giovedì 29 aprile 2010

Il lupo perde il pelo, ma non il vizio.

Che il quotidiano la Repubblica sia schierato a sinistra politicamente è cosa nota urbi et orbi. Decise così il suo fondatore, il calabrese Eugenio Scalfari, molto tempo addietro. Ma arrivare all'esser così sfacciati e definirsi anche libera informazione anziché giornale di partito non è cosa liberal... democratica, considerato che anche Repubblica riceve i contributi dello stato riservati all'editoria.
Pubblico l'articolo odierno di Repubblica al cui estensore chiedo:
quando al comune di Roma governavano i sindaci di sinistra che crearono il pauroso buco di bilancio di quasi 9 miliardi di euro, cioè quasi 18mila miliardi delle vecchie lire, i soloni di Repubblica dov'erano?


da la Repubblica del 29 aprile 2010
di Giovanna Vitale

Caro Berlusconi, dicci cosa sta succedendo a Roma. Perché, quasi alla boa di metà anno, la capitale è ancora senza bilancio di previsione 2010? È vero che il debito pregresso, cristallizzato dagli ispettori di Tremonti a 8,7 miliardi nel 2008, è lievitato a circa 12 miliardi nonostante le multimilionarie iniezioni di liquidità governative? Perché c’è così poca trasparenza sul reale stato dei conti capitolini? Perché Alemanno non ha mai pubblicato il bilancio separato del Comune, quello dedicato al risanamento, malgrado il Parlamento lo avesse impegnato a farlo? Non è che il sindaco, nascondendosi dietro l’alibi perfetto del disavanzo accumulato in passato, vuole accollare la sua «cattiva gestione» allo Stato, cioè a tutti i contribuenti italiani?
Sono stufi di stare a guardare i parlamentari del Pd. Di fronte al «malgoverno della giunta di centrodestra» che mette a rischio «una serie di servizi essenziali», quindici senatori guidati dalla vicepresidente Bonino chiedono chiarimenti direttamente al premier: una lunga interpellanza-firmata tra gli altri dai colleghi Zanda, D'Ubaldo, Milana, Cosentino e Vita per avere notizie certe sulla "manovra fantasma" e «l'effettiva entità del debito comunale». Non gli bastano più le vaghe dichiarazioni di Alemanno che giusto ieri ha annunciato «per luglio il varo del Bilancio 2010, dopo la manovra economica del governo a giugno», con la quale si dovrebbe «risanare definitivamente il debito pregresso con un finanziamento strutturale di 500 milioni all’anno». Per i senatori democratici «la situazione appare precipitare in tempi rapidissimi» nella più «totale mancanza di informazione e trasparenza».
Dopo la ricostruzione dell’iter che ha portato alla divisione del bilancio cittadino in due parti - una bad company accollata allo Stato dove è confluito tutto il disavanzo accumulato fino alle amministrative 2008 e una gestione ordinaria a cura del Comune depurata da ogni onere passato-, il Pd vuol capire «se è vero che il debito è aumentato di oltre 3 miliardi in regime di commissariamento tuttora in corso affidato al sindaco Alemanno».
Dubbi che prendono forma nella successiva richiesta, formulata per sapere «se sia stata messa in atto da parte dei ministeri dell’Interno e dell’ Economia l’ attività di monitoraggio e di controllo sull’attuazione
del piano di rientro», espressamente prescritta dalla legge, «che prevede la comunicazione trimestrale da parte dell’autorità commissariale dei flussi di cassa, degli incassi e dei pagamenti». Delle due l’una: poiché il debito è aumentato, o il monitoraggio non c’è stato, oppure il piano non è stato attuato correttamente. Domanda sottintesa: chi ha barato? Ancora. Al premier i Bonino Boys chiedono se non ritenga necessario che gli enti locali informino i cittadini sul bilancio, «in particolare nel caso di Roma», dove alla preoccupazione dei cittadini si aggiungono «le recenti affermazioni del commissariostraordinario e dell’assessore al Bilancio Maurizio Leo, che hanno candidamente dichiarato di aver perso il polso della situazione». Secco il quesito finale, lanciato a nuora (Berlusconi) perché suocera (la Lega) intenda: non è che «dietro le complesse e talora oscure procedure sopra menzionate» si cela «un’operazione tendente a trasferire allo Stato il debito del Comune di Roma, anche quello prodotto e accumulato dalla giunta in carica»?

mercoledì 28 aprile 2010

Berlusconi & C. un'occasione persa per stare zitti.

I vecchi proverbi non sbagliano: il silenzio è d'oro. 
Che bisogno aveva Berlusconi di dire: "Solidarietà a Fini per gli attacchi del Giornale"? Berlusconi ha dimostrato solidarietà deprecando notizie non politiche. Ma non mi risulta che Fini lo abbia mai fatto in tutti questi anni in cui è stato insultato costantemente, ed anche pesantemente, Berlusconi per notizie che nulla avevano a che vedere con la politica. Soltanto adesso si scandalizzano lor signori? 
Ma perché Fini, Berlusconi, Schifani e Ghedini non si sono scandalizzati per lo scoop di Dagospia e del quotidiano il Fatto di Travaglio sulla "suocera" del presidente della Camera Gianfranco Fini?   
Se ne deve dedurre logicamente che a Fini da fastidio soltanto quello che si scrive sul giornale del fratello di Berlusconi,  diretto dal bravo Feltri , perché quello che lui ritiene un attacco personale fatto dal giornale berlusconiano era stato già scritto ben due volte da altri. 

Sul fatto che Fini sia un politico molto più navigato e scaltro di Berlusconi è provato da quanto ha dichiarato a Porta a Porta, riportato dall'ANSA:

(ANSA) - "Oggi ho ricevuto anche la solidarietà del fratello dell'editore del giornale. Si dà il caso però che non sia stato un incidente. O non legge i giornali o non si sa perché soltanto oggi la solidarietà...". Lo dice Gianfranco Fini parlando a Porta a Porta del messaggio di solidarietà ricevuto dal premier Silvio Berlusconi dopo l'articolo de Il Giornale di oggi sulla suocera del presidente della Camera.

Bella faccia di bronzo! Ricordo al presidente Fini che la notizia è vera e che giornalisticamente è molto ghiotta. 
Il  perché è molto semplice: da quando la signorina Tulliani si è fidanzata con Fini, ha fatto fare alla sua famiglia il salto di qualità imprenditoriale, dalla presidenze di piccole squadre calcistiche di proprietà dell'ex fidanzato Gaucci, alle produzioni milionarie pagate dalla RAI,  con i nostri soldi.
I cittadini devono sapere, visto che pagano una tassa che poi gli amici di Fini, leggasi Mauro Mazza, distribuiscono alla "suocera" di Fini. 


Ecco le prove che la notizia riportata dal il Giornale diretto da Feltri era "vecchia". 


