venerdì 19 novembre 2010

Da quale pulpito viene la difesa col predicozzo...

Riporto l'incipit della difesa d'ufficio dell'ex tutto, Antonio Di Pietro, in favore del suo ex collega pm Luigi De Magistris per il fatto che quest'ultimo è stato rinviato a giudizio e che, secondo lo statuto del loro partito avrebbe dovuto dimettersi iniziando con lasciare il seggio di deputato europeo.
Ma alla sfacciataggine non c'è alcun limite, purtroppo!
 "Oggi vi parlo di Luigi De Magistris, voglio fare una scelta di campo senza se e senza ma: sto dalla sua parte e da quella di Sonia Alfano. Lo dico con chiarezza a coloro che ci attaccano al di fuori del partito e a quelli che ci contrastano all’interno dell’Italia dei valori, senza capire che proprio in questo momento serve unità e compattezza. Dobbiamo fare come i tre moschettieri: “uno per tutti, tutti per uno”. Luigi è accusato per quello che ha fatto nella sua attività da magistrato, per spirito di vendetta e proprio noi, suoi compagni di partito, dobbiamo fare squadra e non possiamo andargli contro, magari per toglierci qualche sassolino dalla scarpa. Viene preso di mira per aver fatto una mega inchiesta, Why Not, senza produrre risultati. Ma non è assolutamente vero. I risultati non ci sono stati perché gli è stata tolta l’indagine prima che fosse conclusa." 

Di Pietro dimentica, però, che ad accusarlo non è il "nemico" Berlusconi, bensì una Giudice della Repubblica italiana.
I tre moschettieri
Questa l'accusa mossa al suo pupillo: "  Indebitamente rifiutava di compiere un atto del suo ufficio che per ragioni di giustizia doveva essere compiuto senza ritardo e comunque nel termine dei sei mesi fissati dal GIP" .
Quale accusa più grave di questa può essere addebitata ad un pubblico ministero che si vantava e si vanta si essere un  paladino della giustizia?

Questo rinvio a giudizio che per Di Pietro sembra essere stato fatto per ragioni politiche,  fa il paio con la sentenza in cui il giudizio  espresso sull'inchiesta Why not  dal giudice per le indagini preliminari, Abigail Mellace, che in una lunghissima motivazione della sentenza,  ha descritto con queste dure parole l'operato di De Magistris:  "un metodo di indagine profondamente distorto, volto alla ricerca dell'effetto politico e pubblicitario, privo di ogni serietà e professionalità."