare le prime pagine dei giornali nazionali sull'immaginario stress erotico-notturno di Berlusconi.
In pratica gossip trito e ritrito ma da prima pagina contro il "nemico" Berlusconi  per nascondere le vere NOTIZIE POLITICHE che potrebbero creare uno scompiglio nelle sinistre "DEMOCRATICHE E ILLUMINATE" nostrane.
A dirlo non è uno sconosciuto pinco pallo qualsiasi, bensì Edward Luttwak.

«Rivelazioni sulla vendita di Telecom creerebbero disagio all'Italia» 

Luttwak: 2il governo di centrosinistra scelse la trattativa riservata e bloccò la scalata degli americani al gruppo Raffaele Indolfi."

Professor Luttwak i file di Wiikileaks sono una bomba atomica sulla diplomazia? «Beh, si. Anche se sono convinto che alla fine la diffusione dei segreti non sarà la tragedia che si teme».

Lei dice? «Ma si, non sarà una tragedia perché nella quasi totalità si tratta di segreti di Pulcinella».

Solo fuffa, quindi? Ma è possibile che in 2 milioni e settecentomila files classificati come segreti non ci sia nulla di quello che già non si sappia.

«La diplomazia americana bolla tutto con il timbro segreto, anche quei messaggi, rapporti che tali non sono. Le faccio un esempio. Un funzionario dell'ambasciata a Roma fa la rassegna stampa ed evidenzia un articolo del suo giornale. Non c`è nulla di segreto, quelle notizie sono già a conoscenza dei lettori. Eppure quel funzionario archivia l'articolo apponendovi il bollo "secret". Un segreto che diventa "top secret" se quelle stesse notizie il funzionario non le ha apprese da un giornale, ma parlando con una persona. È così che funziona».

Ma allora l`agitazione che c`è in giro non si giustifica? «C`era agitazione anche alla vigila della pubblicazione dei 400mila files sull'Iraq e poi, cosa è successo? Un bel niente.

Quei segreti che dovevano danneggiare l`immagine dell`America hanno finito, invece, con il rafforzarla».

Come? «Facendo piazza pulita di tanti luoghi comuni, a comiciare da quello che si era fatta la guerra per il petrolio».

Enoneravero? «Le carte dimostravano che gli Usa non riuscivano nemmeno ad avere una commessa pedo sfruttamento di un pozzo petrolifero. Le carte dicevano che erano i cinesi ad avere la strada spianata sul petrolio».

Tuttavia se come lei dice è andata bene una volta, non è detto che vada bene anche la seconda. Perchè gli americani si sono preoccupati di contattare i Paesi loro amici e alleati? «Ma perché quelli che verranno fuori saranno segreti di Pulcinella, inutile dire che, se non una tragedia, è sicuro che provocheranno un grande imbarazzo».

E i segreti italiani? Per esempio che diranno quei file di Berlusconi? «Quello che già sanno tutti per averlo letto suo vostri giornali. E cioè che Berlusconi con la sua vita privata mette in crisi la stabilità del suo governo. Cioè sveleranno un segreto di Pulcinella».

Si parlerà anche di Gianfranco Fini? «Certamente. Si dirà che è uno molto professionale, una persona stabile. Ma si parlerà, forse, anche del cognato».

Della villa di Montecarlo? «Probabile e anche in questo ci risiamo con il segreto di Pulcinella».

I file coprono anche un periodo in cui al governo c`era il centrosinistra.
Quindi si parlerà anche di Prodi, D'Alema.

«Ovvio. Ma attenti, per l`Italia sarebbe un problema se venissero fuori le carte sulla vendita di Telecom Italia. Gli americani volevano entrare in Telecom Italia ed acquistarla. Volevano che il governo italiano, che era allora di centrosinistra, per la vendita di Telecom Italia indicesse un'asta pubblica e non scegliesse, come invece fece, la strada della trattativa riservata».


In questo caso Pulcinella non c'entra affatto.

«Eh, si. E qualche problema potrebbe esserci e nemmeno tanto piccolo».