BENVENUTI AL REALITY “La suocera, il cognato, il programma RaiUNO e il Presidente della Camera” - “IL FATTO” SCODELLA ALTRE GOLOSE CHICCHE – “Allo stesso indirizzo DELLA SOCIETà DI FRANCESCA FRAU, MADRE DI ELISABETTA TULLIANI, è ufficialmente domiciliata anche la Giant Entertainment S.r.l. che fa capo a Giancarlo Tulliani, fratello Della FIAMMA DI FINI, finito nei mesi scorsi sotto i riflettori proprio per un appalto guadagnato in Rai – IL FLOP DI “CHEK-IN”…

1 - L'APPALTO RAI DELLA SUOCERA DI FINI
Eduardo Di Blasi per "Il Fatto Quotidiano

La suocera, il cognato, il programma Rai e il Presidente della Camera. La notizia rilanciata dal sito Dagospia riprende un vecchio filone degli scoop sui "tipini fini" del sito di Roberto D'Agostino, ma segnala con ogni evidenza che l'aria della battaglia oggi in corso tra Gianfranco Fini e il presidente del Consiglio è salita di temperatura.
In sintesi, racconta Dagospia, all'interno del contenitore pomeridiano di Rai Uno condotto da Caterina Balivo, c'è un programma appaltato in esterno dal titolo "Per capirti", che mamma Rai acquista al prezzo di 8.120 euro a puntata (che, è calcolato, per 183 puntate, fa la bella cifra di 1 milione e 485 mila euro). "Per capirti", è spiegato, nella fascia oraria in cui viene trasmesso (intorno alle due del pomeriggio), fa ascolti anche decenti : 1.800.000 spettatori, con il 12% di share.
Resta il fatto che quell'appalto esterno è stato aggiudicato alla Absolute Television Media (conosciuta anche come At Media), posseduta per il 51% da Francesca Frau, mamma di Elisabetta Tulliani e quindi "suocera" del Presidente della Camera. La società, può documentare Il Fatto Quotidiano, è nata appena nell'estate del 2009, con un capitale di 10mila euro, 5.100 dei quali sottoscritti dalla signora Frau.
L'azienda (che ha anche un sito internet all'indirizzo web www.atmedia  srl.com) è domiciliata presso lo studio del commercialista Luciano Fasoli (che risulta esserne l'amministratore unico), professionista che si segnala già molto vicino a Maurizio Costanzo L'altro 49% dell'azienda è di una società, la Immediate Group S.r.l., posseduta quasi interamente (8.500 euro sui 10mila di capitale) dall'imprenditore salernitano Matteo Fiorillo.
E per il resto dal giornalista milanese Roberto Quintini, una lunga carriera anche come autore e produttore tv (che ha sottoscritto quote per mille euro) e da Francesca Rogano (che ha contribuito con 500 euro). Amministratore unico di Immediate Group è Carlo Sanna. Interessante è l'indirizzo in cui ha sede la società "At Media" : al terzo piano di viale Mazzini 114/a, a dieci metri dagli uffici Rai (che sono giusto di fronte, al civico 114), ma non solo. Allo stesso indirizzo, viale Mazzini 114/a è ufficialmente domiciliata anche anche la società Giant Entertainment S.r.l. che fa capo a Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, finito nei mesi scorsi sotto i riflettori proprio per un appalto guadagnato in Rai.
Il programma, "Italian Fan Club Music Award's", da lui prodotto, non fu propriamente un successo. Nel dicembre scorso, fu ancora il sito Dagospia a tirar fuori il nome del fratello di Elisabetta, affermando "che proprio in queste settimane sta cercando di chiudere contratti vantaggiosi con la Rai Uno di Mauro Mazza direttore di Rai Uno". Mauro Mazza, già direttore del Tg2, oggi passato alla Rete Uno, ascritto al gruppo dei "finiani", allora si affrettò a smentire: "Caro Dagospia, all'interno di una tua nota leggo un accenno a "contratti vantaggiosi" che il signor Giancarlo Tulliani starebbe "cercando di chiudere" con Rai Uno. La cosa è assolutamente falsa in quanto tra Rai Uno e il signor Tulliani non esistono trattative in corso né rapporti di alcun tipo".

Il direttore di Rai Uno, ieri, però, l'abbiamo rintracciato mentre era in viaggio, e non è riuscito a rispondere alla domanda se il programma "Per Capirti" della At Media, fosse titolare di un contratto con l'azienda televisiva di Stato, per la cifra di oltre 8mila euro a puntata.


2 - ALTRI PRODIGI DELLA SOCIETA' DI POLTRONISSIMA FRAU (AT MEDIA SRL): "CHEK-IN", MA QUANTO COSTA IL FLOP?
Da "Panorama" (15 gennaio 2010)

Non è bastata una ex hostess a far decollare Check-in: il nuovo varietà di Raiuno con Daniela Martani, già «pasionaria» della vertenza Alitalia, si è fermato alla prima parte del numero zero, andata in onda il 5 gennaio dopo le 23. Cancellata invece la seconda, prevista per il 12. Gian Carlo Nicotra alla regia, sketch a raffica e ballerine procaci, Check-in non è sopravvissuto alla brutale stroncatura del critico televisivo Aldo Grasso sul Corriere della sera e allo share non entusiasmante.
«Non ci strappiamo i capelli: era una puntata sperimentale che alla tv di Stato, oltretutto, non è costata un euro» minimizza Claudio Azzalini, capostruttura di Raiuno. A Panorama risulta, invece, che per il flop Martani la società di produzione romana At media ha firmato con Viale Mazzini un contratto di 120 mila euro. Iva esclusa.

3 - «CHECK IN» SPECCHIO DI UNA BRUTTA TV...
Aldo Grasso per il "Corriere della Sera" (8 gennaio 2010)



Quando non sai fare niente, fai televisione. Sono cose che succedono anche altrove, I suppose, ma che in Italia sembrano aver trovato il terreno giusto per attecchire. Bisognerebbe un giorno scrivere una storia televisiva degli incapaci di successo, o proporre un programma ministeriale per utilizzare la tv come ammortizzatore sociale. Bisogna comunque analizzare il caso di «Check in», una specie di varietà proposto da Raiuno in seconda serata, per capire perché la tv attuale sia tanto brutta e il Servizio pubblico così sprecone. La prima idea consiste nel costruire un' accademia dei comici, modello «Zelig» o «Colorado».
E già qui la Rai arriva con anni di ritardo. La seconda è di affidare il tutto a un regista, Giancarlo Nicotra, che ha avuto la fortuna di firmare la prima edizione di «Drive in» («Check in» non dice niente?), ma che già alla seconda veniva sostituito. Siamo ancora fermi ai primi anni Ottanta, soprattutto per spreco di ragazze scosciate. La terza è prendere uno spettacolo teatrale, dichiaratamente ispirato al film
L' aereo più pazzo del mondo, e frammentarlo in tv secondo i canoni dello sketch (oh, ma qui fra citazioni, omaggi, prestiti, scopiazzamenti, di trovate originali nemmeno l' ombra!). La quarta idea infine è di imbarcare Daniela Martani, ex hostess dell' Alitalia nei giorni della vertenza Cai, di professione reduce (ex pasionaria, ex Grande Fratello, ex La Fattoria, ex altre comparsate).
A farla balzare agli onori delle cronache, più di altri suoi colleghi di lotta sindacale, fu una fotografia che la ritraeva mentre alzava un cappio. Dopo il cappio arrivò un invito da Santoro e poi una «paparazzata» con Massimo Giletti. Ora, se questi programmi fossero allestiti da qualche tv locale, lo sguardo degli spettatori sarebbe più benevolo. Ma in Rai, su Raiuno...


