sabato 9 aprile 2011

L'ultima della sinistra? La tassa "ad personam"

Dopo la patrimoniale del Pd, ecco la proposta della Cgil: un'imposta dell'1% sulle ricchezze superiori a 800mila euro. E fa l'esempio di Berlusconi e Ferrero.

È molto più di un riflesso condizionato, è qualcosa di innato. L’insana passione della sinistra per le tasse è qualcosa di inscritto nel codice gene­tico di questa parte politica. Non è bastata la riproposizione della patrimoniale in sva­riate versioni il mese scorso: dalla tassa dello 0,1% annuo sui 9mila miliardi di ricchezza degli italiani fino al contributo da 30mila euro per gli italiani più ricchi (copyright Giuliano Amato) passando per un’imposta sulle plusvalenze immo­biliari oscillante tra il 5 e il 20 per cento. Tutto con la benedizione di Uòlter Veltroni.

Anche la Cgil è salita sul car­ro dei «tassatori scortesi» e in vista dello sciopero generale del 6 maggio ha elaborato una proposta monstre: un’imposta sui grandi patrimoni dell’ 1% per le famiglie con ricchezza netta ( la somma del valore di beni mobili e immobili al netto delle passività come mutui e finanziamenti) superiore a 800mila euro.

Lo scopo sembrerebbe nobi­le, celato com’è sotto il titolo di «redistribuzione» e cioè fa­re come Robin Hood toglien­do ai ricchi per dare ai poveri. Ma sempre di un aggravio di imposte si tratta. Anche se nella simulazione elaborata il sindacato di Susanna Camusso cerca di indorare la pillola. La tassa non si rivolge a dipendenti e pensionati che hanno due case di proprietà (magari con un mutuo) e un portafoglio titoli di 100mila euro. Piut­tosto è diretta a «imprenditori e liberi professionisti» che - a prescindere dall’imponibile Irpef - ha due case del valore complessivo di 800mila euro e 100mila euro di titoli. Costoro dovrebbero pagare circa mille euro giacché la soglia di esen­zione è rappresentata da quota 800mila. Il discorso è sempre lo stesso: poiché imprenditori e liberi professionisti sono «evasori per natura» si cerca di stangarli per vie traverse.

L’antipatia per questa clas­se sociale è tale che si citano due esempi a caso della classi­fica italiana di Forbes: il signor F (che sta per Pietro Ferrero e famiglia, primo della lista) e il signor B (Silvio Berlusconi al terzo posto). I loro patrimoni, rispettivamente di 11 e 9 mi­liardi, produrrebbero un getti­to di 100 milioni da Mister Nu­tella e di 80 milioni dal Cav. L’obiettivo è chiaro: colpendo gli ultraricchi si potrebbero ot­tenere circa 18 miliardi di eu­ro all’anno (9,8 miliardi nel­l’ipotesi di un’aliquota ridotta allo 0,55%). Secondo Camus­so & C., liberando le risorse concentrate tra i più facoltosi si può generare ricchezza «spezzando l’alleanza tra pro­fitti e rendite» che danneggia lavoro e investimenti.

Confutare queste tesi neo­marxiste è molto semplice. E non è necessario nemmeno ricorrere al dogma liberista per il quale solo il capitalista può mettere in moto l’economia sia per la maggiore propensione al consumo sia per la naturale abitudine all’investimento, mentre i meno abbienti tendono a «bloccare» le risorse mettendole da parte per i tempi di magra. Per sconfessare la Cgil bastano i numeri e la logica. I numeri dicono che 18 miliardi sono l’1% del nostro debito pubblico e dunque la tassa è insufficiente ad assicurare quella riduzione necessaria alle politiche per lo sviluppo. La logica invece dice che 100 milioni sottratti al signor Ferrero sono 100 milioni in meno da reimpiegare nella crescita dell’azienda. In tal caso avrebbe tutte le ragioni per spostare la «baracca» dal Cuneese a un luogo fiscalmente più vantaggioso, magari varcando le Alpi in direzione Svizzera.

di Gian Maria De Francesco

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