Le verità Nella maggior parte dei casi si tratta di segreti di Pulcinella
 

Fonte: Il Mattino di lunedì 29 novembre 2010

SIAMO OTTIMI MAESTRI NEGLI SPRECHI!

Ecco cosa succede negli "Stati Uniti d'Europa" che seguono gli esempi italioti dello sprecare e del vivere a sbafo a spese di Pantalone.

Spesati nel lusso dei tropici e super pagati
E’ la (costosa) diplomazia targata UE

Un'inchiesta del Sunday Times racconta "la casta" dell'Unione europea: “Mentre i governi degli stati membri tagliano la spesa pubblica e aumentano le tasse, gli euroburocrati sparsi per i cinque continenti conducono vite da nababbi”. E guadagnano più del premier David Cameron.

Dalle Fiji a Barbados, passando per Mauritius e Seychelles. Nei paradisi tropicali di tutto il mondo le ambasciate europee e i loro dipendenti vivono nel lusso, con stipendi e bonus da capogiro e un orario di lavoro striminzito. Alla faccia dei contribuenti. A svelarlo è un’inchiesta del britannico Sunday Times.

E’ la diplomazia, bellezza. Targata UE. “Mentre i governi degli stati membri tagliano la spesa pubblica e aumentano le tasse, gli euroburocrati sparsi per i cinque continenti conducono vite da nababbi”, scrive il domenicale del Times. L’European External Action Service (Eeas) è appena stato inaugurato in sordina e con poco clamore dalla ministra degli esteri europea, la baronessa Catherine Ashton. La britannica, ex sottosegretario laburista è il politico donna che guadagna di più al mondo, con un salario di 387.000 euro all’anno. Sotto la sua guida lavorano 7.000 persone in 136 Paesi e gestisce un budget totale di 7 miliardi di sterline. L’Eeas comprende 136 ambasciatori “con contratti molto generosi”, sottolinea il giornale. Guadagnano fino a 220.000 euro all’anno grazie ai vari benefit. Per esempio la diaria giornaliera, che dipende dal Paese in cui sono dislocati, un contributo per la casa, un bonus se nasce un figlio o si adotta, un altro per mandarlo a scuola. Auto blu con autista, personale al completo, dal cuoco al giardiniere, viaggi in prima classe per tutta la famiglia per tornare in patria, assicurazione sanitaria, contributo per l’acquisto di mobili e molto altro.

Almeno 130 di loro, evidenzia il Sunday Times, hanno un salario superiore a quello del premier britannico David Cameron (che percepisce 167.000 euro all’anno). Gli ambasciatori inoltre godono di un massimo di 15 settimane di ferie. E la loro giornata lavorativa in media termina alle 4 del pomeriggio. Soprattutto nelle località caraibiche e dell’oceano indiano. Dove il lavoro si mescola alla vacanza perenne.

Sull’isola di Mauritius, per esempio, vive Alessandro Mariani, dipendente della Commissione Europea dal 1994, con vari incarichi, soprattutto in Africa. Con la moglie e i due figli alloggia in una splendida villa vicino alle Goodlands, una delle location più costose dell’isola. Lo staff dell’ambasciata UE è composto da18 europei e 19 impiegati locali. “L’isola è minuscola, misura 45 chilometri per 85 – spiega il domenicale – E tanto per fare un esempio l’ambasciata britannica impiega solo quatto persone”. La presenza degli europei è un mistero. Almeno per la gente e gli imprenditori del luogo, che non hanno ancora capito la funzione di una rappresentanza diplomatica permanente.

Alle Fiji, invece, la delegazione è composta da 35 persone. L’ambasciatore, l’olandese Wiepke Van Der Goot, vive in una tenuta in riva al mare. “Dal 2005 a oggi l’Europa ha speso 38 milioni di sterline in progetti per l’educazione e le infrastrutture”. A Barbados lo staff è di 45 persone. Il capo della delegazione, lo spagnolo Valeriano Diaz, guadagna 150.000 sterline l’anno. Ma la UE ha voluto mettere il suo zampino burocratico anche nelle sperdute isole di Vanuatu, Solomon e Papua Nuova Guinea (7, 11 e 23, il rispettivo numero degli impiegati nello staff). “Perfino a Bruxelles, sede del Parlamento europeo, c’è un’ambasciata con venti dipendenti”, si stupisce il giornale inglese. “La giornata lavorativa di molte persone è in pratica una vacanza prolungata. E il conto lo pagano i contribuenti, i cittadini degli stati membri”, ha commentato l’europarlamentare tedesco Ingeborg Graessle, che si batte per la trasparenza degli organi europei.