AI CON-FINI DELLA REALTA':

FINI: FELTRI? CERTO GIORNALISMO SGUAZZA NEL FANGO...
(ANSA) - "C'é un giornalismo che sguazza nel fango, per non citare quella materia organica che rese famoso Cambronne e che va oltre il livello della decenza": lo dice Gianfranco Fini riferendosi all'attacco di Vittorio Feltri sul Giornale di oggi, durante la registrazione di 'Porta a porta', aggiungendo che "la libertà di stampa è un valore assoluto ma non ha nulla a che vedere con questo".

SIAMO MErDa, d’accordo. MA LA NOTIZIA SULLA SIGNORA FRAU, MADRE DI ELIABETTA TULLIANI, PRODUCER TV A UN MILIONE E MEZZO L’ANNO, è FALSA O VERA? Ha un contratto o no con Raiuno? Se la risposta è sì, allora è stato più che giusto pubblicarla. 

Questo l'articolo pubblicato da il Giornale:

Rai, un milione alla "suocera" di Finidi Laura Rio

La madre di Elisabetta Tulliani è la titolare della società che cura un programma di scarso share sulla prima rete. Il costo per la Rai? Un milione e mezzo di euro

Un lavoro alla «suocera» non si può negare. La «suocera» in questione è quella di Gianfranco Fini, il presidente della Camera e secessionista (per poche ore) del Pdl, le cui diatribe con il premier volano a ricaduta anche sulla Tv di Stato. Bene, l’altro giorno avevamo scritto che tra i produttori in fibrillazione per la rottura tra finiani e berlusconiani, temendo ripercussioni, c’era anche Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Fini, Elisabetta.

Al «cognato» Tulliani, attraverso un intricato sistema di società, è riconducibile la realizzazione di una parte di Festa italiana, programma del pomeriggio condotto da Caterina Balivo su Raiuno, la rete diretta dal finiano doc Mauro Mazza. Lo spazio si chiama Per capirti, una sorta di talk dedicato al rapporto tra genitori e figli. Insomma un piede messo dentro il canale ammiraglio della Rai, un lavoretto che viene lautamente ricompensato: un milione e mezzo di euro. Precisamente ottomila euro a puntata per 183 puntate. Tra l’altro il programma della Balivo la scorsa stagione era realizzato totalmente all’interno della Rai, mentre quest’anno un pezzetto è stato appaltato all’esterno senza che ci si guadagnasse in ascolti e dunque ci fosse una reale resa a fronte dell’investimento economico.

Ieri, il sito Dagospia ha approfondito l’argomento, sciorinando nei dettagli la matassa intricata dei rapporti tra la società di produzione e la famiglia Tulliani. In sostanza, nel complicato sistema di scatole cinesi, la maggioranza della società che produce la trasmissione, denominata Absolute Television Media (sigla AT Media), è detenuta da Francesca Frau. E chi è questa signora sconosciuta nel giro dei produttori che lavorano per la Rai? È la mamma di Elisabetta e Giancarlo Tulliani, dunque la «suocera» (le virgolette valgono perché non sono sposati) di Fini. Non risulta che la signora Frau, 63 anni, abbia una lunga esperienza nel campo televisivo, almeno non nelle reti pubbliche. Così, scava scava, viene il dubbio che lei compaia ufficialmente nei documenti ma dietro ci sia qualcun altro.

Giancarlo Tulliani non risulta nella compagine societaria delle varie società che sono spuntate nel giro di pochissimo tempo (Elisabetta è fidanzata con Fini dal 2007) e intestate alla madre, tra cui la Absolute Television srl e la Giant Enterprise srl, che, per dirne un’altra, sembra l’abbreviazione di Giancarlo Tulliani. Compare invece nella prima società denominata Giant Enterprise Group, liquidata nel 2008. Comunque sia, in ballo nella produzione di Festa italiana c’è la famiglia Tulliani. A trattare in Rai di solito va Roberto Quintini, che detiene una parte della Group srl, a sua volta proprietaria di una parte di At Media.

Certo si dirà, nella Tv pubblica funziona tutto così: ogni partito ha i suoi referenti, molti uomini raggiungono posti di potere attraverso raccomandazioni politiche per non parlare delle vie «facilitate» di certe attricette o vallette. E, in molti casi, il risultato finale può anche essere una buona programmazione che fa risultati d’ascolto, come è il caso della rete diretta da Mauro Mazza. Ma certo è meglio che la «moglie» di Cesare sia al di sopra di ogni sospetto, soprattutto quando Cesare è il Presidente della Camera.
 
Comunque, Dagospia ieri è andato giù duro, ricordando anche le imprese passate della famiglia della compagna. Che aveva già provato a entrare con scarso risultato nella ghiotta torta delle produzioni Rai. L’estate scorsa per esempio la società della signora Frau aveva provato a realizzare uno show musicale intitolato Italian Fan Club Music Award’s, andato in onda su Raidue e che si era tramutato in un flop di ascolti. Poi si era deciso di tentare con Raiuno.

Ma da sempre Elisabetta cerca di dare una mano al fratello più piccolo. Ai tempi in cui era fidanzata con Luciano Gaucci, riuscì a far nominare Giancarlo ai vertici della Viterbese, squadra che era di proprietà dell’ex presidente del Perugia, d’altronde lei era diventata presidente della Sambenedettese. Questo prima di scoprire di essere più portata per ruoli artistici, tanto da entrare nel grande ventre Rai e finire a partecipare a trasmissioni come Mattina in famiglia e Unomattina. Una passione rimasta anche quando si è fidanzata con Gianfranco Fini (con cui ha avuto due figlie e che nel frattempo si era lasciato con la moglie Daniela) e
trasmessa, guarda caso, all’intera famiglia sotto un’altra veste, quella di produttori di programmi.
 

lunedì 26 aprile 2010

2a puntata sul bolognese Fini

Sempre di Pansa è quest'altra puntata sul bolognese DOC Gianfranco Fini.

Va di moda il politico randagio
di Giampaolo Pansa


I quotidiani di ieri erano dominati da una sola questione: Umberto Bossi vuole la crisi di governo per andare subito a votare. Il Bestiario non crede che le cose stiano così. Il leader della Lega non cerca per niente nuove elezioni. Per almeno tre motivi. Il primo è che il federalismo fiscale, l’obiettivo che più lo interessa, verrebbe rinviato alle calende greche, ossia a chissà quando. Il secondo è che il ricorso immediato alle urne compatterebbe le tante sinistre, nascondendo le crepe profonde nel blocco delle opposizioni. 

