domenica 31 luglio 2011

La barzelletta del secolo dell'ex comunista baffino di ferro!!!

D'ALEMA: "BERLUSCONI È
UN PERICOLO PER L'ITALIA"

Domenica 31 Luglio 2011

ROMA - «Tutti dovrebbero capire che Berlusconi porta alla rovina, non soltanto l'economia italiana, ma anche il sistema democratico. Zapatero mostra senso di responsabilità di fronte al destino del suo Paese, capendo che un governo senza consenso non può affrontare la crisi. Berlusconi, invece, non ha il minimo senso dello stato e si occupa solo degli interessi suoi». Per il deputato del Pd Massimo D'Alema, intervistato dall'Unità, il problema del paese non è la casta ma il premier, che per nascondere le sue responsabilità nella crisi «aizza campagne contro la politica in generale e contro di noi in particolare».
Il presidente della fondazione Italianieuropei denuncia «la filosofia illustrata da Giulio Tremonti: non rubo perché non ne ho bisogno. Dunque per combattere la casta e avere una politica pulita dovremmo affidarci ai ricchi». Il punto, spiega, è che «il centrodestra prima boccia in Parlamento le nostre proposte per tagliare costi e privilegi, come il vitalizio. E poi, sui suoi giornali, guida le campagne contro la casta e contro il Pd».
Sul caso Penati, «si tratta di vicende che se venissero confermate anche solo in parte sarebbero molto gravi», ammette D'Alema, che tuttavia evidenzia gli «aspetti poco chiari». «La prima domanda è perché mai, trattandosi di vicende risalenti a molti anni fa, il principale accusatore di Penati non abbia usato quelle informazioni in campagna elettorale, quando si candidò con il centrodestra. La seconda è dove sia finito questo fiume di denaro. Ricordo bene quali fossero le difficoltà economiche del partito milanese all'epoca. Tanto che si dovette vendere la sede di via Volturno».
* 
L'esponente del Pd definisce «ridicola» l'idea del «complotto dalemiano su Tedesco». «Il problema nasce dall'estrema scorrettezza del Pdl, che ha rifiutato di concedere autorizzazione all'arresto e voto palese in aula perché pensava così di crearci un problema. Purtroppo, aveva ragione». Su Vincenzo Morichini, «il mio errore riguarda il fatto di aver lasciato che per un anno raccogliesse fondi per la fondazione Italianieuropei. La sovrapposizione con le attività private di Morichini ha creato un conflitto di interessi che avremmo dovuto evitare, afferma D'Alema. »Questo però non giustifica la campagna inaccettabile scatenata contro di noi in particolare dai giornali che sono direttamente o indirettamente riconducibili al presidente del Consiglio«.
[Fonte
* Su quest'affermazione dell'imprenditore vinaio D'Alema, per la solita questione di ITALIOTA SMEMORATEZZA,  ne scriverò al ritorno dalle ferie.
L'argomento sarà: i debiti ultramiliardari dell'ex PCI sanati "miracolosamente" con l'arrivo in politica del Cavaliere d'Arcore che, come ha dimostrato urbi et orbi per un   ventennio, di politica capisce molto poco per non dire nulla. 

Con questo post chiudo il blog per "ferie estive".
Auguri di buone vacanze anche a voi. 
Vi aspetto a settembre. 

E Napolitano cerca di placare l'odio anticasta al modico prezzo di 68 euro!

 La notizia del giorno è "sensazionale": Napolitano ha deciso di rinunciare all'aumento dello stipendio presidenziale. Un gesto di pura propaganda: il Presidente della Repubblica rinuncia a 68 euro, gli restano al "povero" inquilino del Quirinale all'incirca dodicimila euro mensili.
Alle sue dipendenze ci sono 250 corazzieri e una mandria di 70 cavalli irlandesi, ognuno dei quali guadagna (o meglio, si spende per il suo mantenimento) più del doppio di un impiegato statale di medio livello.
Paese strano il nostro, se un cavallo guadagna il doppio di un essere umano.
Ma in verità anche i 1310 esseri umani che lavorano alle dipendenze del Quirinale non si possono lamentare, godendo di stipendi base maggiorati rispetto agli altri dipendenti pubblici, oltre a beneficiare di indennità di incarico, indennità di guida, indennità di cassa, indennità meccanografica, indennità informatica, indennità di alloggio.
In merito ai risparmi annunciati sulle spese della Presidenza, i 15 milioni previsti arriveranno semplicemente attraverso i pensionamenti: nessun sacrificio, semplicemente i vari Stefano Valbonesi - l'orologiaio che ogni mattina deve ricaricare a mano gli orologi di un tempo di cui il Quirinale è pieno - vanno in pensione. Può darsi che Gaetano Gifuni (è ancora lì dopo 20 anni, oggi segretario generale onorario della Presidenza della Repubblica malgrado il processo che lo vede coinvolto sugli sperperi dei fondi e sulle residenze presidenziali concesse ai parenti) abbia scoperto gli orologi a batteria!

Spider Truman

 

P.S.: sull'attuale presidente della Repubblica v'invito a vedere questo filmato, realizzato dalla TV tedesca Stern il 17/3/2004 e mai trasmesso in Italia dai nostri media, in quanto è molto istruttivo sulla personalità di Napolitano ed il suo rapporto col denaro. 