Il budget dell’Eeas raggiungerà il prossimo anno i 470 milioni di euro e continuerà a crescere. “E’ ormai diventato un gigante burocratico ma rimane un nano in termini di diplomazia – critica Mats Persson, direttore della think-tank britannica Open Europe – In molti Paesi la presenza di un’ambasciata è inutile e dispendiosa, non fa che succhiare finanziamenti che potrebbero invece essere spesi dai Paesi membri nella loro economia interna”.


[FONTE

La barzelletta del mese

Abbiamo perso nel '94, abbiamo vinto nel '96, abbiamo perso nel 2001, abbiamo vinto nel 2006, abbiamo perso nel 2008: la prossima volta vinciamo. È il nostro turno: ci stiamo organizzando per vincere e durare a lungo. 

Firmato Massimo D'Alema

[FONTE

Questo personaggio è ancora una persona credibile quando dice di riferire cose dettegli dal padre?

Personalmente non ho mai creduto neppure ad una parola detta/riferita da questo personaggio. 
La nostra Costituzione, all'art. 111, garantisce all'imputato di interrogare personalmente o far interrogare la persona "fonte" delle accuse mossegli.
I fantasiosi racconti di Massimo Ciancimino, figlio del mafioso Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, passato a miglior vita, iniziano sempre con: "Mio padre mi disse"! Le presunte "prove" che ha consegnato ai pubblici ministero si sono rivelate delle patacche.
Poichè il padre non può nè smentire o confermare, il "teste" Massimo Ciancimino dovrebbe essere inquisito per falsa testimonianza.  
Specialmente dopo l'ultima intercettazione ambientale fatta a sua insaputa.
Nell'articolo che vi propongo a firma di Piero Sansonetti, già collaboratore ed inviato de l'Unità e direttore di Liberazione, è spiegato molto bene perché il figlio del mafioso Ciancimino non è un teste affatto credibile.

