venerdì 30 settembre 2011

Riporto questa interessante notizia che conferma l'agire di questo personaggio ...

ESCLUSIVO/ Travaglio copia gli articoli da Internet. Ecco le prove, ma lui nega e offende: “mitomani”


Marco Travaglio copia da Internet. 
Di seguito vi forniamo le prove, inconfutabili, dell’articolo originale e del pezzo poi uscito a firma di Travaglio. E non si tratta di una semplice frase, ma di un pezzo intero, copiato per stile e impostazione. Strano, tra l’altro, per un giornale come ilFatto che è nato praticamente da Internet, e che Internet dovrebbe rispettare, compresa la regola numero uno: citare la fonte. E non copiare. Per non dire poi di Travaglio, da sempre paladino di ogni forma di legalità e di correttezza: certo, per carità, copiare un articolo non ti manda in galera, ma è comunque significativo.

Anche perché Travaglio nega. Ma andiamo con ordine. Questo è il pezzo originale, scritto da Claudio Messora, conosciutissimo blogger autore di ByoBlu.com; lo stile del pezzo, come potete vedere, è particolare: si tratta di un dialogo. Ci sono tre soggetti (Berlusconi, il presidente Buzek e la sua segretaria; cercate di capire, anche Claudio, come Travaglio, è un po’ ossessionato dal Cavaliere…). Travaglio copia tutto (guardate l’articolo in fondo a questo post), protagonisti compresi. E pure la forma del dialogo. Ora, quando mai avete visto un suo editoriale scritto in quella forma? Mai, onestamente.
Negare l’evidenza non è possibile. I due pezzi sono molto simili. Troppo simili. Ma cerchiamo, per quanto possibile, di difendere Travaglio. Potrebbe essere, e avrebbe pure senso, che non è Travaglio in persona a scrivere i suoi pezzi. Sapete, i tanti impegni, la mole di lavoro, contare i soldi guadagnati nel corso della carriera, sono tutte cose che occupano la giornata. Quindi, diciamo, Travaglio potrebbe avere uno staff che scrive per lui gli articoli. Non sarebbe il primo, nemmeno l’ultimo e non ci sarebbe nulla di male.
Solo che lui nega anche questo. Perché, contattato da Claudio Messora, ha smentito questa ipotesi con sdegno. Non ha uno staff, fa tutto da solo (come Berlusconi). Bene, benissimo. Rimane il problema dell’articolo copiato. Quindi, caro Marco, l’hai copiato tu in persona. E anche qui è arrivata una risposta precisissima: no. Travaglio, quindi, nega l’evidenza e, anzi, rilancia offendendo. Perché sono in tanti ad aver scritto al popolare giornalista chiedendo spiegazioni e delucidazioni. Sapete, quando cade un mito la delusione è tanta, e lo sconforto ti assale. Leggete un po’ cosa risponde Travaglio ai suoi fan:
“Se lei pensa che io copi i miei articoli, può anche cambiare giornale. Io non devo alcuna spiegazione ai mitomani che infestano il web”.
Capito? Non solo nega l’evidenza, ma si comporta da arrogante (“cambi giornale”). E offende chi osa chiedere qualche spiegazione. “Siete dei mitomani”. Incredibile. Ah, Travaglio, la lontananza da Santoro lo rende particolarmente nervoso. E pure un po’ copione…

- L’articolo originale di Claudio Messora
- L’articolo di Travaglio.

Altre notizie sugli altarini della sinistra...

People mover, consulenze d’oro e appalti su misura al Consorzio Cooperative Costruzioni

L'ingegner Boldreghini, capo della Tecnopolis di Casalecchio, che ha preparato la gara d'appalto per il trenino monorotaia è anche in affari con chi poi quella gara l'ha vinta, il Ccc. Tecnopolis e Ccc avevano già lavorato insieme nel passato per costruire la Coop Ambasciatori e l'inceneritore di Parma. Boldreghini è anche uno degli esperti più richiesti in materia di trasporti dal Comune di Bologna: Cofferati, Delbono e Cancellieri ne hanno richiesto consulenza (perfino sul Metrò) per un valore di quasi 200mila euro.
 “Tutto tra amici”. Se un giorno il People mover dovesse partire il primo slogan potrebbe essere questo. Il concetto è semplice: uno di coloro che hanno preparato la gara d’appalto per il trenino monorotaia (che nella volontà del Comune di Bologna dovrebbe unire la stazione ferroviaria all’Aeroporto “Guglielmo Marconi”), è anche in affari con chi poi quella gara ha vinto. L’arbitro, o almeno chi ha scritto le regole di quella gara, collabora con uno dei due giocatori.

Ma facciamo i nomi. Il primo è quello del principale beneficiario delle somme finora stanziate dal Comune per la monorotaia: l’ingegnere Giorgio Boldreghini, esperto di sistemi di trasporti e a capo della società di ingegneria Tecnopolis con sede a Casalecchio di Reno, che ha già incassato per il suo lavoro sul People mover dal 2007 a oggi 188 mila euro. Boldreghini è uno dei progettisti iniziali del People mover, ma soprattutto uno di coloro che hanno preparato la gara d’appalto. L’altro nome è quello del Ccc, Consorzio cooperative costruzioni, che quella gara d’appalto scritta da Boldreghini ha vinto con una concessione di 35 anni.

Il punto è che la Tecnopolis di Boldreghini è in altri affari con Ccc da anni. Sul sito internet della società di progettazione di Casalecchio, nella lista dei clienti figura per esempio la Coop costruzioni, braccio operativo del Ccc nella eventuale realizzazione del People mover. Molte sono anche le ristrutturazioni o le costruzioni (per esempio di supermercati Coop) in cui Ccc (costruzione) e Tecnopolis (progettazione) sono l’una a fianco all’altro. Nel dicembre 2008 (proprio nei mesi in cui il Ccc vince la gara d’appalto messa su da Boldreghini) le due società portano a termine i lavori nell’ex-cinema Ambasciatori di Bologna, in pieno centro cittadino, una libreria Coop con annesso ristorante. Attualmente, sempre per citare un altro esempio, Ccc e Tecnopolis sono entrate in uno stesso raggruppamento di imprese nel progetto del contestato inceneritore di Parma.