Così come lo chiarisce molto bene questo articolo di Franco Bechis:

Così il presidente della Casta si gode l'aumento della paga.
Napolitano ha visto crescere lo stipendio di 2.000 euro al mese. 
E il Quirinale è il palazzo presidenziale più caro

l bel gesto (di ridursi lo stipendio, NdB)  non gli è venuto in mente né nel 2007 con Romano Prodi quando arrivò la prima sforbiciata allo stipendio dei deputati, né l'anno scorso quando Camera e Senato tagliarono di mille euro i benefit dei parlamentari. Giorgio Napolitano, il presidente silenzioso della casta, ha preferito starsene zitto zitto e salvare non solo il suo stipendio, ma perfino gli scatti automatici previsti dalla legge.
  Così da quando è stato eletto si è visto aumentare di circa due mila euro al mese il discreto appannaggio ricevuto, che ora ha raggiunto i 239.182 euro all'anno, cifra assai simile allo stipendio lordo di Nicolas Sarkozy (253.600 euro) che però fu raddoppiato tre anni orsono fra mille polemiche.
   I vari governi che si sono succeduti hanno atteso che il primo cittadino d'Italia facesse almeno la mossa, chiedendo pubblicamente se non proprio di tagliare a lui come a tutti i dipendenti pubblici lo stipendio, almeno di rinunciare agli scatti automatici che recuperano l'inflazione. Ma l'attesa è stata vana.
 

L'unica limatura accettata da Napolitano è stata una sforbiciatina alla dotazione del Quirinale: oggi è di 228 milioni di euro, nel 2009 era di 231 milioni. I risparmi sono quasi tutti arrivati però da una rinuncia non clamorosa: la riduzione del personale comandato da altre amministrazioni.  

Eppure se si vuole iniziare a tagliare i costi della politica, bisognerebbe proprio iniziare dal palazzo sul colle più alto di Roma. Perché a tutt'oggi non esiste paragone possibile con altri palazzi presidenziali di Europa: il Quirinale costa più di tutti, palazzi reali compresi. Basta per tutti l'esempio più vicino all'Italia, quello francese. Napolitano e la sua squadra costano il doppio dello staff di Sarkozy e peraltro contano la metà. Non esiste nemmeno paragone fra i poteri che la Costituzione francese e quella italiana assegnano al presidente della Repubblica. 

   Eppure il Quirinale costa 228 milioni di euro all'anno e l'Eliseo 112,5 milioni. Clamorosa la differenza dei costi per il personale dipendente: 129,4 milioni per il Quirinale, e 69,5 milioni per l'Eliseo. 

Perfino nell'acquisto di beni e servizi spendo meno la Francia per fare funzionare un'amministrazione operativa che l'Italia per fare funzionare uno squadrone la cui principale attività è quella cerimoniale.
  Il presidente della casta spende come un emiro arabo e nonostante l'evidente stridore con il resto del paese, è assai geloso della segretezza dei suoi conti. Non esiste un bilancio certificato del Quirinale, non esiste una nota integrativa reale messa disposizione degli italiani, non esiste reale trasparenza di fronte a tanto scialacquare. L'unica comunicazione è contenuta nelle quattro o cinque paginette di sintesi dove in cui il segretario generale del Quirinale ogni anno illustra a grandi linee il suo bilancio. L'ultima volta, quasi a piangere povertà, si è magnificata la riduzione del personale, spiegando come in organico oggi il Quirinale abbia solo 843 dipendenti: 74 appartenenti alla carriera direttiva, 97 alla carriera di concetto, 204 alla carriera esecutiva e 488 alla carriera ausiliaria. Oltre a questi se ne aggiungono altri 103 di fiducia portati al Quirinale come staff personale da Napolitano e con un contratto che scadrà al termine del settennato. Di questi 77 sono in posizione di comando, e 26 collaboratori a contratto. Siamo a 946 dipendenti. E non bastano. Perché chi pensa alla sicurezza del Capo dello Stato? Nessuno di quei 946 è specializzato. Il problema è vissuto anche da Sarkozy, che può disporre di 243 militari specializzati all'Eliseo. La vita di Napolitano deve essere assai più preziosa e complicata da proteggere. Perché il personale “militare e delle forze di polizia distaccato per esigenze di sicurezza” ammonta a 861 unità, compresi i 258 ammiratissimi corazzieri. In tutto fanno 1807 collaboratori, più del doppio del personale dell'Eliseo.
  Della presidenza della Repubblica francese si conosce ogni segreto, del Quirinale poco o nulla. Nessuno stipendio è pubblico, nessun benefit è raccontato nemmeno per sommi capi. Ogni tanto si alza un velo su qualcosa. L'altro anno grazie a Renato Brunetta abbiamo saputo qualcosina del parco auto blu: una Lancia Thesis limousine, tre Maserati, due Lancia Thesis blindate e una Lancia Thesis di riserva., oltre alle 2 Lancia Flaminia 335 del 1961 utilizzate per le sfilate del 2 giugno. Poi ci sono 14 auto (una di proprietà e 13 in leasing) a disposizione dei Presidenti emeriti della Repubblica (Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi), del segretario generale (Donato Marra), del segretario generale onorario (Gateano Gifuni) e dei 10 consiglieri personali del presidente della Repubblica: c'è un'auto a testa senza bisogno nemmeno di fare i turni. Infine 10 auto di servizio. 
  Oltre al parco macchine però non si sa nulla. In Francia invece il bilancio dell’Eliseo finisce nelle mani della Corte dei Conti che gli fa le pulci. Si conosce ogni nota spesa di Sarkozy e dei suoi ospiti e perfino il costo di ogni volo blu e di ogni pasto offerto. Pizzicato sui 14 mila euro di spese personali, ha dovuto restituirli tutti sull'unghia. Ma è un altro modo di concepire la politica e la sua trasparenza.

di Franco Bechis

PP.SS.: Sui costi dell'apparato elefantiaco della nostra presidenza della Repubblica v'invito a leggere quanto ho già scritto in questo post.

sabato 30 luglio 2011

La casta italiana dei politicanti è la più cara dell'Europa e del mondo!!!

Ecco lo studio riservato della Camera sugli stipendi degli onorevoli: super liquidazione e vitalizio alzano il costo del Parlamento oltre la media europea.