Il terzo motivo, di gran lunga il più importante, è che il centro-destra le elezioni potrebbe perderle. Mi viene in mente un confronto immediato con le partite di calcio. Un grande giornalista sportivo, Gianni Brera, diceva a noi giovani redattori del “Giorno” di Italo Pietra: ogni partita ha sempre un risultato incerto, per la semplice ragione che il pallone è rotondo e va dove vuole.

Il “Giuan” era un padano doc e credo che anche Bossi se lo ricordi. Correre alle urne, per votare alla fine dell'estate, rappresenta una scommessa rischiosa tanto per lui che per Berlusconi.

La coppia B&B ha fatto tesoro di quanto è accaduto un mese fa nelle regionali: l'aumento impressionante dell'astensionismo. Le astensioni hanno ferito tutti i partiti maggiori, ma in modo violento il Popolo della Libertà. Che cosa accadrebbe se il rifiuto di andare al seggio diventasse più devastante? Gli esperti elettorali di B&B sudano freddo.
Al blocco di governo resta, comunque, un problema da risolvere: quale atteggiamento tenere nei confronti del ribelle Gianfranco Fini. Qui la faccenda si complica. I partiti nuovi, come il Pdl e la Lega, di solito non hanno la pazienza astuta di quelli vecchi. Soprattutto se sono strutture fondate sul carisma di una persona. Per questo non sopportano che qualcuno osi incrinarlo e ne metta in dubbio l'autorità assoluta. E non appena si trovano di fronte a un dissenso organizzato, non perdono un istante a soffocarlo.

I partiti vecchi, quelli della Prima Repubblica, avevano una pazienza maggiore. Nel Pci cacciarono i quattro del manifesto soltanto dopo nove mesi di riflessioni, di dubbi e di incertezze. E quando li radiarono, nel novembre 1969, le Botteghe Oscure si resero conto subito di aver sbagliato. Infatti quella decisione dura provocò la nascita o il rafforzamento di un gruppo politico destinato a dare molto fastidio al Partitone rosso.
In casa democristiana ricordo una sola espulsione clamorosa. Accadde nel 1954 e i dissidenti erano due: Ugo Bartesaghi, un deputato di Lecco, e Mario Melloni, anch'egli deputato, un dicì importante che aveva diretto l'edizione milanese del Popolo ed era stato a fianco di Alcide De Gasperi nel grande comizio in piazza Duomo, alla vigilia del 18 aprile.

Melloni e Bartesaghi erano contrari all'Unione Europea perché prevedeva una parziale integrazione militare dei paesi membri. E il 23 dicembre 1954 votarono contro la ratifica del trattato. Quella sera stessa, il segretario della Dc, Amintore Fanfani, riunì la direzione del partito ed espulse i due dissidenti. Fu un blitz con un passivo terribile. Melloni diventò comunista e con lo pseudonimo di Fortebraccio si rivelò il critico più carogna della Balena Bianca.

Non vedo come il Cavaliere possa cacciare Fini dal Pdl. Non può neppure sfiduciarlo come presidente della Camera. Schiumando di rabbia, dovrà lasciarlo dove sta. Nemmeno il ricorso alle urne avrebbe senso. Sarebbe come usare la bomba atomica per distruggere un nido di vespe. Uso la parola vespe o vespaio senza nessun intento offensivo verso Fini e la sua pattuglia. Le vespe non vanno mai prese sottogamba. Sono insidiose, non smettono di attaccarti. Se poi si alleano con i calabroni, possono farti molto male.
E allora tutto dipende da quello che Fini deciderà di fare. Non vedo calabroni correre in suo aiuto. Quelli del Partito democratico sono tanti, ma il loro lavoro è di pungersi l'un l'altro. Del calabrone Di Pietro è meglio non fidarsi: Fini passerebbe al servizio di un padrone più superbo del Cavaliere.

Se è vero che Fini non smetterà di fare la guerriglia contro il centro-destra, dovrà lavorare in solitudine. E per la prima volta da quando Giorgio Almirante lo mise in carriera, si troverà in una condizione che non ha mai sperimentato: essere un politico senza partito che tenta di resistere contando solo sulle proprie forze. Certo, dopo la rottura violenta con il Pdl, potrebbe dar vita a un gruppo parlamentare autonomo. E di qui tentare la costruzione di una parrocchietta. Ma la strada per arrivarci sarà davvero lunga e impervia.
Il vero rischio per Fini e dei suoi pochi o tanti fedeli è di ingrossare le fila dei politici randagi. Parlo di chi ha lasciato la casa madre e adesso va cercando un approdo nuovo. È una figura sempre più frequente, in quest'epoca complessa. 
Sì, il politico randagio è di moda. Penso a Francesco Rutelli, a Giuseppe Pisanu, a Clemente Mastella, a Nichi Vendola (già ben piazzato), al neo-comunista Marco Rizzo, il Pelatone rosso di tante mie polemiche, che mi spiace non vedere in azione.

Lo so che fare il randagio da presidente della Camera è molto comodo. Rimane da capire quanto tempo Fini resisterà in quell'incarico. E in quale modo se ne servirà. C'è da sperare che si comporti con misura. Rinunciando alla minaccia di fare scintille in Parlamento. Attenti agli incendi provocati da una favilla. Possono divorare tutti: i capi partito, i ribelli, i signori randagi e i cittadini qualunque.

da Prima Pagina de Il Riformista di lunedì, 26 aprile 2010
 

sabato 24 aprile 2010

Sull'ormai chiare intenzioni di Gianfranco Fini ecco il pensiero di Pansa.

Come ormai sanno tutti quelli che seguono il mio blog, confermo la condivisione dell'attuale pensiero, del giornalista e scrittore Giampaolo Pansa, del quale pubblico un suo articolo, di cui condivido anche la lucida ed ottima analisi, sul "chiarimento" pubblico avvenuto, durante la direzione nazionale del PdL,  fra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini.


E adesso la baracca crollerà?
di Giampaolo Pansa
 
Di fronte al gran bordello della rottura tra Fini e Berlusconi, tutti si domandano che cavolo farà il presidente della Camera e come replicherà il Cavaliere. Quasi nessuno, invece, si chiede che cosa accadrà al Governo, alla maggioranza, all’opposizione. E soprattutto quale sorte avrà la baracca Italia. Chi era già scoraggiato, oggi lo è di più. Una signora che segue con allarme le nevrosi della casta politica, mi ha detto, irritata e angosciata: «Non c'è proprio pace per questo Paese!».
Le ho domandato perché si sentisse così. La sua risposta è stata di una semplicità disarmante. Dopo le ultime elezioni politiche del 2008, era emerso un assetto che sembrava destinato a durare per tutti i cinque anni della legislatura. Al governo c’era andato il centrodestra, con una solida maggioranza. All'opposizione stava il centrosinistra, con cinque anni di tempo per prepararsi a vincere nel 2013. Insomma, una condizione normale, simile a quella degli altri Paesi europei.

Ma adesso l'equilibrio è saltato. Berlusconi avrà pure commesso degli errori. Però a far esplodere la bomba che potrebbe demolire la baracca è stato Fini. Se il Governo cadrà, lo dovremo a lui. A quel punto il caos sarà completo. Resteremo tutti appesi a un futuro incerto. Gonfio di domande che non hanno ancora una risposta.