Nel maggio 2008 la prima gara d’appalto per il People mover alla cui preparazione partecipa anche Boldreghini va a vuoto. Evidentemente, così come era congegnata, non faceva gola ad alcuna impresa. Tuttavia il Comune proroga l’incarico a Boldreghini fino al dicembre dello stesso 2008 affinché riveda le condizioni di gara per trovare delle aziende che concorrano alla gara d’appalto in project financing. Partono così verso le tasche di Boldreghini 25 mila euro (altri 18.360 euro saranno pagati a un avvocato che segua le pratiche per il secondo bando di gara). Al secondo tentativo Boldreghini raggiunge il suo obiettivo e alla gara d’appalto partecipano due raggruppamenti. Da una parte un gruppo di imprese spagnole guidate dal colosso Acciona e dall’altra il Ccc, di Bologna. Vince il Ccc, che si aggiudica l’opera in project financing (pensata da Boldreghini) con una concessione di 35 anni.

Ma i soldi spesi per le consulenze e principalmente versati a Boldreghini sono moltissimi in questi anni. Già dal lontano 2005, quando l’opera fu voluta dalla giunta di Sergio Cofferati, l’ingegnere della Tecnopolis fu tra i primi progettisti del People mover. Da allora, tra un rinvio e l’altro dell’opera, l’ingegnere è stato spesso richiamato da Palazzo d’Accursio per delle consulenze profumatamente pagate riguardanti proprio il People mover.

Nel 2007 gli viene affidata dal direttore del settore mobilità, Cleto Carlini, una consulenza da 61.200 euro per un supporto tecnico alla realizzazione di People mover e Metrò (opera di cui è anche progettista, ma che non vedrà mai la luce). Ma il Comune non aveva dei tecnici tra i suoi 5 mila dipendenti? “Nell’ambito degli organici dei settori Mobilità e Lavori pubblici – dichiarò Carlini – non risultano attualmente disponibili professionalità aventi competenza nel settore del trasporto rapido di massa, anche in relazione a pensionamenti e avvicendamenti avvenuti di recente”.

Nel dicembre 2009, Boldreghini viene nuovamente nominato dalla giunta Delbono come supporto al Rup, il Responsabile unico per il procedimento del People mover. Boldreghini riceve 14 mila euro per due mesi di lavoro, fino alla presentazione del progetto definitivo dell’opera, “con particolare riferimento alla fase di elaborazione del progetto definitivo a cura del concessionario”. Il concessionario sono gli amici del Ccc con cui Boldreghini potrà così lavorare a stretto contatto.

Intanto il People mover e la sua progettazione continuano a macinare spese. A marzo 2010, per lo stesso incarico di supporto al Rup, l’ingegnere Michele Tarozzi viene pagato 70 mila euro. Nell’incarico si parla ancora di metrò. Il 29 luglio dello stesso 2010 per lo stesso motivo vengono stanziati dal commissario prefettizio, Anna Maria Cancellieri, 88 mila euro a favore ancora della Tecnopolis e di Boldreghini. Nel frattempo i tecnici interni pare fossero stati trovati. Ma? Ma il capo del settore mobilità del Comune di Bologna, Cleto Carlini, esattamente come 3 anni prima giustifica la super-consulenza a Boldreghini con una nuova motivazione: troppi sono “i carichi di lavoro del personale all’interno del proprio settore” e inoltre i tecnici “in possesso di specifica professionalità sono interamente occupati su altri progetti ugualmente prioritari per l’amministrazione”.

Quali sono questi progetti prioritari che tanto tenevano occupati i tecnici interni al Comune? Il Civis, il filobus a lettura ottica al centro di una inchiesta giudiziaria per corruzione (in cui è coinvolto lo stesso Ccc)? Oppure il Metrò? Di certo c’è solo che queste priorità, finanziate da tutte le giunte e i commissari degli ultimi 10 anni, non accenderanno mai i motori.

di David Marceddu [FONTE]

Solo adesso si scoprono gli altarini della sinistra che esistono dal dopoguerra!

Tutti gli affari del Ccc, il colosso delle cooperative al centro dell’inchiesta Penati.



Nato nel 1912 ha portato a termine importanti lavori nel Nord Italia, come l'Alta Velocità tra Milano e Bologna e il passante di Mestre. Più volte finito al centro di bufere giudiziarie. Non per ultimo il Civis di Bologna.
Sarà interrogato a breve il vicepresidente del Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna, Omer Degli Esposti. I pm Walter Mapelli e Franca Macchia lo aspettano infatti in procura a Monza dove il manager d’origine modenese deve rispondere del reato di concussione nell’inchiesta su un presunto giro di tangenti per la riqualificazione delle aree ex Flack e Marelli a Sesto San Giovanni. Nella storia del Ccc, però, non si tratta della prima indagine a cui il consorzio viene sottoposto.

Dal Civis e dal People Mover si deve procedere a ritroso verso la Stalingrado d’Italia. Il Consorzio cooperative costruzioni è un colosso che gestisce più di un miliardo in appalti e che ha partecipazioni in molti settori. Le cooperative che aderiscono al Ccc sono 230 mentre 20 mila gli occupati nelle varie attività. Un colosso nato nel 1912 che si è aggiudicato lavori importanti, come l’alta velocità Milano-Bologna, il passante di Mestre o l’aeroporto Leonardo da Vinci di Roma.

Un ritmo di opere e appalti in cui ci sarebbero anche gli inciampi che hanno fatto drizzare negli ultimi mesi le orecchie alla magistratura. Sul fronte bolognese, c’è quello occorso al presidente del Ccc, Piero Collina, indagato la primavera scorsa nell’ambito dell’affare Civis, il tram su gomma a guida ottica da 140 milioni di euro mai realizzato e che ha chiamato in causa anche l’ex sindaco Giorgio Guazzaloca (a palazzo D’Accursio dal 1999 al 2004), accusato di corruzione.

Il secondo inciampo, invece, è il People Mover, una navetta su monorotaia che dovrebbe coprire il percorso stazione centrale-aeroporto impiegando 7 minuti e mezzo. Per questo progetto Ccc si è aggiudicata la realizzazione e una concessione di 35 anni, entrambe in carico a una società costituita ad hoc, la Marconi Express. Ma anche in questo caso la magistratura ha voluto vederci più a fondo e indagini della Corte dei Conti e della procura stanno infatti cercando di chiarire aspetti legati alla suddivisione degli importi dell’intervento (90 milioni di euro), oltre a ritardi e a modalità di gestione della gara d’appalto.