Un posto in Parlamento è guardato con invidia non solo da gran parte degli italiani a stipendio fisso ma anche dai colleghi parlamentari europei. Tra indennità, vitalizio, assegno di fine mandato, spese di viaggio e soggiorno, gli inquilini di Camera e Senato ricoprono una posizione di indiscusso privilegio. Una casta a tutti gli effetti. A fare la differenza con i colleghi d'oltralpe non è tanto lo stipendio che è sostanzialmente in linea con francesi, inglesi e tedeschi ma l'assegno a conclusione del mandato e la pensione.
A passare ai raggi X le buste paga dei parlamentari confrontandole con quelle di francesi, inglesi e tedeschi è uno studio riservato del Servizio per le Competenze dei parlamentari della Camera dei deputati datato 31 marzo 2011. Mentre si è aperto il dibattito sulla bozza Calderoli, in un clima di malumore alimentato dalle polemiche legate alla manovra e ai mancati tagli dei costi della politica (fomentati anche dall'azione di Spider Truman e dei suoi «segreti della casta»), il documento della Camera consente di fare i conti in tasca ai nostri politici. 

Ma vediamo il dettaglio.

Indennità parlamentare: 

In termini numerici un deputato italiano guadagna 10.257,84 euro netti al mese. Tale importo è dato dalla somma dell'indennità pari a 5.164, 80 euro (al netto anche delle addizionali regionali e comunali), dei 3.503,11 euro della diaria, 1.331,70 euro per le spese di viaggio, 258,23 euro per le spese telefoniche. L'indennità è fissata in misura non superiore al trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente della Corte di Cassazione. Nel 2006 l'importo dell'indennità è stato ridotto del 10%; inoltre dal 2007 a tale importo non si applica l'adeguamento retributivo previsto per il trattamento economico dei magistrati.
Tale importo è prossimo a quello dei colleghi tedeschi (10.217 euro) ed inferiore a quello dei francesi (11.863,60 euro). Quelli che guadagnano di più sono i parlamentari europei: 13.285,72 euro al mese di cui 6.200,72 per indennità, 2.432 per diaria, 354 per spese di viaggio, 4.299 per spese di segreteria. Infine, i più «poveri» sono i parlamentari inglesi: 8.914,83 euro di cui 4.756 di indennità, 1.922,25 di diaria, 2.236,58 di spese di segreteria.
 
Spese di viaggio:

Queste spese sono rimborsate in tutti i Parlamenti ma con modalità diverse.
In Italia i deputati hanno libera circolazione autostradale, ferroviaria, marittima e aerea sul territorio nazionale. Per i trasferimenti dal luogo di residenza all'aeroporto più vicino e tra Fiumicino e Montecitorio è previsto un rimborso di 1.107,90 euro mensili o di 1.331,70 euro mensili se la distanza è superiore a 100 chilometri. I colleghi francesi hanno solo i treni gratuiti. L'Assemblea nazionale si fa carico ogni anno di 40 viaggi aerei fra collegio e Parigi e di 6 viaggi fuori collegio. Per gli spostamenti dentro Parigi c'è un parco macchine di una ventina di auto da poter utilizzare. Qualora queste fossero tutte occupate si ricorre al taxi con rimborso a piè di lista.
In Germania solo i treni sono gratis. Per i viaggi su aerei nazionali o in vagone letto c'è il rimborso con giustificazione.
In Gran Bretagna sono rimborsati le spese per il trasporto pubblico, i viaggi in treno, aereo, pullman e traghetto ma solo in classe economica. Per i viaggi con mezzi propri è previsto un rimborso forfettario per ogni miglio percorso. C'è un'indennità per i viaggi dei familiari dei parlamentari e in determinate circostanze sono coperte le spese di soggiorno: quando si viaggia e si è lontani dalla propria residenza o da Londra per le funzioni parlamentari, vengono rimborsate le spese per i pasti. Se le sedute si protraggono oltre le ore 23 per i parlamentari fuori di Londra c'è il rimborso dell'albergo.
Per i parlamentari europei c'è il rimborso con documentazione che lo giustifica, delle spese di viaggio sostenute per raggiungere le sedi dei lavori nei giorni di attività. È previsto anche un rimborso di 354 euro mensili (4.243 euro l'anno) per spese di viaggio e alloggio sostenute in occasione di viaggi al di fuori dello Stato membro di elezione e per motivi diversi dalle riunioni ufficiali.

Spese di segreteria e di rappresentanza:

In Italia c'è un rimborso mensile forfettario non soggetto a imposte,pari a 4.190 euro per coprire anche le retribuzioni di eventuali collaboratori. Per il triennio 2011-2013 il rimborso mensile è stato ridotto di 500 euro e quindi è pari a 3.690 euro. Per le spese telefoniche i deputati hanno un rimborso forfettario non soggetto a imposte di 258,23 euro mensili (erogato con scadenza semestrale di 1.549,43 euro). Su questo importo sono addebitate le telefonate effettuate dalle linee dei palazzi della Camera. Per l'uso di sistemi informatici è previsto un rimborso di 2.500 euro per legislatura.
Ai deputati in Francia è erogata un'indennità delle spese di mandato pari a 6.412 euro mensili non imponibili destinati a coprire tutte le spese di mandato non a carico dell'Assemblea e non da essa rimborsate. Per le telefonate non c'è limite alle chiamate effettuate dalle linee delle sedi parlamentari. È previsto anche un pacchetto di 5 linee fisse o mobili e due connessioni internet con un plafond annuale di 5.000 euro. In Germania ogni deputato ha a disposizione un ufficio nei palazzi del Bundestag di 54 metri quadrati per sé e il suo staff. Per l'allestimento di questo ufficio e le spese connesse è previsto un importo annuo massimo di 12.000 euro ma il deputato deve provvedere direttamente all'acquisto del materiale per allestire l'ufficio. In Gran Bretagna hanno un rimborso per le spese di gestione di uno o più uffici nei collegi elettorali. Per il 2010-11 l'importo mensile massimo è di 1.232 euro. A questo si aggiunge un mensile di 1.004 euro per le spese per attrezzature per ufficio, servizi e costi di comunicazione.
Nel Parlamento europeo c'è un'indennità mensile di 4.299 euro per le spese generali. 