Qualche domanda a quelli del Ciancimino show 

Cosa nostra. Per me De Gennaro è stato un pessimo capo della Polizia. Ma associarlo ai clan è follia pura.
Il crollo della credibilità di Massimo Ciancimino spingerà i suoi “fans” a rivedere le proprie posizioni?
A chi mi riferisco? Ad Annozero, per esempio, a Repubblica, al Fatto Quotidiano e a vari altri. I quali, nei mesi scorsi, hanno fondato sulle testimonianze e sulla indubbia serietà di Vito Ciancimino (e anche del pentito Spatuzza) una robusta ricostruzione della storia politica italiana degli anni 90 e del modo nel quale nacque la Seconda Repubblica e si affermò il berlusconismo. Diciamo che non è stata questione di un articoletto o di una intervista in tv: pagine e pagine (prime pagine e prime pagine) una campagna giornalistica molto forte, battente, ben congegnata, che puntava, nella sostanza, a sostenere la tesi che la Seconda Repubblica non ha alcuna legittimità democratica.
Io non ho mai creduto a questa campagna, e ho scritto varie volte che la consideravo la “tomba” di ogni speranza che in Italia tornasse a vivere una sinistra. Dal momento che sono convinto che la sinistra non tornerà mai a vivere se continuerà ad affidare il suo futuro sull’azione dei giudici o sugli scoop di Repubblica, e sulla conseguente demolizione e possibilmente carcerazione degli avversari politici. Ma questo non è importante: cioè, non è importante il mio pensiero. Ora c’è una cosa molto più concreta: il crollo del pilastro di quelle tesi. Cioè la fine della favola di Ciancimino che sapeva tutto e raccontava tutto. Questa novità fa crollare rovinosamente quelle tesi.
Intendiamoci, io non mi riferisco alle accuse che sono piovute addosso a Massimo Ciancimino per il riciclaggio del denaro che avrebbe realizzato assieme ai clan calabresi. Non sono affatto sicuro che questa accusa sia fondata, come in genere non sono mai sicuro che le accuse siano fondate. Mi riferisco alle sue dichiarazioni su Gianni De Gennaro. Sono quelle dichiarazioni a rendere del tutto inaffidabile il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo. Perché? Francamente, negli ultimi anni (dal 2001) su tutti i giornali sui quali ho scritto ho sempre parlato male - malissimo - di Gianni De Gennaro. Penso che sia stato un pessimo capo della polizia, che lo sia stato troppo a lungo, che abbia delle responsabilità molto gravi per il “massacro” di Genova (appunto, del 2001) e per il comportamento “cileno” - come disse D’Alema - dei suoi uomini. Però solo immaginare che Gianni De Gennaro sia compromesso con la mafia è una follia pura. È come dire che Francesco D’Assisi accumulava ricchezze. De Gennaro ha una carriera piena di demeriti fortissimi e di meriti eccezionali. Tra i meriti sicuramente c’è il suo sodalizio con Falcone che portò - per la prima volta - lo Stato a infliggere colpi micidiali, e in parte irreparabili alle cosche mafiose.
Solo che allora De Gennaro e Falcone non compravano pentiti a scatola chiusa, né se li rivendevano in tv, né credevano loro sulla parola. Lavoravano, verificavano, riscontravano, accertavano. E Falcone prima di spiccare un avviso di garanzia ci pensava cento volte. Perché? Non solo per garantismo, ma perché ritenevano che il rigore estremo fosse l’unico modo per non danneggiare le indagini. Falcone diceva che il buon giudice non è quello che inizia molti processi, ma quello che li vince. E i finti pentiti di sicuro non aiutano.

 Ora la domanda che vorrei porre è questa: Annozero, Il Fatto, Repubblica (eccetera) presenteranno ai loro lettori o spettatori la nuova versione dei fatti? Cioè diranno loro con grande risalto: «Ci siamo sbagliati, Ciancimino ( e Spatuzza) non sono credibili e dunque le cose negli anni ’90 non andarono come noi ci eravamo immaginati»?. Se lo faranno per me sarà una sorpresa molto positiva, e potrei rivedere l’idea della quale mi sono convinto in questi anni, e cioè che il giornalismo è morto. Se non lo faranno, sarà una nuova bastonata alla verità. Sarà la conferma che il giornalismo italiano non ha nessun interesse alla verità, la considera un orpello fastidioso, e concepisce se stesso soltanto come il protagonista di una attività mercantile, subalterna ai progetti politici o industriali dai quali è finanziata.

di Piero Sansonetti, lunedì, 6 dicembre 2010 

lunedì 6 dicembre 2010

Lo studente ha il dovere di studiare

Lo studente ha il dovere di studiare, i docenti quello d'insegnare!
Cosa ci sia più elementare di questa regola base della convivenza in un Paese civile e "normale" ? Nulla. 
Ma qui nella nostra Italia cambiare quello che discende dalla Carta Costituzione del compromesso storico è vietato a tutti, tranne ai "demo-catto-sinistri". 
Se poi è un governo di destra a fare leggi che modificano lo status quo fallimentare di un Paese dove fino a poco tempo addietro i libri scolastici ignoravano, per citare solo due "cosette": le foibe e la guerra civile seguita alla II Guerra mondiale,  allora le  sinistre "illuminate, democratiche e progressiste", fomentano lo scontro sociale, pur di lanciare un altro macigno contro un governo eletto dal popolo.
L'articolo di Giampaolo Pansa, già vicedirettore di l'Espresso e Repubblica spiega molto bene questo concetto. 