E poi un mese fa, a fine luglio 2011, lo scenario di sposta a Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia. Dalla procura di Monza il vicepresidente Degli Esposti è stato iscritto sul registro degli indagati perché – ipotizzano i magistrati – avrebbe fatto pagare una tangente da 2,4 milioni di euro al costruttore Giuseppe Pasini sotto forma di consulenze a due professionisti vicini alle coop rosse. ?Inoltre in questi giorni sono nate altre grane per il colosso delle cooperative.

Secondo i magistrati lombardi, Filippo Penati, ex sindaco di Sesto e vicepresidente dimissionario del Consiglio regionale lombardo (è stato anche presidente della Provincia di Milano), avrebbe imposto sempre a Pasini, proprietario dell’area Flack dal 2000 al 2005, la partecipazione delle cooperative emiliane al grande affare immobiliare e di versare una tangente di 20 miliardi di vecchie lire. Condizioni necessarie per poi garantire l’approvazione di un progetto di riqualificazione remunerativo. Cosa che però poi non avvenne.

Gli affari del dopo terremoto del 1980 e l’ombra della camorra. Ma guai giudiziari per il Consorzio cooperative costruzioni erano già sorti anni addietro. Stavolta la location cambia, ci si deve trasferire al sud, in Campania. E l’affare si lega alle opere per la ricostruzione del dopo terremoto che il 23 novembre 1980 rase al suolo anche la Basilicata. I processi, finiti per lo più con assoluzioni per la mancanza di prove che dimostrassero nello specifico connivenze con la criminalità organizzata locale, avevano però ricostruito un “sistema” (come viene definito sia negli atti giudiziari che in sede di commissione anfimafia) legato a un circolo poco virtuoso del calcestruzzo.

Secondo le ipotesi della procura di Napoli e di Nola, si sarebbe giocato su una diversa lavorazione dei derivati del cemento (da scarico libero a pompato, procedura più cara) che avrebbe fatto innalzare il costo degli interventi. E non di poco, in base ai punti da cui avevano preso le mosse i magistrati campani. Per esempio, per realizzare una variante lungo la Statale 268 del Vesuvio si era passati dagli iniziali 48 a 300 miliardi di lire mentre per la sistemazione del Canale Conte di Sarno l’oscillazione era stata da 15 a 501 miliardi.

I carabinieri del Ros di Napoli avevano seguito tracce informatiche e trasmissioni via fax del Consorzio cooperative costruzioni di Bologna e della Conscoop di Forlì perché – come dichiarò in sede d’udienza l’ufficiale dell’Arma Giuseppe De Donno – si voleva accertare se fatturassero “la fornitura del calcestruzzo in quantità maggiori rispetto a quelle impiegate o fatturavano una tipologia di lavoro piuttosto che un’altra” e se esistesse una documentazione contabile parallela non trasmessa alla magistratura.

Inoltre, come fece notare anche Luciano Violante in commissione antimafia, c’era il sospetto che tra i subappaltatori ci fossero aziende e personaggi legati alla camorra. Emerse, sia durante le indagini che nei processi, il nome della Agrobeton, riconducibile a Carmine Alfieri, e fu giudicato anomalo il modo con cui interventi come quelli sopra citati andarono alle cooperative emiliane, che avrebbero ai tempi beneficiato di un intervento diretto da parte del commissario straordinario del governo (il presidente della Regione), che godeva di poteri specifici nella gestione dei lavori pubblici.

Le assoluzioni: non vennero dimostrati l’associazione mafiosa e il concorso esterno. Quando le indagini si chiudono, per alcune ipotesi di reato (come la turbativa d’asta) è giunto il tempo delle prescrizioni e, per quanto rimane perseguibile, i diversi tronconi investigativi si trasformano in abbreviati e in riti normali. Gli emiliani vengono assolti per non aver commesso il fatto, sentenza che viene festeggiata da giornali come “Cooperazione italiana” nei termini di una vittoria. In sede di giudizio, infatti, non verranno dimostrati l’associazione di stampo mafioso e nemmeno il concorso esterno degli imprenditori o dei dirigenti inquisiti.

Filippo Beatrice, sostituto procuratore della Dda di Napoli, commenterà: “Le indagini hanno preso le mosse dalle dichiarazioni collaborative dei capi della camorra della provincia, in particolare di Carmine Alfieri, [...] arrestato nel settembre del 1992, e di Pasquale Galasso, suo luogotenente ma anche vero e proprio capo riconosciuto [...]. Erano state comunque individuate alcune irregolarità perché le procedure relative agli appalti non erano state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale ma soltanto in quella della Comunità europea […]. L’attività investigativa da noi svolta si è [tuttavia] incentrata più sull’aspetto camorristico che non su quello amministrativo”. Dunque niente associazione e concorso esterno, esclusi con una prima sentenza del 21 marzo 2002, confermata in secondo grado il 28 giugno 2004 e poi diventata definitiva.

di Antonella Beccaria e Nicola Lillo [FONTE]

martedì 27 settembre 2011

Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino 2!

Il guru di Repubblica che fa le pulci al Cav è nei guai per peculato

Nei suoi articoli se la prende con la destra materialista. Ma è indagato per aver fatto "bella vita" a spese dello Stato