La nuova parrocchia politica finiana sarà tanto forte da azzoppare senza rimedio il centrodestra? Il Cavaliere tenterà la strada di ottenere nuove elezioni entro l'autunno? E in quel caso chi le vincerà? Ecco il vero problema che inquieta molti italiani senza potere. A cominciare dalla signora che mi ha detto: non c'è pace per il nostro Paese.

Invece noi dei giornali ci occupiamo d'altro. Per esempio, di quale sarà la sorte dell'ex capo di Alleanza nazionale e dei suoi seguaci, tanti o pochi che siano. Confesso di avere poca stima di Fini come leader politico. Oggi più che mai mi appare una figura mediocre, povera di qualità. Mi sembra la conferma di un vecchio motto cinese che recita: quando il sole è al tramonto, anche l'ombra del nano si allunga. La Seconda Repubblica sta tirando le cuoia. E nella sua agonia anche un figurante mediocre può apparire un protagonista.

Negli ultimi due anni abbiamo messo a fuoco il profilo di Fini. Tutto chiacchiere e cravatte rosa, nient'altro. Ecco un tattico senza strategia. Un pensatore senza pensiero. Un autore di libri che altri scrivono per lui. Un alleato che non si cura dell’alleanza. Certo, ha avuto l'accortezza di dotarsi di un think tank formato da signori in grado di fornirgli il carburante intellettuale necessario. Primi fra tutti, due amici di valore: Alessandro Campi e Aldo Di Lello. Senza di loro, sarebbe rimasto a secco di opinioni. E non avrebbe saputo iniziare la guerriglia che lo ha condotto alla svolta di oggi.

Il Cavaliere, preso di contropiede da Fini, gli ha chiesto di riflettere per quarantotto ore prima di rompere l'alleanza. Posso sbagliarmi, ma non credo che mister Cravatta Rosa ritornerà sui propri passi. Se lo facesse, andrebbe incontro a un doppio rischio. Di essere deriso dai suoi stessi supporter. E di apparire un uomo di paglia che si è fatto comprare dal premier.

Fini andrà avanti. Farà i suoi gruppi autonomi tanto alla Camera che al Senato. E darà vita a una svolta che possiamo definire storica perché senza precedenti nella Seconda Repubblica. Una svolta tutta da precisare. Poiché non si riesce a immaginarne l'esito. Del resto, un anno fa avevo chiesto a Fini dove pensava di dirigersi con la sua guerriglia anti-Cavaliere. La sua risposta mi aveva lasciato secco. Suonava così: «Non lo so neppure io».

Quello che sappiamo, anzi che già vediamo, è la frenesia gioiosa nel campo avversario. Il centrosinistra scopre di essere in pieno orgasmo per l'imminente arrivo di questo nuovo compagno di strada. Il leader del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, gli ha subito offerto di entrare nel Comitato di liberazione da Berlusconi. Dichiarando al Riformista: «Faccio appello a tutte le forze che non accettano la deriva plebiscitaria e populista per una convergenza repubblicana».
Ma il Pd si è diviso anche sull'appello a Fini. Max D'Alema ha proposto «una Costituente democratica che attragga chi si sente prigioniero del Pdl». Però subito si è alzato Dario Franceschini per dargli sulla voce: «Fini vuole una destra normale, ma resta sempre un nostro avversario». Allora D'Alema ha replicato che le porte della futura Costituente dovrebbero spalancarsi anche per Pierferdi Casini.

Niente di nuovo sotto il sole. Gli osservatori non schierati da nessuna parte avevano già previsto la nascita del nuovo Cln. E si domandano se anche questa trovata non sia un modo per nascondere sotto il tappeto le disgrazie dei democratici. Se il Caimano oggi si trova alle prese con Fini e non ha ancora deciso se divorarlo o blandirlo, Bersani deve far fronte a una serie di problemi giganteschi. Sergio Chiamparino e Massimo Cacciari vogliono fondare un Pd del Nord. Anche Romano Prodi ha cominciato a sparare sul quartier generale, con la proposta di far eleggere il leader democratico dai segretari regionali del partito, una specie di super-casta.

Che cosa importa di questo bordello agli italiani qualunque? Nulla. Vedono un Paese ancora in ginocchio per la crisi economica, mentre la politica si divide, si combatte, si fa le pippe, si balocca smontando e rimontando il puzzle del potere. E si chiedono se la baracca crollerà. Me lo domando anch’io. E confesso di provare una fifa blu.

da Prima Pagina de il Riformista di lunedì, 19 aprile 2010

giovedì 22 aprile 2010

Alla radicale d'antan, Emma Bonino,   le puntualizzazioni sulla sua rinuncia ad essere consigliere regionale alla regione Lazio,  e sulle sue assenze al Senato ha fatto intervenire il suo portavoce (pagato da noi), ma la risposta del giornalista dell'Espresso rincara la dose.

Le presenze in Senato di Emma Bonino

di Filippo di Robilant 

Egregio direttore,
in merito all’articolo di oggi 21 aprile dal titolo «Bonino lascia la Regione Lazio e sceglie di restare al Senato dove guida la classifica degli assenti», Le trasmetto la precisazione dell’ufficio stampa del Senato resa pubblica sin da venerdì scorso e che forse le sarà sfuggita. Come può vedere, i vice presidenti, nei turni di presidenza, non partecipano alle votazioni. Aggiungo che gli obblighi di rappresentanza del Senato a cerimonie ufficiali, a Roma o fuori sede, implicano necessariamente un’impossibilità ulteriore di partecipare alle votazioni.
«In relazione alle statistiche pubblicate sul numero de U Espresso, oggi in edicola, dalle quali risulterebbe che, fra i senatori meno presenti in Aula, tre sono vice presidenti dell’Assemblea, l’Ufficio Stampa del Senato ricorda che i vice presidenti sono esclusi dal computo delle presenze e delle votazioni in Assemblea proprio perché, per consuetudine costituzionale risalente al XIX secolo, non possono partecipare alle votazioni quando esercitano le loro funzioni istituzionali. I dati relativi risulterebbero quindi inevitabilmente falsati nel loro significato. Proprio per ragioni di chiarezza, le presenze in Aula dei vice presidenti non sono rilevabili nelle statistiche riportate dal sito internet del Senato».

Filippo di Robilant , portavoce di Emma Bonino

È senz’altro vero che i vicepresidenti del Senato non votano, quando presiedono l’Assemblea, e possono risultare assenti per obblighi istituzionali. Tuttavia ciò non impedisce loro di essere presenti, come senatori, per il tempo che rimane o per gran parte di esso. È il caso, per esempio, di un’altra vicepresidente del Senato, Rosy Mauro della Lega, che risulta aver collezionato il 26,5% di assenze: ben poca cosa al cospetto del 78,2% di Emma Bonino. Alla Camera dei deputati, del resto, i quattro vicepresidenti sono tra i più presenti: Rocco Buttiglione (Udc) ha l’ 11,9% di assenze, Antonio Leone (Pdll1’1,1 %, Maurizio Lupi (Pdl) lo 0,74% e Rosy Bindi (Pd) addirittura zero. La classifica citata- che
è realizzata da OpenParlamento.it tiene, inoltre, conto sia dei turni di presidenza sia degli impegni di «rappresentanza».



da Avvenire del 22 aprile 2010

mercoledì 21 aprile 2010

Ma i radicali non erano diversi dagli altri? No, purtroppo!