Assegno di fine mandato: 

Al termine del mandato parlamentare in Francia e Germania e presso il Parlamento europeo, i deputati possono richiedere un'indennità provvisoria che è utile ad assicurare il reinserimento nella vita professionale. Questo sussidio viene riconosciuto per un massimo di 18 mesi in Germania, 36 mesi in Francia e 24 mesi presso il Parlamento europeo, ed è modulato sull'indennità parlamentare. In Gran Bretagna è previsto un rimborso delle spese connesse al completamento delle funzioni parlamentari entro deu mesi dalla fine del mandato. Vediamo il dettaglio.
In Italia alla fine del mandato al parlamentare viene corrisposto l'80 per cento dell'importo mensile lordo dell'indennità per ogni anno di mandato effettivo. A questo scopo i deputati in carica versano mensilmente al «fondo di solidarietà» una quota del 6,7% dell'indennità lorda. Dopo cinque anni di mandato l'importo che ricevono è di 46.814,56 euro, dopo 15 anni 140.443,68 euro. C'è da sottolineare che i suddetti importi non sono imponibili, ovvero non ci si pagano le tasse.
In Francia, alla fine del mandato, i parlamentari in cerca di occupazione possono chiedere il sussidio di reinserimento lavorativo per tre anni al massimo pari alla differenza tra una percentuale determinata dall'indennità parlamentare e i redditi eventualmente percepiti dal parlamentare. Questa indennità è interamente finanziata dai contributi versati mensilmente (27,57 euro) dai deputati in carica su un Fondo che ha un bilancio autonomo nell'ambito del bilancio dell'Assemblea. Il deputato tedesco dopo 5 anni di mandato percepisce 7.668 euro lordi per 5 mesi e dopo 15 anni di mandato la stessa cifra ma per 15 mesi. A partire dal secondo mese successivo alal fine del mandato, tutte le altre fonti di reddito, anche quelle derivanti da attività private, rientrano nel computo dell'indennità di fine mandato.
In Gran Bretagna si può chiedere un rimborso massimo di 47.071 euro per le spese connesse al completamento delle funzioni parlamentari sostenute entro due mesi dalla fine del mandato.
Al Parlamento europeo, i deputati hanno diritto a un'indennità transitoria pari a un mese dell'indennità parlamentare per ogni anno di mandato per minimo 6 mesi e massimo 24 mesi. Questa indennità è sottoposta all'imposta comunitaria.

di LAURA DELLA PASQUA ESCLUSIVO 

Storiacce italiche di politicanti di sinistra, quelli si autodefiniscono moralmente superiori!

L'ex assessore pugliese, salvato a Palazzo Madama, si sfoga: "Veltroni ha rovinato il partito con la deriva dipietrista. E Penati?"

Addio al Pd, non certo al Senato. Alberto Tedesco, salvato a sorpresa da Palazzo Madama che la scorsa settimana non ha concesso il suo arresto, continua a stupire. Il senatore ha deciso di lasciare definitivamente il partito (era già da tempo passato al gruppo misto), con cui era diventato assessore alla Sanità in Puglia. Una carica per cui è finito inquisito per una brutta storia di appalti e favori. Ma non lascerà il suo seggio. In una intervista alla Stampa, il senatore attacca: "Dal Pd non mi hanno neanche chiamato come si farebbe con una colf che si licenzia, mi hanno chiesto le dimissioni a mezzo stampa". Da qui, il 'dispetto': "Non vedono l'ora che me ne vada, li accontenterò tra qualche ora scrivendo una lettera di dimissioni al segretario". E la Bindi? "Dice che non vuole vedere turbato il partito da un ex socialista, questo la dice lunga sulla cultura garantista della signorina Bindi. Se si è socialisti si è delinquenti per definizione". Perché, aggiunge Tedesco, "non chiedono le dimissioni anche a Penati? A un ex comunista si consente di dimostrare che è innocente...". Il riferimento è quanto mai tempista. Poche ore dopo quell'intervista, Penati ha annunciato l'autosospensione dal partito. Nessuno dei vertici, per l'appunto, si era sognato di chiedergli di farsi da parte. Tedesco, più leggero, parte coi siluri: "Se c'è qualcuno che ha fatto del male al Pd e al Paese col suo rilancio dipietrista è Veltroni", Enrico Letta "non sa scegliere i dirigenti" e "ha portato in Parlamento uno come Boccia che non riesce nemmeno a far eleggere un consigliere comunale nel suo Comune...". Pià che perdere un pezzo, il Pd ha guadagnato un nemico.

Regione Lombardia

Il capo della segreteria si autosospende dopo l'indagine sulle mazzette. "Solo calunnie". 

Resta consigliere: 10mila euro al mese

 

 Doppio passo indietro per Filippo Penati. Dopo essersi autosospeso dalla carica di vicepresidente del consiglio regionale, l'ex sindaco di Sesto San Giovanni indagato per corruzione e tangenti da 2 milioni di euro per l'ex area Falck ha comunicato al segretario del Pd Pier Luigi Bersani la propria autosospensione anche da ogni carica di partito. Penati, che era responsabile della segreteria politica di Bersani, sta anche meditando di trasformare l'autosospensione dalla carica di vicepresidente del consiglio regionale in dimissioni. Penati resta invce ben saldo alla poltrona del consiglio regionale, al Pirellone. Quella che gli garantisce circa 10.500 euro lordi al mese, benefit esclusi. "Ribadisco la mia totale estraneità ai fatti - ha affermato Penati -, ma faccio due passi indietro perché la mia vicenda non crei ulteriori problemi al partito". L'imbarazzo, tra i piani alti democratici, è tanto. Lo testimonia il silenzio ripetuto di Bersani e il fatto che solo Rosy Bindi, da quando è scoppiata l'inchiesta monzese, abbia avuto il coraggio di chiedere al leader del Pd lombardo un passo indietro.