La bella vita del moralista. Ce­ne in ristoranti esclusivi con i pa­renti fatti passare per colleghi di la­voro. Taxi a gogò trasformati in ma­teriale di cancelleria. Scampagna­t­e all’estero con i familiari nelle ve­sti di improbabili docenti. Aldo Schiavone, giurista, professore di diritto romano, intellettuale appol­laiato sulla rive gauche, è nei guai. Dalle colonne di Repubblica tuona­va come Savonarola contro il de­grado del Paese, trascinato alla de­riva da lregime berlusconiano. Nel­la vita di tutti i giorni aveva cancel­lato la distinzione fra pubblico e privato. Fra soldi suoi e soldi della collettività. O almeno questa è l’idea che si è fatta la procura di Fi­renze. Il pm Giulio Monferini ha ap­pena chiuso una lunga indagine che coinvolge Schiavone e altre set­te persone, collocate in punti stra­tegici del sistema accademico ita­liano. In sostanza la cricca avrebbe gestito spensieratamente il dena­ro del contribuente: la gestione dis­sennata, fra assunzioni pilotate di amici degli amici e benefit masche­rati di vario genere, ammontereb­be a 3 milioni di euro. Una cifra im­pressionante se si tiene conto che il periodo incriminato è tutto som­mato breve, dal 2006 al 2009. E ri­guarda solo uno spicchio del mon­do degli atenei fiorentini. In parti­colare l’inchiesta si concentra su tre enti d’eccellenza: l’Istituto di studi umanistici, Isu; l’Istituto ita­liano di scienze umane, Sum; il Consorzio interuniversitario di stu­di umanistici.
Tre centri d’alta formazione che la mentalità comune colloca volen­tieri in un ambiente rarefatto. Lon­tano dal mondo, dalle sue peggiori consuetudini e dalle sue tentazio­ni. Invece, secondo la procura di Fi­renze, che agli indagati contesta a vario titolo il peculato,l’abuso d’uf­ficio, la truffa aggravata e il favoreg­giamento, andava in un altro mo­do. E Schiavone, ex direttore del­l’Isu e del Sum, sarebbe al centro di questa storia.
Ma dai e dai, il moralista e i suoi amici sono inciampati, sempre che le accuse reggano al vaglio dell’udienza preliminare, nei loro ec­cessi. E nei loro lussi, mal mimetiz­zati. Le Fiamme gialle hanno mes­so insieme un libro intero di fattu­re, ricevute, scontrini irregolari. Millecinquecento documenti contraffatti che aprono uno squar­cio su un catalogo di furbizie e de­bolezze. Siamo, saremmo, il condi­zionale è d’obbligo, dalle parti di quell’Italia che predica contro la deriva dei costumi dal pulpito del­l’indignazione ma poi, al riparo della propria reputazione, arraffa quel che può.
Sembra impossibile, ma lo Schiavone sotto accusa è lo stesso Schiavone che su Repubblica ha ar­tigliato con toni apocalittici il regi­me berlusconiano incupendosi per lo sfascio di un paese senza re­gole. «Una nazione in dissolvimen­to morale - pontificava a febbraio dell’anno scorso-ormai in balia di una disastrosa deriva di comportamenti ». In un altro editoriale, inti­tolato addirittura «La politica co­me merce », Schiavone si esercitava sul passaggio di alcuni deputati dall’opposizione alla maggioranza di centrodestra per denunciare «qualcosa di più profondo, qualco­sa che attiene strutturalmente al berlusconismo». Ovvero, «l’idea della politica come merce, e non come regole e procedure; come semplice scambio e non come me­todo e come insieme di principi e valori non negoziabili». Alla fine di questo sottile ragionamento l’esi­mio professore tirava la sua sprezzante conclusione sotto forma di domanda retorica: «Se si è abituati a pensare che tutto quel che conta l’interezza delle nostre vite - passa attraverso il mercato, se tutto si può comprare e si può vendere in quanto ha il suo (giusto) prezzo, perché questo non deve riguarda­re anche l’ambito parlamentare?».
Chissà come commenterebbe Schiavone questa pagina di vergo­gna; ma, per il momento lo scanda­lo è in cortocircuito con il suo no­me prestigioso. La procura ha con­cluso il proprio lavoro: è stata rico­struita la mappa delle disinvolte spedizioni con mogli e parenti al se­­guito in Inghilterra, Turchia, Fran­cia, Stati Uniti. E sono saltati fuori rimborsi per missioni non previ­ste, indennità maggiorate, note spese firmate da docenti ignari presi di peso da Internet. Una serie di comportamenti inqualificabili. Il tutto mentre l’università si mobili­ta contro i tagli. I tempi sono grami, ma c’è chi trova il modo per rimpin­zarsi alla greppia dello Stato.

Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino!

Ma i democratici di sinistra non si dichiaravano diversi e superiori agli altri?
Leggendo i giornali degli ultimi tempi pare proprio che l'assunto predicato dai tempi di Berlinguer non sia vero, anzi l'esatto contrario. 
Sono peggio degli altri.

Abuso d’ufficio e spreco di denaro pubblico: nei guai a Firenze un docente ed esponente Pd.


La Guardia di Finanza di Firenze, nei giorni scorsi, ha chiuso l’indagine sull’Istituto di studi umanistici (Isu) di Firenze, sul Consorzio interuniversitario e dell’Istituto superiore di Scienze umane (Sum). Nei guai è finito un big del Pd, il professore Aldo Schiavone, accusato assieme ad altre sette persone.

La Guardia di finanza di Firenze, nei giorni scorsi, ha chiuso l’indagine sull’Istituto di studi umanistici (Isu) di Firenze, sul Consorzio interuniversitario e dell’Istituto superiore di Scienze umane (Sum). Nei guai è finito un big del Pd, il professore Aldo Schiavone (foto a lato), accusato assieme ad altre sette persone: il direttore amministrativo dell’università di Firenze, Michele Orefice, i due direttori amministrativi del Sum Antonio Cunzio e Loriano Bigi (già coinvolto nel mega buco di bilancio dell’ateneo senese), il funzionario amministrativo del Sum Giuliano De Stefani, il vicedirettore vicario del Sum Mario Citroni e la funzionaria amministrativa del Consorzio Interuniversitario, Daisy Sturmann. Sono sospettati, a vario titolo, di peculato, abuso d’ufficio, truffa aggravata e favoreggiamento personale.

In sintesi, ma molto in sintesi, dal 2005 al 2009 gli indagati — sostiene la Procura fiorentina — hanno speso oltre tre milioni di euro. Finanziamenti pubblici destinati agli enti universitari e che invece sono stati sistematicamente usati per viaggi, cene in ristoranti, pernottamenti in hotel di lusso, viaggi, spostamenti in taxi e anche per acquistare libri (come «La vampa d’agosto» di Camilleri).

Il procuratore capo Quattrocchi e il sostituto Monferini, nell’avviso di conclusione di indagine, ricostruiscono qualcosa come 1500 episodi di sprechi. Qualche esempio: per l’accusa i contratti stipulati nel 2007 con due professori sono in realtà “un compenso — annotano magistrati — che aveva come vera finalità l’organizzazione di un convengo a Washington”. Ma sono le cene e i pranzi a tenere banco: come quelli tra Schiavone e il veneto Massimo Cacciari, a Venezia. Oppure tra lo stesso Schiavone e il professor Prodi che scelgono la Cesarina di Bologna: l’ex direttore del Sum motiva la spesa per “il coordinamento della ricerca”, ma secondo la Finanza “tale motivazione non è prevista da alcun regolamento. Non è dato sapere quale sia il motivo del viaggio a Bologna, in agenda vi è solo l’impegno al ristorante”. Si pranza e si cena in mezza Italia e in mezzo mondo: per pagare poi si usa la carta di credito. A Venezia si va al mitico «Harrys’ Bar», a Firenze si opta, tra l’altro, per il «Cibreo», per la «Cantinetta Antinori» e per «Camillo»; a Roma si predilige «Fortunato al Pantheon»; a Napoli si sceglie «Zi Teresa». Ospiti vip, come nel caso del pranzo pagato 315 euro e 80 centesimi da «Romolo», a Roma, dove c’è pure Umberto Eco: “Il mandato di spesa — nota la Finanza — non ha alcuna motivazione”.