Vi propongo du articoli sul comportamento della onorevole Emma Bonino, l'emula di Pannella, che andava sbandierando ai quattro venti di essere diversa dai soliti politici politicanti.

 E la Bonino non va più in Regione

 «Bisogna saper perdere» , cantava nel 1967 Shel Shapiro, il leader dei Rokes. Una regola di vita sacrosanta. Che dovrebbe valere non soltanto per gli spasimanti battuti dai rivali in amore, come in quel caso, ma anche per i politici in servizio permanente effettivo. Senza nessuna eccezione.
«Sono una che si occuperà del Lazio. Le nostre capacità di invenzione sono molte», aveva risposto Emma Bonino a chi dopo la sconfitta subita da Renata Polverini le chiedeva notizia sul suo prossimo futuro. Ma allo scomodo e piuttosto oscuro ruolo di esponente dell’opposizione nel consiglio regionale del Lazio la radicale protagonista di tante battaglie civili avrebbe ora preferito conservare lo scranno al Senato, dove ricopre l’incarico prestigioso di vicepresidente dell’assemblea. Una decisione fatta in perfetta coerenza con il suo movimento politico.
Due giorni fa il comitato nazionale dei radicali aveva addirittura diramato un comunicato ufficiale, annunciando di ritenere che «l’obiettivo del Lazio regione europea possa essere da Emma Bonino meglio assicurato mantenendo l’impegno istituzionale e nazionale di vicepresidente del Senato piuttosto che in consiglio regionale come consigliere di minoranza».
Una spiegazione abbastanza incomprensibile che aveva tutta l’aria, non ce ne voglia la senatrice del Pd, di precostituire un alibi per la sua scelta. Diciamo subito che ci sono illustri precedenti, tanto a destra quando a sinistra.
Al Comune di Milano, per esempio, ancora si ricordano le polemiche seguite alle dimissioni dell’ex prefetto Bruno Ferrante, sconfitto nel 2006 da Letizia Moratti nella corsa alla poltrona di primo cittadino, che qualche mese più tardi abbandonò il consiglio comunale avendo ottenuto dal governo di Romano Prodi l’incarico di alto commissario contro la corruzione nella pubblica amministrazione.
Per non parlare dei vari parlamentari che si sono presentati alle amministrative e poi, una volta perdute le elezioni, sono rimasti comodamente appesi al loro paracadute alla Camera o al Senato. Ma pochi, pochissimi sanno accettare la sconfitta...
di Sergio Rizzo, dal Corriere della Sera del 20/4/2010

Ma la giustificazione che, a loro modo danno i radicali, non regge affatto di fronte a questa seconda notizia: la Bonino al Senato della Repubblica risulta essere assente il 78% delle sedute! Evviva la diversità radicale.

Quando l'aula "sta stretta"

Quando ho telefonato a Gianluca Perricone preannunziando che avrei scritto due righe a proposito della scarsa frequentazione da parte di Antonio Di Pietro dell’Aula di Montecitorio, mi sono sentito ribattere che l'argomento non era originalissimo (vero, ne avevamo scritto un annetto fa) e che proprio il giorno precedente dello stesso argomento si era occupato Il Giornale (il Direttore di Giustizia Giusta legge una ventina di quotidiani al giorno). Diligentemente mi sono documentato: a dire il vero il quotidiano di Vittorio Feltri ha preso di mira la vicepresidente del Senato Emma Bonino che, stando a quel che riferisce Il Giornale, risulterebbe assente il 78% delle sedute di palazzo Madama (peggio di Bonino farebbe solo tale Taglione Antonio, con un ragguardevole 92%). Beh, sarò un ingenuo, ma non me lo sarei aspettato: Emma la stakanovista, la donna del fare, quella che quando prende un impegno ci si butta anima e core che fa? Diserta l'aula che peraltro (vice) presiede? Da non credere. E sarò doppiamente ingenuo perché mai nemmeno mi sarei aspettato di leggere che per oltre due sedute su tre (68%) risulta assente il segretario dei Pd, Pierluigi Bersani, l'emiliano laburista dell'Emilia laboriosa, lui che non fa altro che ripeterci che gli italiani hanno bisogno in primis di lavoro. Evidentemente Bersani si riferisce al lavoro altrui, non certo al proprio.
Ma le ingenuità finiscono qui perché con Tonino (Di Pietro, NdB) ero certo di andare sul sicuro. Già un anno fa i dati della Camera segnalavano il leader del partito con le ali (come l’assorbente) come uno dei meno assidui, per usare un eufemismo, dall’aula di Montecitorio. E secondo i dati risultanti a fine marzo 2010 l’ex PM si conferma con un ragguardevole 64,8% di assenze. 
Ma non solo: il gruppo Camera dell’IdV risulta il più assenteista (dopo il gruppo misto e quello dell’Udc), mentre il più assiduo risulta - udite udite - quello del PdL. Che dire: "gente troppo impegnata a farsi i ca...i suoi per stare alla Camera o al Senato. Infatti, sono sempre in televisione. Propongo, in coda alle trasmissioni a cui partecipano, di mettere i loro compensi (pubblici e privati) con il numero di presenze in aula". Il virgolettato è di Beppe Grillo.

di Alessio Di Carlo, da l'Opinione del 20/4/2010 

Non ringraziano chi gli salva la pelle

Riporto senza alcun commento personale, condividendo pienamente quanto scrive Feltri.

 Confermato. La gratitudine è il sentimento della vigilia. Poi svanisce e spesso si trasforma in antipatia, anche profonda. I tre operatori sanitari (medico e infermieri) di Emergency liberati grazie all’intervento decisivo del governo italiano non hanno rilasciato dichiarazioni riconoscenti su chili ha salvati. Figuriamoci. Addirittura hanno rifiutato di attendere l’aereo militare che li avrebbe riportati in Patria; hanno preferito quello di linea, così, per non avere nulla da spartire con l’esecutivo di Berlusconi.
Il loro atteggiamento indigna ma non stupisce, è perfettamente coerente con il pensiero del loro capo, Gino Strada, un pacifista che non si dà pace, ce l’ha con tutti (specialmente con gli americani), tranne i talebani di cui non saprei dire cosa egli stimi.
La vicenda è nota. I tre connazionali lavorano in un ospedale fondato da Emergency, in Afghanistan, nel quale sono state trovate delle armi. Di qui il loro fermo o arresto (non si è mai capito) che ha suscitato clamore e preoccupazione nel nostro Paese. Nei giorni immediatamente successivi si è molto discusso anche in televisione del fatto, e l’opinione pubblica ha trepidato aspettando gli sviluppi. Si era temuto il peggio dato che l’Afghanistan non è la Svizzera e non offre garanzie di rispetto delle regole, immaginarsi dei diritti umani.
Il ministro degli Esteri Frattini, preventivamente criticato dalla stampa più che democratica (il Fatto quotidiano lo ha definito uno che passava lì per caso), si è dato da fare e nel giro di una settimana ha concluso con successo le trattative. Qualcuno gli aveva consigliato di intimare alle autorità afghane: o ci ridate i nostri cittadini oppure noi ritiriamo il contingente militare, e arrangiatevi.
Evidentemente la tattica del titolare della Farnesina ha funzionato meglio se è vero, come è vero, che gli ostaggi sono stati rilasciati senza il ricorso a odiosi ricatti. Ci si augurava un applauso al governo, e invece si sono uditi soltanto fischi. Difficile capire perché.