Contrattacco - Con le mani libere, Penati ora si sente in condizione di attaccare: "Sono accusato - ha spiegato in una note - con una montagna di calunnie da due imprenditori inquisiti in altre vicende giudiziarie che cercano così di coprire i loro guai con la giustizia. Non ho mai preso soldi da imprenditori e non sono mai stato tramite di finanziamenti illeciti ai partiti a cui sono stato iscritto. Ora il mio primo obiettivo è quello di recuperare la mia onorabilità, di restituire serenità alla mia famiglia e non voglio che la mia vicenda e la conseguente martellante campagna mediatica creino ulteriori problemi al mio partito". Le accuse nei confronti di Penati sono quelle di concussione, corruzione e finanziamento illecito.

La "pulzella toscana" ex DC ora del PD degli ex comunisti si è fatta la casetta a Roma...

La vera storia della casa di Rosy Bindi

Martedì 2 novembre 2010 a Ballarò mi è capitato di ricordare a Rosy Bindi che della privacy dei politici si fa uso e consumo a seconda delle convenienze. Non deve averne Silvio Berlusconi, ma quando mi è capitato di occuparmi di come proprio Rosy Bindi avesse ottenuto una casa dietro piazza del Popolo dall'Inail nel 2000 comprandosela poi nel 2006 approfittando delle cartolarizzazioni del ministero dell'Economia, mi sono trovato di fronte al muro della privacy. Con fatica ho scoperto poi il prezzo di acquisto- 421 mila euro- che era assai inferiore a quello di mercato dell'epoca (739.810 euro secondo la valutazione di Stima-Cerved). La Bindi si è indignata perché lei non sarebbe accostabile al caso di Claudio Scajola. E in effetti non lo è. Ha fatto di meglio. Perché i politici prima lottizzano l'Inail, poi invece di aderire a un bando come fanno tutti i cittadini, chiedono ai manager lottizzati di trovargli una casetta in centro di Roma a poco prezzo a due passi dalla Camera. E quando è il momento buono l'acquistano anche con un meraviglioso sconto. Naturalmente così passano davanti a chi ne avrebbe più bisogno. Chissenefrega. Per altro la Bindi passò davanti anche a un collega deputato, Vincenzo Zaccheo, oggi finiano. Che se la prese talmente da volere riempire di pugni il manager Inail che aveva favorito la Bindi. Come racconta lo stesso Zaccheo nella telefonata che potete sentire tutti nel file audio video allegato... Buon ascolto.
 
Per il file audio, molto interessante, usate andate alla fonte della notizia in questo blog

Ecco come si autoalimenta la casta dei politicanti italici!

















































E
ra quello che ci voleva nel pieno delle polemiche sui costi della politica. All'unanimità destra e sinistra hanno regalato a luglio all'Italia due authority in più, come non fossero bastate le decine già inventate negli ultimi anni. Con solo 3,2 milioni di euro da dividere per qualche poltroncina di prima fila nasceranno il Garante per l'infanzia e la Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani. Il primo è un organo monocratico,che costerà 1,5 milioni di euro all'anno (circa 200 mila euro lordi lo stipendio del Garante). La seconda autorità costerà 1.735.150 euro. Anche qui il primo diritto umano da difendere sarà quello di ricevere lo stipendio per i tre componenti: il presidente della commissione riceverà 237 mila euro, i due consiglieri si dovranno accontentare di 158 mila euro. Per missioni e consulenze avranno in dotazione 270 mila euro all'anno e per le spese delle riunioni del consiglio resteranno 75 mila euro. Le cifre le ha snocciolate nell'aula di palazzo Madama prima del voto finale sul disegno di legge il senatore Salvatore Valditara (Fli), facendo un appello ai colleghi per non buttare via i soldi in poltrone in un momento così. È restato inascoltato. Lui non ha partecipato alla votazione, ma i suoi colleghi erano entusiasti. Alla fine la nuova autorità è passata con 238 voti favorevoli e nessun contrario. Un plebiscito. Assai simile a quello che ha accompagnato alla Camera il voto finale sul Garante per l'infanzia: 467 favorevoli e 0 contrari. Non accade spesso, ma quando c'è da spendere e creare nuove poltrone inutili, il Parlamento italiano ritrova quel clima bipartisan che servirebbe a migliori occasioni. Si capisce anche perché: ogni nuova autorità o commissione di garanzia creata dalla loro fantasia ben presto si trasforma in una pensione integrativa per deputati e senatori: buona parte degli ex non ricandidati o semplicemente bocciati alle elezioni, finisce ad occupare una di quelle poltrone, quasi sempre ben remunerate. Autorità, commissioni, uffici dei garanti così come i consigli di amministrazione delle società pubbliche pullulano di ex parlamentari a cui si è data così una serena vecchiaia.

 Naturalmente sia il Garante per l'infanzia che la commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani sono necessarissimi e benedetti secondo destra e sinistra che ne hanno votato insieme l'istituzione proprio nelle stesse ore in cui Giulio Tremonti provava invano a sforbiciare un po’ di poltrone e stipendi pubblici. Per difendere con dignità questo dopolavoro parlamentare travestito, si citano pomposamente trattati internazionali. Per il Garante dell'infanzia il riferimento è quello della Convenzione sui diritti del fanciullo sottoscritta a New York nel lontano 1989, negli stessi giorni della caduta del muro di Berlino. Per la commissione sui diritti umani nella discussione in Senato c'è chi ha citato la Dichiarazione universale per i diritti dell'uomo e del cittadino della rivoluzione francese (26 agosto 1789), e comunque il riferimento normativo obbligato è quello della risoluzione ONU sui diritti umani del 20 dicembre 1993. Due autorità dunque necessarissime oggi, quando bisognerebbe ridurre quel che già c'è, e di cui si è fatto tranquillamente a meno per una ventina di anni e anche più.