Non è che si scordasse di lasciare mance, Schiavone: non a caso paga 25 euro ai camerieri sempre con la carta di credito. E a Roma, nel 2006, paga sì gli extra dell’Hotel Eden (poco più di 10 euro) ma fa anche beneficenza all’Unicef: un euro. Ovviamente tutto a spese del Sum. Con quella carta di credito compra tutto, perfino i libri: “La vampa d’agosto” di Camilleri la trova alla Feltrinelli di Firenze, «La casta» la trova a Roma, «Le mythes de Platon» li seleziona in una libreria di Parigi. Paga con la carta di credito, ovviamente.

La difesa

Una nota firmata da Franco Cardini, Roberto Esposito, Nadia Fusini, Ernesto Galli della Loggia e Andrea Giardina viene diramata a difesa di Schiavone: i professori, oltre a esprimere «piena fiducia nell’accertamento della verità che sarà operato dalla magistratura», infatti si «dichiarano certi che l’Istituto in questi anni è stato amministrato in modo proprio e corretto».

I viaggi

Ma di istituzionale, a scorrere le carte della Procura, sembra esserci ben poco. Dalle carte infatti emergono viaggi e soggiorni all’estero con mogli, parenti, amici in hotel di Inghilterra, Francia e Usa. Uno dei più significativi è un viaggio a Istanbul. Un’amica di Schiavone, sentita a sommare informazioni, mette a verbale: “Io e lui eravamo in vacanza, abbiamo pranzato e cenato. Non ricordo che il professore avesse impegni di lavoro”. Come se non bastasse tra le spese contestate anche l’affitto di una limousine per un convegno a New York.

Il meccanismo

Come si è potuto andare avanti così per anni? I documenti contabili sarebbero stati modificati, occultati o smarriti. Oppure palesemente inventati come nel caso del pranzo tra Schiavone e Bettini a Lo Squero di Rimini, un pranzo motivato “col coordinamento della ricerca” ma in realtà per la Finanza “è un evento personale”. Di sicuro, ad esempio, sono state acquistate di 30 bottiglie di vino fatte passare per materiale di cancelleria.

L’abuso d’ufficio viene contestato sugli incarichi professionali a parenti e conoscenti con contratti per collaborazioni senza seguire «le procedure fondate su meccanisimi oggettivi e trasparenti che garantiscano l’imparzialità». Incarichi per attività a volte mai eseguite, e in molti casi a favore di persone prive di specifiche competenze e ingaggiate solo sulla base di un colloquio o dall’esame di un curriculum. Tra questi anche quello del 2005 a Ivana Orefice, figlia dell’ex direttore Michele Orefice. Alcuni bandi di concorso sono stati ritagliati ad hoc per assumere personale tecnico e amministrativo a tempo indeterminato, a svantaggio dei concorrenti provenienti dall’esterno.

I nuovi filoni
L’Università ha annunciato un’indagine interna. Ma è la Corte dei Conti che adesso sta mettendo mano a questa storia: si indaga per danno erariale e per danno di immagine.


sabato 24 settembre 2011

Giustizia in Italia: Il titolare di «ESSELUNGA» e la guerra dei supermercati!

L'imprenditore condannato per illecita concorrenza

ibunale di Milano, condannando Bernardo Caprotti, titolare di Esselunga e autore del libro «Falce e Carrello», per illecita concorrenza nei confronti di Coop Italia. Il giudice ha stabilito che il pamphlet, nel quale Caprotti denuncia l'ostruzionismo degli amministratori locali e degli operatori economici delle regioni «rosse», denigra il concorrente. E ha intimato il ritiro del libro dal mercato. Immediata la reazione del Pdl contro i magistrati: «Un autentico scandalo», «una sentenza politica», un «intervento censorio». Oggi, la reazione dello stesso Caprotti, nella lettera che pubblichiamo.
  
Caro direttore,
dal Corriere di domenica scorsa vedo che la vicenda diventa politica e questo non mi piace. D'altronde lo è. Coop, Legacoop, eccetera, politica lo sono per decisione e scelta di Palmiro Togliatti, nel 1947 a Reggio Emilia. Per quanto riguarda la sentenza, il tribunale di Milano è stato forse clemente: non ha ammesso la diffamazione, ci ha condannato solo per concorrenza sleale. Io sono soltanto sleale, cioè «unfair», subdolo e tendenzioso. 
Un niente, di questi tempi! quasi un gentiluomo. E per i danni subiti da Coop per questa sleale concorrenza ha accordato 300.000 euro invece dei 40 milioni richiesti!


Il libro «Falce e carrello» Il libro? Non si ordina neppure di bruciarlo sulle pubbliche piazze. Io, per quanto mi riguarda, vorrei però rimettere le cose nei termini appropriati. Quando mi si accusa di «attacco» - per non parlar del resto - si dice una bugia. Sono cose intime, esistenziali, ma perché non dirle? Nell'estate del 2004 sono stato gravemente ammalato e, stordito dal Contramal, un antidolorifico tremendo, caddi di notte in bagno e mi fratturai la colonna vertebrale. Inoltre quattro mesi prima mio figlio  se ne era andato. Mio figlio non è mai stato scacciato, mio figlio non ha mai fatto nulla di male, semplicemente si era attorniato di una dirigenza non all'altezza. Per me il suo autonomo allontanamento è stato un grande dolore. Ricordo quell'autunno 2004, come un periodo tristissimo, di grande sofferenza e di estrema debolezza.
È in questo 2004 e nell'anno seguente che, nella mia defaillance, fui oggetto di una vera e propria aggressione.