Ogni volta che accadono episodi simili, le persone alle quali è stata conservata la pelle mostrano indifferenza, anzi, freddezza verso chi si è prodigato per loro. È successo con le ormai famose Simone (altrimenti dette vispe Terese) strappate ai tagliagole islamici di Bagdad e dintorni, e non si è mai saputo quanti milioni di euro siano stati pagati per riscattarle, ma è certo che si è trattato di una somma considerevole; ed è successo con la SGrena, l’inviata del Manifesto anch’essa sequestrata mentre gironzolava da quelle stesse parti, e liberata dopo giorni di negoziati conclusi felicemente, non gratis.
Da notare che il commissario di polizia aggregato ai servizi segreti, Calipari, ha perso la vita mentre
riportava a «casa» la giornalista. Ebbene, né le vispe Terese - volontarie ben retribuite in Irak - né la Sgrena hanno avuto parole buone nei confronti degli uomini ai quali devono il rientro in famiglia, inclusi quelli del governo che avrebbero potuto anteporre la ragion di Stato alla superiore esigenza di tutelare le (mica tanto) gentili signore.
Con i tre di Emergency, la tradizione dell’ingratitudine continua. Rimane in sospeso una domanda: ma le armi nell’ospedale chi ce le ha messe?

di Vittorio Feltri, da il Giornale del 20/4/2010 

sabato 17 aprile 2010

La mezzobusta Busi fra tre anni sarà onorevole del PD

Maria Luisa Busi, indefessa giornalista di mamma RAI non si aspettava che venisse tolta dal video dopo le critiche che aveva fatto al direttore del telegiornale dove lavora, RAI 1,  ed ha strepitato a più non posso ricevendo la solidarietà dei soliti colleghi di chiara parte politichese: certa sinistra. Fra i tanti vi è stato Carlo Verna, segretario dell'Usigrai,  sindacato dei gionalisti della RAI che l'ha difesa con queste parole:  " La collega ha una storia personale e professionale che esige dei distinguo e il suo stare in Abruzzo dovrebbe essere considerata una garanzia per chi vive il dramma del post-terremoto ". 

Cosa centrano i cittadini abruzzesi post-terremotati con questa squallida storia lo sa soltanto Verna, ma la cosa interessante e vedere quale 
distinguo necessita la carriera della mezzobusta RAI.

E', per caso,  vincitrice di un premio Pulitzer? No, purtroppo per lei. 
Allora forse è vincitrice di un premio Nobel? Neanche, eppur un Nobel non si nega a nessuno, l'hanno dato perfino a Dario Fo.

Vediamo allora la storia professionale della Busi,  che cita il sindacalista dell'Usigrai,  per capire con quale grande firma del giornalismo italiano abbiamo a che fare.

Nel 1992 Maria Luisa Busi prese il posto di Angela Buttiglione al TG1. 
Nel 1999 è stata inserita nella redazione degli speciali per la quale, dal 2001 ad oggi, ha prodotto 16 servizi. E tolto il periodo di maternità del 2007, dal successivo 2008 ha fatto un'inchiesta su " Storie di nuova povertà" , un'intervista al segretario della CGIL, Guglielmo Epifani, e il discutibile servizio in Abruzzo, all'Aquila.

In dieci anni di duro lavoro ha prodotto soltanto 16 servizi e fatto una settimana al mese di conduzione in video del telegiornale.
Non mi sembrano numeri stakanovisti.

Quando non si condivide la direzione del giornale per il quale si lavora, l'unica decisione corretta è quella di andarsene. Come ha fatto il giornalista Pansa non condividendo più la direzione di Repubblica e dell'Espresso.
Ma ormai gira voce che la già mezzobusto RAI  sbarcherà anch'essa in politica: alle elezioni del 2013. 
Naturalmente col suo partito di riferimento. Indovinate un po' quale sarà.

La stampa estera scopre i limiti di Di Pietro e del suo partito Idv

Riporto una parte della rassegna della stampa estera che fa Klaus Davi per i media nazionali, con la sola puntualizzazione:  
finalmente i giornali esteri, anche di sinistra,  si sono resi conto di chi è veramente l'ex pm ed ex tutto Di Pietro e i suoi "amici".

Il successo dell'Italia dei valori alle regionali ha stimolato l'analisi della stampa internazionale sul futuro del partito di Antonio Di Pietro. 
Scende in campo il Boston Globe che, in editoriale non firmato (si presume quindi del direttore, NdB), parla << di una redistribuzione dei poteri all'interno dell'opposizione a favore dei dipietristi. Nulla di paragonabile alla Lega, però, perchè attualmente l'influenza dell'Idv nel centrosinistra é ancora limitata.>>
Ciononostante, per Richard Heuzé del Figaro l'ex pm continua a fare paura al Pd, << costretto a stringere alleanze con lui per evitare che questi (Di Pietro, NdB) impugnasse la questione morale e denunciasse la corruzione presente tra le sue file. Accuse che avrebbero messo il partito di Pier Luigi Bersani ancora più in crisi.>> (Meno male che lo scrive un giornale estero che gli ex comunisti del Pd hanno l'armadio pieno di scheletri di ogni tipo, a partire dal "tesoro di Dongo" - oro, denaro, titoli - rubato a Mussolini che lo stava trafugando all'estero, per finire a Mister G ed ai favoritismi alle Coop o le leggi ad uso loro come quella per i CAF che la UE ha sancito come conflitto d'interesse. NdB)
Tuttavia, conclude Heuzé, << l'imprevedibile esaltato Di Pietro non riesce proprio ad imporsi come leader morale della sinistra.>> (Mi domando: l'onorevole esaltato querelerà il giornalista francese? Pas facile. NdB)
Anche Londra guarda sospettosa: << L'Idv è un partito marginale e di protesta>> sentenzia Geoft Andrews sul Finacial Times
Critica risulta pure la testata di estrema sinistra francese L'Humanité, che bolla la strategia dell'Idv e di Beppe Grillo come << controproducente poiché, quando le elezioni vengono trasformate in un referendum su Silvio Berlusconi, puntualmente si perde>>.
E poi, << si può far politica con gli urlatori?>> si domanda Jorg Bremer della Frankfurter Allgemeine Zeitung
<< Che razza di opposizione é una coalizione in cui l'Udc c'é e non c'é e gli unici a farsi notare sono proprio Grillo e Di Pietro? Così gli italiani voteranno ancora il Cavaliere>>.

martedì 13 aprile 2010

Un'Italia di scorpioni suicidi

Da quando ha scritto i libri sulla guerra civile avvenuta in Italia alla fine della seconda guerra mondiale, ed anche da quando non scrive più su la Repubblica e su l'Espresso Gianpaolo Pansa mi piace sempre di più.
Ecco il suo ultimo pensiero di quanto accade in Italia contro il presidente Napolitano "reo" di firmare leggi non gradite al popolo delle sinistre "democratiche" che si sono anche ricordate, facendo pubblicare adesso,  di quando Napolitano, deputato europeo, viaggiava in aereo con tariffe agevolate ma si faceva rimborsare dalla UE il biglietto a tariffa piena. 


