giovedì 22 ottobre 2009

Le frequenti amnesie di D'Alema

Massimo D'Alema, l'unico "ex" comunista che è riuscito ad essere presidente del consiglio italiano, ha spesso frequenti vuoti di memoria che, uniti al suo proverbiale scarcasmo, lo fanno essere diverso dagli altri politici italiani.
Ecco i fatti:




Amnesie di D'Alema e troppi inchini del signor Floris


Massimo D’Alema è antipatico a tutti e forse proprio per questo mi è simpatico, si fa per dire. Gli riconosco cioè una statura politica e intellettuale superiore a quella dei suoi compagni, dal primo all’ultimo, che da quando lui si è defilato si sono sforzati con successo di farlo rimpiangere. D’Alema non avrebbe bisogno di raccontare balle in tivù per dimostrare di essere ancora il numero uno della sinistra; e invece talvolta non resiste alla tentazione di abbassarsi al livello dei nuovi capetti. P accaduto mercoledì sera durante uno dei più odiosi programmi della Terza Rete Rai, Ballarò. Incoraggiato da un deferente Floris, il collaudato leader Pd, nel rispondere a un acconcio intervento del ministro Sacconi, il quale aveva ricordato la matrice violenta della sinistra, il collaudato leader Pd, dicevo, ne ha detta una talmente grossa da lasciare interdetti. E mi sono stupito che nessuno dei presenti, né Alfano (peraltro provveduto) né lo stesso Sacconi, gliel’abbia contestata: l’hanno lasciata passare senza muovere un muscolo del viso. La bufala è questa (riassumo). Il Pci fu tra i principali attori della lotta al terrorismo (negli anni Settanta-Ottanta) al quale pagò un cospicuo tributo di sangue. No, caro D’Alema. Non è così e lei lo sa benissimo perché a quei tempi, per quanto giovane, aveva superato l’età consentita per credere a Cappuccetto Rosso in cammino verso la casa della nonna. L’unico comunista morto ammazzato dalle Brigate rosse e «generi affini» fu Guido Rossa, sindacalista in Genova. Nessun altro esponente, piccolo o grande, cadde sotto il fuoco amico dei combattenti in camicia vermiglia. Un caso? Credere al caso è come credere a Cappuccetto. Probabilmente gli uomini del Pci furono risparmiati dal Partito armato per banali ragioni di parentela che li indussero, fino al delitto Moro, a considerare coloro che impugnavano la P38 compagni che sbagliavano e non un pericolo per lo Stato. Infatti fu solo nel 1978 che il famoso Bottegone si accorse della minaccia e si persuase fosse conveniente far fronte comune con la Democrazia cristiana (e satelliti), istituendo il cosiddetto governo di solidarietà nazionale. Da quel momento i comunisti regolari assunsero una posizione netta contro i pistoleros della stella a cinque punte, dei quali divennero nemici. E in effetti la conversione del Pci coincise con l’inizio della fine del terrorismo ormai privo di sostegni esclusi quelli, deboli, dei gruppuscoli residuali del Movimento. Ma fino al rapimento e uccisione del presidente democristiano, compagni combattenti e sedentari non dico fossero contigui, ma erano in qualche modo legati al medesimo filo rosso. Comunque è un fatto, non un’opinione, che, a parte Guido Rossa (vicenda intricata e torbida), compagno non uccise compagno. E farei notare che le vittime dei rivoluzionari furono un migliaio, calcolando i feriti. È vero, come afferma D’Alema, che in quegli annidi formidabile follia omicida anche i fascisti avevano la cattiva abitudine di premere il grilletto, però le stragi vanno valutate in termini quantitativi, e quelle nere non reggono il confronto con quelle rosse. Già, i morti si contano e non si pesano. D’Alema nel tentativo di quadrare la contabilità ha attribuito piazza Fontana e l’ecatombe della stazione di Bologna alle organizzazioni neofasciste (che pure fanno orrore e ribrezzo), tuttavia egli sarà consapevole che in proposito non vi sono prove, ma solamente congetture. La sensazione insomma è che i comunisti, impossibilitati a rinnegare i loro trascorsi all’insegna della falce e martello, li rivendichino falsandone i contenuti o almeno attenuandone la gravità. La rimozione è una forma difensiva; serve a ripulire la coscienza e aiuta a rendersi presentabili, confonde le idee a molta gente ma non a chi è stato testimone. Appanna, non cancella il passato. D’Alema non deve preoccuparsi. Chi non è vecchietto ha la memoria corta, come Floris. Il signor conduttore lo stima al punto che non lo ha interrotto una sola volta e non ha consentito ad altri di farlo. Sicché l’ex segretario generale del Pds ha potuto parlare a piacimento, mentre tutti gli ospiti sono stati zittiti ripetutamente dallo stesso Floris e dalla dilagante Bindi. La quale, avvalendosi di una voce potente e sonora, oltre che di una educazione approssimativa, ha coperto le parole pacate di Alfano, Sacconi eccetera. Un’ultima osservazione. A Ballarò si è distinto un professore critico del linguaggio politico. Peccato abbia trascurato il lessico più usato dai detrattori di Berlusconi, chic anche quando insultano e dicono magari bugie. Un altro peccato: nessuno ha rammentato con sdegno a D’Alema la sua definizione di Brunetta: mezzo ministro; perché non è alto. Se però il Cavaliere dice alla Bindi: è più bella che intelligente, è uno scandalo di cui discutere ore.


di Vittorio Feltri,   da Il Giornale del 16 ottobre 2009, pag. 1