Le dichiarazioni ai giornali di Aldo Soldi, presidente di Ancc (Coop), che voleva Esselunga, si susseguivano. L'amministratore delegato di una grande banca, tuttora in carica, venne due volte, «dica lei la cifra, la paghiamo in settimana, al resto pensiamo noi». Poi il prestigioso 
studio legale, per conto dichiaratamente di Unipol. Sono solo due esempi. Finché l'allora presidente del Consiglio, Romano Prodi, dichiarò in televisione che occorreva mettere assieme Coop con Esselunga.
In quale modo, non disse.
Questo sì che fu l'«attacco» che ci costrinse a fare chiarezza sui giornali! Vorrei poi che qualcuno mi spiegasse come si può «tenere insieme» e condurre un'azienda in queste condizioni. È da tutto ciò che nasce, in sintesi, «Falce e Carrello»! Io avvertii Soldi, poiché la mia educazione ottocentesca a ciò mi impegnava. Ma intendevo solo raccontare alcuni episodi vissuti, documentati, oserei dire, sofferti.
Cioè denunciare qualche «stravaganza», chiamiamola così, di quel sistema. Però, evidentemente, ho commesso un errore e me ne scuso: infatti è stato interpretato come un «attacco» al più grande Istituto Benefico del Mondo, una Istituzione che ha un milione di dipendenti, quando la Croce Rossa Internazionale ne ha soltanto 12.500.
Mi sono così tirato addosso sette cause, che mi sembra possano bastare.
Tutto qua. Io non concepisco questa Italia di destra o di sinistra. Ho amici a sinistra, come certamente ne ho a destra. Sono stato educato nel credo della libertà e nel rispetto del prossimo.

Bernardo Caprotti

[VIA]

Predicare "bene" e razzolare male!

La ricetta dell'Ing. De Benedetti contro la crisi.
L'ingegnere taglia teste a tradimento.

Mentre lui critica la manovra del governo, la sua Cir mette in liquidazione la Ktesios SpA e manda a casa 80 dipendenti

Si gioca tutto oggi il destino di 80 famiglie che rischiano di finire in mezzo a una strada dopo che il loro datore di lavoro, la finanziaria Ktesios SpA, è stata messa in liquidazione volontaria dopo anni di fulgidi utili. Una delle tante vittime della crisi che si è abbattuta sul credito al consumo? Certo, ma non solo. Licenziati vittime della recessione? Forse, ma la notizia è un’altra. Il proprietario della Ktesios infatti è la Cir di Carlo De Benedetti. Divide con Merrill Lynch il 90% delle azioni. In parole parole, udite udite, anche l’ingegnere licenzia. Forse perché non ha fiducia in questo comparto. Forse perché non gli è bastato nel 2008 un utile netto dell’azienda a 5,6 milioni di euro, scesi a quasi due nel 2009, sta di fatto che ai primi chiaroscuri i soci hanno deciso di mettere in liquidazione volontaria la società.

Così il 28 giugno è partita la procedura di licenziamento collettivo e addio ai buoni propositi di tenere duro, non mollare mai, ottimismo e volontà. Insomma quelle belle parole che ruotano negli auditorium dei big della finanza quando buttano addosso alla politica ogni responsabilità. È capitato non più tardi dello scorso fine settimana quando proprio l’ingegnere ha partecipato a un incontro della fondazione Rodolfo De Benedetti. Ed è andato giù duro, a modo suo attaccando l’esecutivo che «sta mettendo le mani nelle tasche degli italiani, ma nei pantaloni sbagliati». Il corollario di critiche alla manovra è articolato, De Benedetti accusa Berlusconi di aver sbagliato tutto. Ma riflettendo sul titolo del dibattito, si intravede la strada. Il titolo è appunto “Redditi durante la Grande Recessione” e la domanda non scritta è: come farli? Difficile. Il consiglio del fruttivendolo è quello di tagliare i rami secchi. Senza se e senza ma. E così di fronte a una perdita d’esercizio di 10 milioni al 31 dicembre scorso ai piani alti della finanziaria si è pensato che era meglio chiudere i battenti. Tutti a casa. Tanto da proporre ai dipendenti scivoli di tre mesi di anzianità, nessun ricorso alla cassa integrazione, zero incentivi all’esodo. Insomma, licenziati.

I sindacati dei lavoratori incontreranno il liquidatore, il professore Enrico Laghi, chiedendo di utilizzare quegli ammortizzatori sociali indispensabili per togliere gli incubi dal futuro prossimo di queste famiglie. In cuor loro, in molti in azienda sperano che De Benedetti metta mano alla tasca dei suoi pantaloni andando ad aiutare un’azienda che fino a ieri l’altro era un gioiello. E c’è chi la butta in politica: «Possibile che se un capitalista di sinistra licenzia cento dei suoi lavoratori – afferma un dipendente - lo si tolleri, quasi lo si giustifichi? Valiamo quindi meno degli altri operai o degli altri impiegati di qualunque società o industria privata nazionale». Discorso che vibra soprattutto se si pensa che il gruppo Cir oggi conta 13 mila dipendenti con capacità di flessibilità imprenditoriale indiscusse. Allora perché non valutare qualche ipotesi rilancio e di aiuto?
Da qui è partito un tam tam per interessare la stampa, le tv, i giornali. 
Ma il silenzio ha fatto eco al disinteresse dei timonieri. 
Meglio pensare alle proprie tasche in questo periodo. E se mancano i soldi è colpa ovviamente delle politiche economiche del governo. E di nessun altro. 
Soprattutto quando si deve licenziare senza ricorrere a tutti quegli strumenti previsti a tutela dei lavoratori.

di Gianluigi Nuzzi (FONTE)

Baffino e le sue barzellette da campionato universale!

La sparata di D'Alema: "La casta? Non esiste"

L'ex presidente del consigli: "La casta non esiste, c'è soltanto nella testa dei qualunquisti". Che cosa ne pensate? I sentimenti anti casta sono legittimi? Oppure sono portati avanti da chi non ha altri argomenti da proporre in politica? 

"La casta non esiste". L'ex presidente del consiglio Massimo D'Alema ne è profondamente convinto. Tanto che è andato a dirlo lunedì sera ai microfoni della Festa democratica. Una frase che sicuramente non sarà piaciuta ai presenti che, di questi tempi, non fanno che tuonare contro i privilegi dei politici. Il numero uno del Copasir ha, infatti, detto che "la casta esiste soltanto nella testa dei qualunquisti".
Che cosa ne pensate? I sentimenti anti casta sono legittimi? Oppure, come dice D'Alema, sono portati avanti da chi non ha altri argomenti da proporre in politica?

(FONTE

venerdì 23 settembre 2011

Bufera nell'Italia dei Valori! Quali valori?