Lo studente ha il dovere di studiare

Se lo studente non studia, il poliziotto manganella
 
A qualcuno il concetto espresso nel titolo di questo Bestiario sembrerà banale. Anzi, più che banale: vecchio, superato, reazionario, addirittura fascista. Già, un concetto in camicia nera, un colore che non piace più a nessuno. Nemmeno all’ex capo dei fascisti italiani, Gianfranco Fini. Lo dimostra anche un dettaglio: fra le tante cravatte che il capo futurista sfoggia, non ne abbiamo mai vista una nera. Che molti portano perché pare sia diventata di moda sulla camicia bianca.
Tuttavia, affermare che lo studente ha il dovere di studiare non è un concetto banale, infatti sta alla base di tutte le società ben ordinate. Quando si arriva ai diciotto anni di età, e si diventa maggiorenni, non esistono alternative. O si comincia a lavorare, imparando uno dei tanti mestieri che il mondo di oggi offre ai giovani. Mestieri che possono garantire un buon reddito e risultare utili al prossimo. Oppure si decide di andare all’università, nella speranza sempre più tenue che basti una laurea per ottenere una professione ben retribuita.
questo dilemma non si può sfuggire. Ma se decidi di studiare, devi farlo. Il personaggio di un famoso spettacolo televisivo, mi pare di Renzo Arbore, avrebbe osservato: lo dice la parola stessa. Lo studente studia, che altro dovrebbe fare? Per molti decenni, l’Italia si è retta su questa sacrosanta ovvietà.
Mio padre Ernesto aveva frequentato soltanto la quarta elementare e di mestiere era guardafili del telegrafo. Quando mi mandò all’università, inaugurò un taccuino sul quale segnava gli esami che davo, il voto e la data. Diceva: se non studi, se non superi gli esami al momento giusto, se non prendi buoni voti, ti metterò al lavoro da qualche parte.
Lo studente che non studia tradisce non soltanto se stesso, ma anche la società nella quale vive. Il sistema dell’istruzione pubblica si regge soprattutto sulle tasse che i contribuenti onesti pagano allo stato. Senza questo sacrificio, le scuole e le università chiuderebbero. Dunque lo studente svogliato, nulla facente e somaro danneggia la collettività. E truffa milioni di persone. Nessuno potrà mai chiedergli i danni. Ma almeno ci sia la sanzione morale del suo comportamento indecente.
Nel caos di questi giorni, con i cortei, le occupazioni, gli scontri con la polizia, Silvio Berlusconi, fra le sciocchezze che erutta, un cosa giusta l’ha detta: «I veri studenti sono a casa a studiare e non in piazza». Eppure in tanti gli hanno dato sulla voce come se ci avesse rifilato una fanfaronata del tipo: «Io sono il sogno dell’Italia».
A contraddirlo, con il sarcasmo di sempre, è stata la sinistra di piombo. La chiamo così non perché spari pallottole, bensì perché è rimasta vecchia, inchiodata a un modo di vedere le cose superato da anni, stantia, cupa, plumbea. Volete un esempio? Su Repubblica del 1° dicembre, Michele Serra ha bollato le parole del Cavaliere così: «Una vecchia frase, da vecchio reazionario».
Ma Serra non si è limitato a questo. A proposito del verbo berlusconista ha scritto: «Ai non più giovani tornano in mente il repertorio classico della destra d’ordine (e a volte di manganello), la Notte di Nino Nutrizio, gli editoriali fascistissimi di Gianna Preda sul Borghese, certi corsivi impomatati del Corriere pre-Sessantotto, i cartelli ‘Qui si lavora e non si parla di politica’ nelle fabbrichette e fabbricone del Nord».
Un campionario classico dei Serra italici. Lo strabiliante è che il giorno dopo sia stato ripreso ed esaltato sulla prima pagina del Secolo d’Italia, il quotidiano dei futuristi finiani. Con un commento di Maurizio Bruni che iniziava così: «Ha proprio ragione Michele Serra. C’è in giro un’aria da nostalgia di Scelba…».
A uso e consumo di chi non frequenta Wikipedia, bisogna ricordare che il Mario Scelba in questione era il democristiano ministro dell’Interno nell’età degasperiana. Un politico grintoso, ma per bene e molto efficiente. Che aveva di fronte un colosso allarmante come il Pci dell’epoca, legato all’Unione sovietica di Stalin e sempre tentato di usare la piazza per conquistare il potere. Aver fatto passare Scelba per un sadico picchiatore è una delle imprese più riuscite all’egemonia culturale comunista. Ancora così forte da contagiare anche il foglio post-fascista.
Nei giorni del ribellismo contro la legge Gelmini, di manganellate la polizia ne ha distribuite molte. Ma non poteva fare altrimenti. Quando si tenta di invadere il Senato e la Camera, quando si occupano le stazioni, le autostrade, i monumenti, gli edifici universitari, quando si cerca lo scontro con le forze dell’ordine e si rovesciano i suoi automezzi, l’unica risposta diventa il manganello.
Mi domando se non sarebbe venuto giù il mondo nel caso di un corteo che si fosse spinto in largo Fochetti per occupare la redazione di Repubblica. E non avesse trovato un cordone di poveri poliziotti. Schierati a difendere la sacra proprietà dell’ingegner De Benedetti.
Eppure in molti hanno parlato di repressione cilena, del Cile sanguinario di Pinochet. Il primo a farlo è stato Nichi Vendola. Con un proclama da ricordare a futura memoria: «A una generazione che reclama nello studio il diritto al futuro, si risponde con i mezzi cingolati, facendo di Roma una cartolina della Santiago degli anni Settanta».
Vendola è un pifferaio in grado di incantare tanta gente. Ha incantato anche un titolo del Riformista. Che strillava: “Una giornata cilena”. Ma il Riformista lo perdono perché voglio bene alla sua redazione e al suo direttore.

