lunedì 7 settembre 2009

Dal Riformista

Nessun commento a quanto scrive Pansa, giornalista che ammiro e stimo e del quale, avendone letto i libri, condivido pienamente il pensiero.

Caso Boffo, schiamazzi e silenzi
di Giampaolo Pansa

È finita male la storia di Dino Boffo come direttore di Avvenire. Male perché questo giornalista importante, e forte di molto potere nel territorio dei vescovi italiani, non ha voluto raccontare la sua verità sulla storiaccia di Terni. Ma così ha reso un pessimo servizio ai propri lettori e soprattutto a se stesso.
©lapresse archivio storico varie anni '90 Dino Boffo nella foto: il giornalista e direttore di Avvenire Dino Boffo
Quando ho visto sull’Avvenire di venerdì 4 settembre la sua sterminata lettera di dimissioni, ho pensato che avrei scoperto lì una spiegazione di quanto era accaduto e della sentenza di condanna ricevuta a Terni. Invece non vi ho trovato quasi nulla. Boffo si è limitato a dire soltanto di «essere incorso in un episodio di sostanziale mancata vigilanza» sull’uso del suo cellulare. Per poi aggiungere: «Se uno sbaglio ho fatto, è stato quello di non aver dato il giusto peso a un reato bagatellare», ossia da nulla.
Tuttavia, nella sua lettera, Boffo ha trovato lo spazio per citare un passo del Bestiario pubblicato il 2 agosto sul Riformista.

Nel descrivere quanto stava accadendo da mesi nei giornali italiani, prevedevo l’inizio di una guerra civile dentro la carta stampata. Dovuta alle nuove e più agguerrite direzioni dei due quotidiani lontani dalla sinistra, il Giornale e Libero. E concludevo dicendo che sarebbe colato «il sangue e anche qualcosa di più immondo».

Dal momento che Boffo mi ha citato, stuzzicando la mia vanità, anch’io voglio citare lui. La sera di domenica 30 agosto, giorno d’uscita di un altro Bestiario dedicato ai moralisti che avevano qualche difetto, il direttore di Avvenire mi ha telefonato. Preciso che entrambi non eravamo abituati a cercarci. Boffo mi ha detto che condivideva il mio articolo dalla prima riga all’ultima. Ma ci teneva a spiegarmi di non essere tra i big che descrivevo: signori importanti che speravano di farla franca se nella loro vita privata c’era qualcosa che non andava.

A quel punto gli dissi che, per il ruolo che ricopriva, aveva il dovere di raccontare la sua verità sulla faccenda delle molestie a sfondo sessuale rivolte alla ragazza di Terni. Erano venute da lui o dal misterioso assistente drogato che utilizzava il suo cellulare? Boffo mi rispose: «Lo farò a tempo debito, quando sarà il momento». Confesso che provai una gran pena. Aveva il tono dell’uomo distrutto e messo alle corde.

Da allora sono arrivati giorni infernali. Boffo è stato costretto a lasciare Avvenire. La guerra civile di carta sta infuriando. Lui avrebbe potuto spegnerla subito, spiegando come si era deciso a pagare l'ammenda per evitare un processo pubblico. Però non l’ha fatto. Forse aspetta ancora il momento adatto. È una sua scelta. Non la condivido, ma la rispetto.

Quello che non voglio rispettare è il frastuono, lo schiamazzo, la cagnara venuti dall’intera casta politica. Lascio perdere il nostro presidente del Consiglio. Silvio Berlusconi sta sbagliando tutte le mosse nei confronti dei media. La querela e la citazione per danni sparate contro Repubblica e l’Unità sono un errore catastrofico. Hanno autorizzato repliche assurde: siamo al fascismo, arriva Hitler, il Cavaliere vuol chiudere i giornali che lo attaccano.

A perdere sarà lui. Basta vedere qualche tigì per rendersi conto di quanto sia stressato, con i nervi a fior di pelle. Nei mesi scorsi gli avevo suggerito due volte di dimettersi, per salvare la propria immagine e la salute. Oggi non lo farò più, anche se continuo a pensarla così.

Ma i partiti di maggioranza e di opposizione non sono guidati da leader a un passo dalla crisi personale. O almeno così sembra. Eppure il loro comportamento è stato indecente, e non sempre rintuzzato dai giornali nel modo giusto. Uno spettacolo grottesco: destra e sinistra unite nella lotta ai maledetti giornalisti che vogliono frugare nei loro armadi, come succede in tutte le democrazie del mondo.

La rabbia che erutta dalla sinistra, nelle sue tante versioni, non mi ha stupito. Gli insulti sputati contro Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro sono gli stessi che avevano sputato contro di me per i miei libri revisionisti sulla guerra civile. Fascista, servo di Berlusconi, bugiardo, diffamatore della Resistenza, venduto in cerca di soldi: mi hanno dipinto così. Pazienza, sono io che ho messo alle strette la nomenklatura di centro-sinistra, rivelando le bugie spacciate per sessant’anni. Adesso il Club dei Nasi Lunghi, fondato da Pinocchio, sta perdendo tifosi e voti. Pace all’anima loro.

Mi hanno sorpreso di più certi ras della destra. Primo fra tutti Gianfranco Fini che ha strillato: basta con il killeraggio dei giornali! Bel tipo, il nostro presidente della Camera. Lo smemorato di Collegno era un dilettante rispetto a lui. Se avessi dovuto interpretare i suoi umori, non avrei scritto una riga dei miei libracci. Raccontare dei morti fascisti lo infastidisce. C’era anche un suo parente? Al diavolo anche il parente.

Per venire all’oggi, Fini ci fa comprendere bene che cosa pretenda l’intera casta partitica. La casta ha difeso a spada tratta il silenzioso Boffo, del quale non gl’importava un fico, soltanto per mandare un messaggio ai giornali: non scrivete di noi, guai se osate mettere il naso nelle nostre faccende.
Purtroppo per loro, non andrà così. Volete sapere quel che avverrà? Feltri tirerà diritto. Lo stesso farà Belpietro. Gli altri giornali dovranno imitarli per non apparire mosci o reticenti, perdendo nuovi lettori. Posso sbagliarmi, però dopo il caso Boffo nulla sarà più come prima. Ma l’equilibrio fra i poteri si realizza anche così.

Fonte: Il Riformista del 7/09/2009