I nuovi costi si sommano a 135,9 milioni inseriti nella tabella del ministero dell'Economia per finanziare le varie autorità di garanzia. Per fortuna alcune autorità ormai sono autosufficienti o quasi (quella energetica è interamente a carico dei propri vigilati e non prende un centesimo dallo Stato), ma il costo è rilevante. Serviva il nuovo poltronificio? Ai beneficiari naturalmente sì. All'infanzia e a chi vede violati i diritti umani probabilmente no. Sia Garante che commissione sono infatti doppioni, e in qualche caso triploni di organismi pubblici già esistenti. Per l'infanzia si è arrivati a una sorta di federalismo e sussidiarietà al contrario. Ci sono già organismi di garanzia europei, e molte regioni si sono create ad hoc un Garante per l'infanzia a carico del bilancio pubblico. Quello nazionale che sarà in vigore dal prossimo 3 agosto non fa che doppiarne i compiti. In più esistono già numerose organizzazioni private che svolgono lo stesso compito e con cui lo Stato in qualche caso ha pure convenzioni (ad esempio Telefono Azzurro). Nel pubblico c'è già una commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, un Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza presso la presidenza del Consiglio dei ministri, un Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile (alle Pari Opportunità), un comitato per i minori stranieri (a palazzo Chigi), un Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia e l'adolescenza, una commissione per le adozioni internazionali, un Osservatorio nazionale sulla famiglia e un Comitato per l'applicazione del codice media e minori. Non bastavano. Così come per la difesa dei diritti umani sono già sette gli organismi pubblici attivi e decine le Onlus che se ne occupano. Ma quando la casta vuole buttare via i soldi dei cittadini dalla finestra, non bada mai a spese.

di Franco Bechis

Uno dei tanti benefit della casta dei politicanti italici...


Dal blog I segreti della casta pubblico 

un'altra "concessione" in nome del popolo bue italiota di c ui godono i nostri politicanti.  

Un conto corrente in paradiso

Carte di credito GOLD a zero spese, conti correnti a zero spese, tassi di interesse stratosferici.
E' il banco di napoli che vi offre queste condizioni straordinarie, ma solo uno sportello in tutt'Italia, lo sportello ROMA 01.
Benissimo, ora cercate l'indirizzo è recatevi lì.
La filiale si trova in piazza montecitorio.
Ti avvicini all'entrare di un mastodontico palazzo, ci sono due carabinieri e altri vigilantes privati che ti ostruiscono l'accesso. Non puoi entrare nel palazzo, se non conosci nessuno.
Se invece hai una qualche pur minima conoscenza, un commesso, un portaborse, un giornalista, un deputato addirittura, allora il gioco è fatto.
Non è un caso che tutti coloro i quali hanno libero accesso alla Camera dei Deputati, hanno un conto corrente presso quello sportello: chissà come mai!
Si è vero: anch'io ho aperto un conto corrente una decina di anni fà (in allegato le condizioni del conto corrente e della carta di credito) poi sono andato via da Roma e mi son dovuto rivolgere, come ogni comune mortale, all'usura legalizzata delle banche "normali".


Ecco come si amministra la giustizia in Italia: chi sbaglia non paga mai...

LA VERITA' SU WOODCOCK 

Ecco chi è il pm ammazza vip

L’ex sindaco di Campione d’Italia nel 2006 accusato di corruzione dal pm dei vip. "Mi dimisi da innocente, nessuno ha chiesto scusa". E' solo il primo di una serie di persone "rovinate" dal pm Henry John Woodcock che il Giornale racconterà. Am­ministratori e personaggi pubblici vittime delle "inchieste show" del pm napoletano. Storie di carriere e di vite rovinate da un magistrato col vizio del protagonismo. Carcere preventivo come arma di indagine

Il Giornale inizia oggi la serie di interviste ad amministratori e personaggi pubblici vittime delle «inchieste show» del pm napoletano Henry John Woodcock. Storie di carriere e di vite rovinate da un magistrato col vizio del protagonismo.  

LA VERITA' SU WOODCOCK

 

Ecco chi è il pm ammazza vip

L’ex sindaco di Campione d’Italia nel 2006 accusato di corruzione dal pm dei vip. "Mi dimisi da innocente, nessuno ha chiesto scusa". E' solo il primo di una serie di persone "rovinate" dal pm Henry John Woodcock che il Giornale racconterà. Am­ministratori e personaggi pubblici vittime delle "inchieste show" del pm napoletano. Storie di carriere e di vite rovinate da un magistrato col vizio del protagonismo. Carcere preventivo come arma di indagine

Il Giornale inizia oggi la serie di interviste ad am­ministratori e personaggi pubblici vittime delle «inchieste show» del pm napoletano Henry John Woodcock. Storie di carriere e di vite rovinate da un magistrato col vizio del protagonismo.
L’inizio è una sequenza da Scherzi a parte. Roberto Salmoiraghi esce dall’autostrada al casello di Como. Ha appuntamento con un amico, subito dopo una rotonda. Deve raggiungere in fretta il casinò di Campione, quel fazzoletto di terra affacciato sul lago di Lugano di cui è sindaco. È la sera del 16 giugno 2006 e sull’Italia sta per abbattersi l’ennesima tempesta: a scatenarla un pm di Potenza, John Henry Woodcock. Woodcock indaga su un torbido giro di prostitute e corruzione che coinvolge alcuni personaggi eccellenti e fra questi uno ancora più eccellente degli altri, uno che addirittura arriva dai libri di storia, una testa coronata, il principe Vittorio Emanuele di Savoia. «Ricordo che accostai e vidi due poliziotti che evidentemente mi aspettavano. Il tempo discendere e uno mi chiede: “Lei è Roberto Salmoiraghi?” Sì, sono io. “Lei è agli arresti”. Credevo fosse un gioco o qualcosa del genere».