Molise, Di Pietro candida il figlio alle Regionali Defezioni nel partito: "Concezione familistica"

Bufera nell'Idv dopo che l'ex pm ha deciso di piazzare il figlio Cristiano in lista alle elezioni regionali in Molise che si terranno il prossimo mese. E spiega: "Ci sono figli e figliastri, c’è differenza tra il 'trota' Bossi ed il figlio di Di Pietro". Ma a Termoli la base si infuria e lascia il partito per protesta: "La lista composta di candidati 'deboli' proprio per favorire l'elezione del figlio del leader". E' bagarre

I figli so' piezz 'e core. Anche per Antonio Di Pietro. Tanto che il leader dell'Idv ha deciso di piazzare il figlio Cristiano in lista alle prossime elezioni regionali in Molise che si terranno il prossimo mese. Dopo aver tanto insultato il leader leghista Umberto Bossi per aver piazzato al Pirellone il figlio Renzo (detto il Trota), l'ex pm fa la stessa cosa e manda su tutte le furie la base del partito. "Di Pietro come Bossi, accomunati dalla stessa concezione familistica e privatistica della politica", hanno denunciato i componenti del circolo Idv di Termoli abbandonano il partito per protestare contro la candidatura di Di Pietro junior.

Qualche mese fa, alla domanda provocatoria se anche Cristiano si sarebbe candidato alle regionali, Di Pietro aveva ghignato e si era limitato a rispondere: "Ci sono figli e figliastri, c’è differenza tra il 'trota' Bossi ed il figlio di Di Pietro. Cristiano ha iniziato la sua carriera politica come consigliere comunale, poi consigliere provinciale, se vorrà candidarsi alle regionali sarà una scelta del tutto personale e non perché figlio di". Sarà! Ma la base non ha affatto gradito e le polemiche, dai mugugni iniziali, si sono trasformate in vere e proprie defezioni contro il leader che predica bene, ma razzola male, anzi malissimo. La base dell'Italia dei Valori ha, infatti, espresso "risentito dissenso" per la candidatura, figlia della stessa "concezione familistica e privatistica che presumibilmente ha mosso Bossi a candidare e a far eleggere il figlio al consiglio regionale della Lombardia".

Proprio per protestare contro la gestione del partito, l’intero circolo ha deciso di "interrompere la propria esperienza politica con l’Italia dei valori" riconfermando la loro appartenenza al centrosinistra. "Speriamo che le prossime elezioni regionali possano essere occasione di un reale cambiamento della politica nel Molise". A far esplodere la protesta tra i dirigenti e gli iscritti termolesi non è soltanto la scesa in campo di Di Pietro junior, ma la composizione della lista con candidati ritenuti "deboli" proprio per favorire l'elezione del figlio del leader. "Avevano chiesto - dicono gli ex iscritti - di inserire personalità che avrebbero portato voti e qualità". Tra queste ci sarebbe, per esempio, Vincenzo Greco, stimato notaio ed ex sindaco della città. "Nessuno ci ha mai dato una risposta - tuonano - poi vediamo che si accolgono esponenti di altri partiti, come uno dei candidati alle primarie del Pd. Se il fosso lo saltano gli altri verso l’Idv per Di Pietro va bene, diversamente il partito mette veti e pregiudiziali. Questa visione strabica della politica non ci piace".

Immediata la reazione del partito che "censura" il dissenso della base e rifiuta il mea culpa sulla gestione delle liste elettorali. "Ci rammarica, questa presa di posizione", ha spiegato il segretario regionale del Molise, Pierpaolo Nagni, spiegando che i motive dell'attacco sono altri dal momento che a rappresentare il territorio c’è Antonio D’Ambrosio. "Attaccarsi al nome di Cristiano Di Pietro, che fa politica da tanto tempo, è solo un triste tentativo di spostare l’attenzione". Non solo. Anche l'ex pm prova a discolparsi dalle accuse della base: "Mio figlio ha fatto e deve fare tutte le trafile, al pari degli altri. Non potrà mai ottenere, almeno fino a quando sarò vivo io, un posto in nome o per conto del partito, con listini e quant’altro". Ma il dissenso resta.

di Andrea Indini (FONTE)

LA BATTAGLIA DEI SUPERMERCATI

«Falce  & Carrello», vince la Coop
Esselunga concorrente sleale

Il Tribunale condanna Caprotti a un risarcimento di 300 mila euro e intima il ritiro del libro dagli scaffali

MILANO - Primo round alle Coop nella battaglia ingaggiata contro la grande distribuzione della Lega dal proprietario dell'Esselunga e autore del libro-denuncia «Falce & Carrello. Le mani sulla spesa degli italiani», Bernardo Caprotti. Il Tribunale di Milano ha dato ragione a Coop e condannato Esselunga per concorrenza sleale, accogliendo il ricordo presentato tre anni fa a seguito della pubblicazione del volume edito da Marsilio nel quale Caprotti sostiene di aver incontrato ostacoli all'espansione del suo gruppo nelle regioni «rosse» e accusato Coop locali di gravi scorrettezze commerciali, oltre che di intrecci indissolubili con la politica.
LA SENTENZA - Il Tribunale ha sancito che il libro integra «un'illecita concorrenza per denigrazione ai danni di Coop Italia» e condanna Esselunga a un risarcimento pari a 300.000 euro e al ritiro del pamphlet dal mercato. Vietato inoltre reiterarne la pubblicazione e diffonderne gli scritti. Oltre a Caprotti e a Esselunga spa risultano condannati anche Geminello Alvi, curatore della prefazione, Stefano Filippi coautore e la casa editrice. «Un'aggressione violenta e lesiva che noi di Coop non ci saremmo mai sognati di fare nei confronti di un concorrente. Pur in un contesto di dura competizione imprenditoriale, il rispetto degli altri e la legalità dei comportamenti e degli atti è parte integrante dell'essere cooperativa», è il giudizio di Coop in merito alla sentenza. «Abbiamo sempre respinto ogni accusa che ci viene mossa da un libro che si fonda solo sull'acredine dei suoi autori nei confronti di un sistema di imprese di successo che gode della fiducia di oltre 7 milioni e mezzo di italiani - continua Coop - Riteniamo che questa sentenza renda ragione anche a loro. A questa sentenza va aggiunto il recente pronunciamento della Corte di Giustizia dell'Unione Europea che riconosce la distintività delle imprese cooperative in merito alle esenzioni fiscali che non devono essere considerate come aiuti di stato. Le cooperative sono diverse dalle imprese private, rette da principi di funzionamento particolari, ma esempi di correttezza e lealtà e imprenditoriale».
Redazione online
16 settembre 2011 19:43


Pubblico anche i primi commenti a questa ennesima sentenza scandalosa (NdB).