di Giampaolo Pansa

[VIA]  

venerdì 3 dicembre 2010

Siamo alla frutta!

Sono passate quasi due settimane dal mio ultimo post durante le quali ho combattuto ogni giorno contro la nausea ed il vomito provocati dalla lettura dei giornali italici e dalla rara visione di quale telegiornale RAI. Per pietas non parlo delle trasmissioni "illuminate e democratiche" condotte dai personaggi dell'intellighenzie superiori di sinistra, l'unica depositaria della verità assoluta.

Come tutti sappiamo fra poco assisteremo all'ennesimo stravolgimento della volontà della maggioranza degli italiani che avevano scelto, con il libero voto, chi doveva governarli soltanto trenta mesi addietro.

 Poiché siamo sudditi di una Carta Costituzionale nata all'insegna del compromesso, alla fine della seconda guerra mondiale, e di una violenta guerra civile, possiamo star certi che se il 14 dicembre il governo non otterrà la fiducia (come ormai appare cosa certa), il presidente Napolitano, seguito l'iter procedurale più classico - ascoltando tutti e tutto ad iniziare dai presidenti di Camera e Senato -, darà l'incarico di formare un nuovo governo a qualche "personaggio di salvezza nazionale" che riceverà la fiducia in parlamento con l'aiuto dei voltagabbana "finiani".

Cosa potrà o riuscirà a fare questo "probabile" governo di "salvezza nazionale o di salute pubblica" come lo definiscono le intellighenzie di sinistra, sarà tutto da verificare.
Probabile governo che sarebbe meglio definire, se mai ne permetterà la nascita il presidente Napolitano,  armata brancaleonesca.

Ma questo indecoroso scempio nasce dalla responsabilità di un solo uomo: Silvio Berlusconi.
L'attuale presidente del consiglio, quando Gianfranco Fini gli rivolse la famosa frase: " Che fai, mi cacci?", alla prima occasione politicamente valida - considerato che non aveva più la maggioranza uscita dalle urne per il "tradimento " politico di Fini e dei suoi seguaci, doveva dimettersi e fare in modo che il Popolo sovrano decidesse il suo futuro.

Se così avesse fatto, senza dar retta a sondaggi e consigliori, l'on. Fini e seguaci sarebbero rimasti col cerino in mano, come accadde al Signor Fausto Bertinotti.

  Adesso il "navigato politico Fini" avendo il tempo necessario, i soldi dell'ex partito AN e l'aiuto dei "democratici puri e duri", ha tutto il tempo di prepararsi per le elezioni e superare. forse,  la soglia di sbarramento del 4%.

Personalmente mi auguro di no!