Invece?

«Invece era tutto vero. La situazione era tragicomica. Ero in smoking, mia moglie, seduta accanto a me, era vestita con un abito da sera. Dovevamo partecipare a una cena di gala al casinò, era atteso anche il principe. E quelli a dirmi che ero in arresto».

Di che cosa l’accusava il Pm Woodcock?

«Un attimo. Lì per lì non si capiva niente, ma quando ho realizzato che non era uno scherzo mi sentii male e loro mi misero le manette, come a un delinquente. Una situazione terribile. Io guardavo Lia: “Lia, ma che succede? Sei sempre stata vicino a me, lo sai che non ho fatto niente”. Lei si era attaccata al telefonino, parlava con l’avvocato Massimo Dinoia, il nostro legale, che a sua volta continuava a ripetere: “Ma stai scherzando?”».

Non era uno scherzo. Le contestavano la corruzione e, nientemeno, l’associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione.

«Guardi, voglio essere sincero. Anche adesso, adesso che la mia innocenza è stata riconosciuta, adesso che si è stabilito che sono stato vittima di un clamoroso errore, anche adesso non riesco a dimenticare quei momenti. È stato uno choc troppo grande, uno choc che non si supera, una ferita che non cicatrizza. Woodcock mi ha rovinato la vita».

Torniamo al 16 giugno 2006. Le spiegarono finalmente il capo d’imputazione?

«So che potrà apparirle strano, ma il capo d’imputazione, chiamiamolo così, non l’ho capito nemmeno dopo».

Non le pare di esagerare?

«No, la Procura di Potenza intercettava una serie di personaggi che gravitavano intorno al principe. Uno di questi millantava di conoscermi. Così a colpi di intercettazioni, con il solito sistema del taglia e cuci, si erano fatti un’idea».

Quale?

«Pensavano che io procacciassi delle donne al Savoia e poi, in modo molto confuso, ritenevano che io fossi parte di un business per piazzare delle macchinette per il videopoker nel casinò, con successiva spartizione degli utili».

Ma lei conosceva Vittorio Emanuele?

«Mah. L’avevo visto due volte due, si figuri, perché avevo ricevuto un’onoreficenza di casa Savoia: l’ordine di San Maurizio e Lazzaro».

Insomma, che successe?

«Mi ritrovai in macchina, in mezzo a due poliziotti.
Tutta la notte così, verso Potenza. E intanto la radio non dava requie: “Arrestato Vittorio Emanuele di Savoia, arrestato il sindaco di Campione Roberto Salmoiraghi”. Che incubo. Ma il peggio arrivò dopo».

Perché?

«Perché a Potenza mi misero in una cella piccolissima, in compagnia di ladri e assassini. Un ambiente indecoroso, sporco, vecchio, senza privacy. Così per 15 giorni, senza neanche la possibilità difendermi perché avevano perso le carte, i verbali, e non potevo leggere quel che mi riguardava».

Woodcock?

«Ci fu un lungo interrogatorio. Fui trattato come un delinquente, anche se ero innocente. Di più, non riuscivo nemmeno a raccapezzarmi in quelle carte. Dopo 15 giorni fui spedito, finalmente, agli arresti domiciliari. E qui ci fu un altro episodio tragicomico».

Tragicomico?

«Avevano stabilito i domiciliari a Campione, ma forse non sapevano che Campione è un enclave in territorio svizzero. Alla frontiera mi avrebbero arrestato. Così trovammo un compromesso a Legnano, dove ho un appartamento, ma anche lì fu uno strazio».

Perché?

«Mia mamma, 80 anni, mi salutava dalla strada perché c’era il divieto assoluto di comunicare anche con i parenti. Furono giorni dolorosissimi e intanto il mio mondo franava. Io sono medico chirurgo, avevo 56 anni e dopo una lunga preparazione avevo appena aperto uno studio a Lugano, mentre stavo chiudendo quello di Campione. L’arresto distrusse tutto: fui sospeso dall’ordine dei medici, persi la clientela, alla fine chiusi tutti e due gli studi, il vecchio e il nuovo. Non solo: dopo qualche settimana il prefetto di Como chiese la mia decadenza e allora, non avendo più alternative, mi dimisi da sindaco. Campione tornò al voto e si diede un nuovo primo cittadino, più spostato a sinistra».

Lei dopo quanto tempo ritrovò la libertà?

«Un mese dopo l’arresto. A quel punto Woodcock spedì le carte per competenza a Como e la Procura le lesse attentamente, poi archiviò».

Archiviò?

«Sì, senza nemmeno chiedere il mio rinvio a giudizio. Niente di niente, come era giusto che fosse. Tanto gravi erano le accuse che evaporarono prima ancora di un eventuale processo».

Oggi?

«Ho ripreso la mia attività di chirurgo e sono tornato alla politica: sono capogruppo del Pdl a Campione. Ma non sono più lo stesso e soffro ancora. Woodcock mi ha rovinato la vita, nessuno mi ha chiesto scusa, lo Stato se l’è cavata staccando un assegno da 11.500 euro. L’indennizzo per l’ingiusta detenzione».