Prima pagina

Un'Italia di scorpioni suicidi
di Giampaolo Pansa

Gli avranno fatto il lavaggio del cervello. Devono avergli offerto qualche escort. Questo vecchio stronzo di merda. Vecchio scarpone inutile. Regalategli una tessera del Pdl. Vergogna. Mortacci sua. Uè, Giorgio, mi firmi sta cambiale? Bastardo. Per lui ci vuole il ricovero coatto. Deve crepare nel peggio ospizio. Non so se sia meglio un presidente così o un presidente pedofilo. Lui e altri politici possono governare perché noi italiani non abbiamo il coraggio dei thailandesi di assaltare i loro palazzi. È andato a inaugurare Vinitaly, forse c’è un nesso con il fatto che ha firmato quella legge infame. Abbi un minimo di dignità: dimettiti! Hanno preso la Costituzione e ci si sono puliti il culo: l’unica cosa che mi rallegra è che tra poco glie la faremo mangiare…
©LaPresse 10-3-2010 Giustizia: Napolitano, evitare tensioni istituzionali e sconcerto tra cittadini Nella foto: Giorgio Napolitano foto di repertorio
Dobbiamo questa antologia di insulti all’accortezza intelligente di una collega del Giornale, Paola Setti. Ha avuto la pazienza di cercare su Facebook e su altri siti internet che cosa diceva il popolo del web contro il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Colpevole di aver firmato la legge sul legittimo impedimento, considerata dai blogger un regalo al Caimano, ossia al premier Silvio Berlusconi.

Dopo aver letto l’articolo di Paola Setti, mi sono congratulato con me stesso. Ho già spiegato in un Bestiario che sto lontano da Internet, non navigo mai, non me ne importa nulla. Per averlo detto, mi sono beccato gli sfottò persino da un collaboratore del Riformista. Ma ho continuato a fregarmi le mani soddisfatto. Per aver deciso da tempo di non partecipare al Festival dello Scorpione.

Qualcuno ricorderà la favola dello scorpione e della rana. Siamo sulla riva di un fiume. Lo scorpione s’imbatte in una rana e le dice: ho bisogno di andare sull’altra sponda, mi porteresti di là? La rana si corica sul dorso lo scorpione e inizia a nuotare verso la riva opposta. Quando sono al centro del fiume, lo scorpione punge la rana e le trasmette il suo veleno. La rana inizia ad affondare e spiega allo scorpione: stiamo per morire entrambi, anche tu annegherai, perché mi hai punto pur sapendo che tirerai le cuoia? Lo scorpione risponde: non posso farci niente, me lo impone la mia natura.

Sono come gli scorpioni coloro che predicano l’odio. Sanno che se la baracca Italia cadrà anche loro ci rimetteranno la pelle. Eppure non rinunciano a spargere veleno. Contro tutto e contro tutti. Sino a ieri, il bersaglio preferito era Silvio Berlusconi, oggi è il capo dello Stato. Non è la prima volta che succede. Negli ultimi tempi della presidenza di Francesco Cossiga, eravamo fra il 1991 e il 1992, anch’io ho partecipato sull’Espresso alla battaglia polemica contro di lui. Lo chiamavamo “il Pazzo del Colle”. In seguito me ne sono vergognato. Potevamo finire in tribunale accusati di vilipendio del capo dello Stato. Ma Cossiga si è dimostrato tanto generoso da non mandarci sotto processo.

Erano altri tempi. Tutto si sfogò nell’inchiesta di Mani pulite contro Tangentopoli. Oggi di sfogatoi non ne vedo. Mi ero illuso che, dopo le elezioni regionali, il clima cambiasse. Ma il cielo sereno è una speranza vana. La piccola Italia che partecipa alla battaglia politica si mostra sempre più avvelenata. Gonfia di odio. Nemica di tutti e dunque anche di se se stessa. Vogliosa di guerra, oggi con le parole, domani chissà.
Il forte aumento delle astensioni è dovuto al rifiuto di una politica stravolta dalla cattiveria. Il cittadino senza potere la respinge, la cancella, non vuole più regalarle il voto. Il buon senso e il desiderio di pace spingono molti a essere refrattari a questo andazzo suicida. Un andazzo che è subito ripreso, con la stessa colpevole arroganza di prima.

Anche le riforme istituzionali stanno diventando un nuovo fronte di guerra. Non parlo soltanto dello scontro fra Berlusconi e Gianfranco Fini. Prima o poi, il duello si concluderà con un divorzio, come succede tra coniugi che le nostre madri definivano con una parola unisex: i malmaritati. Parlo di quanto accadrà dopo. La verità è che non verrà fatta nessuna riforma, se non da un vincitore sulla pelle dello sconfitto.

A volte penso che sia impossibile evitarlo. Un amico, pure angosciato quanto me, mi ha consigliato di dare un’occhiata al mondo. Nei paesi poveri la gente muore di fame. Il terrorismo impazza dappertutto. I kamikaze si fanno esplodere persino nel centro di Mosca. L’Iran minaccia di lanciare missili atomici su Israele. Bin Laden, o chi per lui, dichiara che farà scorrere il sangue ai mondiali di calcio in Sudafrica. I fanatici crescono a vista d’occhio. La grande crisi economica non è per niente superata. E soprattutto viviamo in un’epoca di scorpioni. Come possiamo sperare che in Italia vincano le colombe o almeno le placide rane?

Eppure abbiamo il dovere di credere che la moderazione sia sempre una virtù. Ecco un obbligo per i media. A cominciare dalla carta stampata. Ho l’impressione che la cattiveria non li aiuti più a crescere. I lettori stanno calando per tutti i giornali. Vogliamo domandarci il perché? Chi acquista un quotidiano o un settimanale desidera capire come va il mondo e non essere travolto da un diluvio di carognate.
Mi chiedete un esempio? Come ha rilevato ItaliaOggi, dall’inizio del 2009 alla fine del marzo 2010, un illustre settimanale ha stampato ben ventidue copertine contro Berlusconi. L’ultima prima del voto presentava la faccia del Caimano con il titolo “Stop a Silvio”. Eppure quella testata continua a perdere copie su copie. Vorrà dire qualcosa o no?

da il Riformista di lunedì, 12 aprile 2010