Commenti su Corsera
http://www.corriere.it/dilatua/Primo_Piano/Economia/2011/09/16//coop-vittoria-sentenza-caprotti-esselunga_full.shtml

Confidiamo...
http://www.corriere.it/images/static/common/fumetto_dilatua.gif
16.09|20:05
conrad3000
negli atri 2 gradi di giudizio. Spero siano dati in mano a magistrati più obiettivi. Coop: se la conosci la eviti
Una sentenza di Pirro
http://www.corriere.it/images/static/common/fumetto_dilatua.gif
16.09|20:05
Assalam Aleikum
Non mi interessava particolarmente sapere di quali agevolazioni godessero le Coop e di se, come, quando e quanto distorcessero il mercato della distribuzione alimentare. Non ho d'altra parte mai messo piede in un loro grande magazzino, ne' lo faro'. Certo, quando una sentenza di rara e sopraffina intelligenza mette incredibilmente all'indice un libro nell'anno di grazia 2011, se non altro ottiene l'effetto di incuriosire. Io cerchero' di procurarmelo in ogni modo, non foss'altro che per farla in barba all'Inquisizione Rossa...
Sottigliezze legali e realta' dei numeri
http://www.corriere.it/images/static/common/fumetto_dilatua.gif
16.09|19:54
marcello582
Notate che Esselunga e' stata condannata per Concorrenza Sleale NON perche' i fatti dai lei riportati siano falsi. Raccomando lo sport interessante di leggere le rilevazioni dei prezzi per provincia Italiana e fantastica sara' la scoperta di avere fra le provincie con i prezzi piu' alti quelle dell'Emilia Romagna (dove esistono quasi solo punti di vendita della cooperazione). Quando la magistratura si occupera' meno di sesso e piu' di temi sociali ?
conosco le COOP
http://www.corriere.it/images/static/common/fumetto_dilatua.gif
16.09|19:54
egocentrico
ho lavorato per anni per imprese di costruzione appartenenti alle COOP. Ho letto il libro del Patron di Esselunga e penso sia stato anzi leggero nel riferire gli ostacoli incontrati, quando si ha a che fare col mondo delle COOP. In Emilia Romagna tocchi le COOP e muori. Vorrei riferire alcuni episodi incredibili, riferiti al mio periodo lavorativo, ma è meglio di no. So bene con chi si ha a che fare.
Il ritorno dell'indice ?
http://www.corriere.it/images/static/common/fumetto_dilatua.gif
16.09|19:54
Lettore_733951
Il ritiro dagli scaffali mi sembra una pratica di stampo medievale e non mi piace perché mi sa di censura, piuttosto obbligare a scrivere nel testo un avviso della condanna che specifica cosa del contenuto sarebbe non vero. Ora che è stato censurato sono proprio curioso di leggerlo. Un socio Coop.

DEVONO ANDARE TUTTI A CASA!

Il nuovo saggio di Stella e Rizzo svela che i tagli alla politica sono solo propaganda.

Ogni paragrafo è una dichiarazione di guerra: in epoca di vacche magre, anzi divenute ormai anoressiche, nel nostro Paese c'è sempre chi sguazza nell'oro. E va raccontando anche di aver fatto tremendi sacrifici. È arrivato in libreria "Licenziare i Padreterni - l'Italia tradita dalla Casta", di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, edito da Rizzoli. Un libro pieno di contumelie, di ingiustizie, di prepotenze. Dei politici, ovviamente, che le infliggono a chi tutti i giorni si alza presto per andare a lavorare.

Sono passati, più o meno, quattro anni da "La Casta" e "Licenziare i Padreterni" è una sorta di "tagliando" alla situazione del nostro Paese dopo quella brusca presa di coscienza di come ci prendono per i fondelli i nostri politici. La situazione è peggiorata: c'è ben poco da discutere, le nude cifre, snocciolate dai due, ormai celebri, giornalisti parlano chiaro. Di considerazioni nel libro, come comanda lo stile degli autori, ce ne sono poche. Ci sono cifre e virgolettati che dimostrano che il bambino, anzi i bambini (e sono veramente tanti, sempre di più) presi con le mani nella marmellata, sono sempre lì con le mani nella marmellata. Solo che ora minimizzano, nicchiano, negano l'evidenza. Ma di cambiare non se ne parla. In pratica prima l'italiano onesto era cornuto, ora è cornuto e mazziato. Stipendi, rimborsi, vitalizi e spese folli sono sempre lì.

Cosa è cambiato? Prima di tutto la possibilità di controllare i "paperoni" della politica: "lo dimostra la norma approvata "umma umma" nel 2006 con cui fu innalzato di 20 volte, da 2.500 a 50.000 euro il limite sotto il quale i partiti possono mantenere anonimo un "finanziamento liberale"". E questo mentre i politici degli altri Paesi sono tenuti a dichiarare in rete tutto quello che hanno ricevuto. Anche un cestino di frutta. E i tagli? Quelli veri riguardano la scuola, le politiche sociali, le comunità montane. E la politica? "Montecitorio nel 2001 costava in valuta attuale 749 milioni di euro, nel 2006 ne costava 940, e nel 2010, dopo quattro anni di politiche di "tagli", ne costava 1.059. Cioè 310 più che un decennio prima e 119 più che ai tempi dell'esplosione dell'indignazione popolare contro la "Casta"". E stanno tutti zitti, anche quelli onesti (che evidentemente ci sono), ma non denunciano, non si oppongono. Provano "fastidio ad essere buttati in un calderone bollente di "papponi" e "magna magna". Ma davanti a tagli ridicoli e offensivi, perché non urlano il loro sdegno".

E che dicono i politici di tutto questo? «Renato Schifani ammoniva: "I politici sono i primi a fare sacrifici". Walter Weltroni concordava: "Se dobbiamo tirare la cinghia dobbiamo farlo tutti assieme. Non va bene che in Italia ci siano i salari più bassi e gli stipendi di parlamentari più alti d'Europa"... "Dobbiamo ridurre della metà la casta, cioè il numero delle persone che vivono di politica" sentenziava Silvio Berlusconi». Tra tante atrocità la cosa più atroce è quella che in questo nuovo libro di Stella e Rizzo non è detta: come si esce da questa situazione. Come si esce dal tunnel, come si fa a rimettere a posto le cose? La risposta è una sola ed è nel titolo: licenziando i Padreterni.

di Antonio Angeli (FONTE)