giovedì 8 settembre 2011

Siamo un popolo di pecoroni, sudditi senza diritti e privi di amor proprio. Partecipiamo a scioperi indetti contro noi stessi fatti a prescindere e permettiamo questo spreco denaro ai politicanti italioti.

Il colpo di coda della casta: gli onorevoli si fanno lo sconto!



Il Senato approva la fiducia sul testo. Il governo fa il pieno: 165 sì al decreto. Diminuiscono i tagli alle indennità dei politici con doppio reddito. Nel 2013 le buste paga torneranno uguali a quelle del 2010. Risparmiati dal giro di vite gli stipendi dei membri della Consulta. C'è anche una norma salva Colle. La replica: "Estranei a tutto"


Erano le misure bandiera della manovra, servivano a dimostrare che i tagli non colpiscono chicchessia e che, comunque, i sacrifici li subisce in primo luogo chi li decide. Da ieri sono ridotte a ben poca cosa, un pennacchio di fumo dell’ennesima fiammata di antipolitica finita nel silenzio di chi dell’anti-casta ha fatto un brand di successo.
A mutare nel rush finale della manovra sono i tagli alle indennità dei parlamentari che svolgono un lavoro, notevolmente ridotti rispetto alla prima versione, quella conosciuta ai cittadini e ai media. Poi il super contributo di solidarietà applicato agli stipendi dei membri degli organi costituzionali, doppio rispetto a quello che era stato studiato per i cittadini normali e che poi è stato ritirato.
A salvarsi sono soprattutto la Corte Costituzionale e la Presidenza della Repubblica, ma anche per tutti gli altri (praticamente solo il Parlamento e il Cnel) sarà drasticamente ridimensionato.
Ma andiamo con ordine. L’alleggerimento delle norme anti casta è arrivato a rate e si è concentrato tutto sull’articolo 13 del decreto, quello sulla «Riduzione dei costi agli apparati istituzionali». Il primo passo risale a tre giorni fa, con un emendamento passato in commissione Bilancio del Senato, a firma del senatore Pdl Gilberto Pichetto Fratin. «Al comma uno, dopo le parole “organi costituzionali”, aggiungere le seguenti: “Fatta eccezione per la Presidenza della Repubblica e la Corte Costituzionale”».
La stretta che viene risparmiata a Quirinale e ai giudici costituzionali è il taglio del 10% per le «indennità di carica» (gli stipendi dei membri degli organi costituzionali) sopra i 90mila euro e del 20% sopra i 150mila. Doveva partire dal prossimo mese. L’eccezione per Quirinale e Palazzo della consulta è passata dalla commissione Bilancio del Senato al maxi-emendamento, quello approvato ieri dall’aula di Palazzo Madama.
A questo punto se n’è accorto il vice ministro alle Infrastrutture Roberto Castelli (Lega), che ha denunciato «una super casta romana che non se ne vuole dare per inteso e vuole mantenere tutti i propri privilegi» poi ha puntato il dito contro «i super boiardi della Corte Costituzionale e della Presidenza della Repubblica» e si è rivolto al «Presidente della Repubblica affinché intervenga a sanare questa... ciascuno la giudichi come crede». La risposta del non si è fatta attendere. Intanto il Quirinale si è dichiarato «estraneo alla formulazione della norma contenuta nel maxi-emendamento del Governo di cui il sen. Castelli fa parte», poi ha ricordato che «a tutto il personale della Presidenza della Repubblica già si applica il contributo di solidarietà a suo tempo introdotto per la Pubblica Amministrazione». E il riferimento è una misura che vale per dipendenti pubblici e super pensionati, sopravvissuta alla cancellazione del contributo che avrebbero dovuto pagare tutti gli altri cittadini.
Il maxi-emendamento prevede però un’altra limitazione. Il contributo extra varrà solo per tre anni, dal 2011 fino al 2013, quando il deficit dovrà essere azzerato. Tra quattro anni «i membri degli organi costituzionali» per i quali valgono ancora i tagli (praticamente solo i parlamentari), potranno tornare a incassare gli stipendi del 2010. Per questi tre anni, si potranno accontentare dell’altro alleggerimento ai tagli arrivato ieri al fotofinish, con il maxiemendamento.
Il taglio alle indennità dei parlamentari che percepiscono altro reddito sono state ridotte. Fino a ieri era del 50 per cento dell’indennità. La nuova formulazione prevede che ai parlamentari «che svolgano qualsiasi attività lavorativa per la quale sia percepito un reddito uguale o superiore al 15% dell’indennità parlamentare la riduzione dell’indennità si applica in misura del 20% per la parte eccedente i 90mila euro e fino a 150mila euro, in misura del 40% per la parte eccedente i 150 mila euro».
Inutile cercare Pichetto Fratin. Silenzio da parte delle opposizioni. Nemmeno un comunicato di Italia dei Valori a condannare lo sconto concesso ai parlamentari nel giorno dell’aumento dell’Iva che colpirà tutti i redditi.


di Antonio Signorini


[FONTE]