sabato 12 febbraio 2011

Altro ex comunista DOC condivide quanto scriviamo da sempre sulle intercettazioni!

Calvi: «Una vergogna, non esiste il dovere di pubblicare tutto»

  Guido Calvi. Per il membro del Csm, lo scambio continuo tra pm e giornalisti «nuoce alla formazione della prova». E la divulgazione delle intercettazioni in tempo reale è «una vergogna».

Sulle pagine del Corriere della Sera Luciano Violante ha denunciato il rapporto perverso fra informazione e giustizia, rappresentato dalla pubblicazione indiscriminata di intercettazioni e atti coperti dal segreto istruttorio. Quindi ha esortato tutti a trovare un equilibrio fra riservatezza delle indagini, garanzia della privacy, e diritto dell’opinione pubblica a conoscere. Un intervento, quello dell’ex presidente della Camera, che potrebbe animare a sinistra un dibattito sulle ragioni di un autentico garantismo, rompendo luoghi comuni e pigrizie intellettuali troppo a lungo coltivate. L’ex magistrato non è il primo né l’unico, nel suo schieramento, a porre con forza il valore delle garanzie giuridiche e costituzionali contro la spirale giustizialista in corso dal periodo di Mani Pulite. Il tema appassiona da tempo Guido Calvi, avvocato e per anni parlamentare del Pci dei Ds, oggi consigliere laico del Csm. Calvi individua l’«anomalia» italiana nell’attenzione ossessiva politica e dei media alla fase preliminare dell’attività giudiziaria: un fenomeno che porta la stampa a pubblicare contenuti completamente estranei all’inchiesta, privi di qualunque rilevanza penale e oggettiva, con grave danno per i cittadini e per le stesse indagini.
È in atto un processo di «barbarie giuridica» nella diffusione mediatica di intercettazioni e atti giudiziari?
È bene non usare espressioni esagerate. Il codice di procedura penale del 1989 aveva regolamentato in modo rigoroso le modalità delle intercettazioni. Uno strumento di indagine essenziale per scoprire reati gravi, è stato poi soggetto ad abusi e utilizzazioni distorte da parte di alcuni magistrati. E spesso ha finito per coinvolgere e screditare la privacy di persone completamente estranee alle indagini. Un ulteriore arbitrio è stato poi compiuto da parte dei giornali, che hanno divulgato in maniera abnorme il loro contenuto, violando la dignità e l’immagine di molti cittadini. Non credo affatto che esista un dovere per il giornalista di pubblicare ogni cosa. E, da sostenitore convinto della libertà di stampa, ritengo che chi intercetta e chi divulga debbano avere una solida cultura della giurisdizione.
Quale è la via di uscita dal rapporto perverso fra informazione e giustizia?
Esistono i limiti penali della querela per diffamazione, anche se sono assai deboli per risarcire il danno subito. Ricordo che nel 1996, assieme a Salvatore Senese, presentammo un progetto di legge in materia. Quel testo si basava sull’intangibilità delle intercettazioni e sull’assoluta disciplina nel loro uso. Imponeva la distruzione delle conversazioni estranee alle indagini e il divieto totale di pubblicazione fino al termine della fase istruttoria. Prevedeva poi una responsabilità per il pm e multe severe per i giornalisti, in caso di violazione del segreto. Ma la proposta, che aveva ottenuto un ampio consenso, rimase sulla carta. È questa la grave responsabilità della politica, che dovrebbe anticipare e governare i fenomeni, anziché strepitare quando viene toccato un suo rappresentante, o varare leggi deprecabili come fa l’attuale governo. Mi chiedo perché Silvio Berlusconi non abbia mai trovato il tempo di far approvare un provvedimento civile e garantista su questo tema.
Oggi siamo arrivati alla pubblicazione in tempo reale di sms privi di rilevanza oggettiva.
È questo il punto, la vera vergogna di questo paese. L’attenzione della stampa, e della politica, è tutta imperniata sulle intercettazioni, rispetto al momento cruciale e decisivo che è il processo. La prova di questa deriva è rappresentata dalla vicenda di Calciopoli: dopo il clamore per la diffusione dei colloqui degli indagati, nessuno ha seguito con la dovuta attenzione il dibattimento. E un’altra espressione di inciviltà è costituita dai processi celebrati e anticipati in tv. Pensi agli Stati Uniti, dove il fotografo non può nemmeno entrare in aula, e le udienze sono raffigurate dai disegni. Quella che stiamo vivendo è una stagione infernale, che oltre a violare i diritti del cittadino ha danneggiato anche le stesse indagini, la genuinità della formazione della prova. La quale rischia di essere influenzata proprio dalla simbiosi, dallo scambio reciproco di documenti fra magistrati e giornalisti, che va ben al di là del circuito mediatico-giudiziario di Mani Pulite. Quanto all’inchiesta della Procura milanese, mi domando poi quale fosse l’urgenza di conoscere e pubblicare le carte, visto che i pm hanno chiesto il giudizio immediato.

di Edoarpo Petti, venerdì, 11 febbraio 2011


[Fonte]