L’inizio è una sequenza da Scherzi a parte. Roberto Salmoiraghi esce dall’autostrada al casello di Como. Ha appuntamento con un amico, subito dopo una rotonda. Deve raggiungere in fretta il casinò di Campione, quel fazzoletto di terra affacciato sul lago di Lugano di cui è sindaco. È la sera del 16 giugno 2006 e sull’Italia sta per abbattersi l’ennesima tempesta: a scatenarla un pm di Potenza, John Henry Woodcock. Woodcock indaga su un torbido giro di prostitute e corruzione che coinvolge alcuni personaggi eccellenti e fra questi uno ancora più eccellente degli altri, uno che addirittura arriva dai libri di storia, una testa coronata, il principe Vittorio Emanuele di Savoia. «Ricordo che accostai e vidi due poliziotti che evidentemente mi aspettavano. Il tempo discendere e uno mi chiede: “Lei è Roberto Salmoiraghi?” Sì, sono io. “Lei è agli arresti”. Credevo fosse un gioco o qualcosa del genere».

Invece?

«Invece era tutto vero. La situazione era tragicomica. Ero in smoking, mia moglie, seduta accanto a me, era vestita con un abito da sera. Dovevamo partecipare a una cena di gala al casinò, era atteso anche il principe. E quelli a dirmi che ero in arresto».

Di che cosa l’accusava il Pm Woodcock?

«Un attimo. Lì per lì non si capiva niente, ma quando ho realizzato che non era uno scherzo mi sentii male e loro mi misero le manette, come a un delinquente. Una situazione terribile. Io guardavo Lia: “Lia, ma che succede? Sei sempre stata vicino a me, lo sai che non ho fatto niente”. Lei si era attaccata al telefonino, parlava con l’avvocato Massimo Dinoia, il nostro legale, che a sua volta continuava a ripetere: “Ma stai scherzando?”».

Non era uno scherzo. Le contestavano la corruzione e, nientemeno, l’associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione.

«Guardi, voglio essere sincero. Anche adesso, adesso che la mia innocenza è stata riconosciuta, adesso che si è stabilito che sono stato vittima di un clamoroso errore, anche adesso non riesco a dimenticare quei momenti. È stato uno choc troppo grande, uno choc che non si supera, una ferita che non cicatrizza. Woodcock mi ha rovinato la vita».

Torniamo al 16 giugno 2006. Le spiegarono finalmente il capo d’imputazione?

«So che potrà apparirle strano, ma il capo d’imputazione, chiamiamolo così, non l’ho capito nemmeno dopo».

Non le pare di esagerare?

«No, la Procura di Potenza intercettava una serie di personaggi che gravitavano intorno al principe. Uno di questi millantava di conoscermi. Così a colpi di intercettazioni, con il solito sistema del taglia e cuci, si erano fatti un’idea».

Quale?

«Pensavano che io procacciassi delle donne al Savoia e poi, in modo molto confuso, ritenevano che io fossi parte di un business per piazzare delle macchinette per il videopoker nel casinò, con successiva spartizione degli utili».

Ma lei conosceva Vittorio Emanuele?

«Mah. L’avevo visto due volte due, si figuri, perché avevo ricevuto un’onoreficenza di casa Savoia: l’ordine di San Maurizio e Lazzaro».

Insomma, che successe?

«Mi ritrovai in macchina, in mezzo a due poliziotti.
Tutta la notte così, verso Potenza. E intanto la radio non dava requie: “Arrestato Vittorio Emanuele di Savoia, arrestato il sindaco di Campione Roberto Salmoiraghi”. Che incubo. Ma il peggio arrivò dopo».

Perché?

«Perché a Potenza mi misero in una cella piccolissima, in compagnia di ladri e assassini. Un ambiente indecoroso, sporco, vecchio, senza privacy. Così per 15 giorni, senza neanche la possibilità difendermi perché avevano perso le carte, i verbali, e non potevo leggere quel che mi riguardava».

Woodcock?

«Ci fu un lungo interrogatorio. Fui trattato come un delinquente, anche se ero innocente. Di più, non riuscivo nemmeno a raccapezzarmi in quelle carte. Dopo 15 giorni fui spedito, finalmente, agli arresti domiciliari. E qui ci fu un altro episodio tragicomico».

Tragicomico?

«Avevano stabilito i domiciliari a Campione, ma forse non sapevano che Campione è un enclave in territorio svizzero. Alla frontiera mi avrebbero arrestato. Così trovammo un compromesso a Legnano, dove ho un appartamento, ma anche lì fu uno strazio».

Perché?

«Mia mamma, 80 anni, mi salutava dalla strada perché c’era il divieto assoluto di comunicare anche con i parenti. Furono giorni dolorosissimi e intanto il mio mondo franava. Io sono medico chirurgo, avevo 56 anni e dopo una lunga preparazione avevo appena aperto uno studio a Lugano, mentre stavo chiudendo quello di Campione. L’arresto distrusse tutto: fui sospeso dall’ordine dei medici, persi la clientela, alla fine chiusi tutti e due gli studi, il vecchio e il nuovo. Non solo: dopo qualche settimana il prefetto di Como chiese la mia decadenza e allora, non avendo più alternative, mi dimisi da sindaco. Campione tornò al voto e si diede un nuovo primo cittadino, più spostato a sinistra».

Lei dopo quanto tempo ritrovò la libertà?

«Un mese dopo l’arresto. A quel punto Woodcock spedì le carte per competenza a Como e la Procura le lesse attentamente, poi archiviò».

Archiviò?

«Sì, senza nemmeno chiedere il mio rinvio a giudizio. Niente di niente, come era giusto che fosse. Tanto gravi erano le accuse che evaporarono prima ancora di un eventuale processo».

Oggi?

«Ho ripreso la mia attività di chirurgo e sono tornato alla politica: sono capogruppo del Pdl a Campione. Ma non sono più lo stesso e soffro ancora. Woodcock mi ha rovinato la vita, nessuno mi ha chiesto scusa, lo Stato se l’è cavata staccando un assegno da 11.500 euro. L’indennizzo per l’ingiusta detenzione».

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