venerdì 5 novembre 2010

LA CASSAZIONE TIENE A MOLLO FINI

LA SUPREMA CORTE DÀ RAGIONE AL CODACONS E COSTRINGE ALLA RIAPERTURA L'INCHIESTA SUL BAGNETTO VIETATISSIMO CHE GIAN-ELISABETTO E LA SUA COMPAGNA FECERO NEL 2008 NELLE ACQUE DI GIANNUTRI (COL CORTESE SUPPORTO DEI VIGILI DEL FUOCO) - UN CLASSICO CASO DI “USO PRIVATO DI INCARICO PUBBLICO” CHE FINI TANTO AMA CONTESTARE AL CAINANO…

La Cassazione tiene a mollo Gianfranco Fini, e dai fondali del tribunale di Grosseto fa riemergere l'inchiesta sulle immersioni fuorilegge. Per capire di cosa si stia parlando occorre andare indietro nel tempo: a domenica scorsa e al 26 agosto del 2008. Tre giorni fa il presidente della Camera, infischiandosene del suo ruolo istituzionale, ha criticato la «disinvoltura» e il «malcostume» del presidente del Consiglio «nell'uso privato di incarico pubblico».

Disinvoltura e malcostume che, ad avviso dell'uomo di Montecarlo e delle raccomandazioni Rai, hanno «messo l'Italia in una condizione imbarazzante». Niente a che vedere, ovviamente, con l'imbarazzante condizione che nel 2008 portò lui e la sua compagna Elisabetta, scortati dai pompieri, a immergersi nelle acque vietatissime del parco nazionale dell'isola di Giannutri.
 
Incurante dei divieti noti anche al più profano degli appassionati di diving, il sommozzatore Fini venne beccato e fotografato - come si legge nelle carte dell'inchiesta - «con altre persone a passare da uno yacht all'imbarcazione dei vigili del fuoco, il tutto in un'area marina iper protetta, la costa dei Grottoni, zona uno, vale a dire un'area interdetta a qualsiasi attività che non sia di carattere scientifico».

La gita in barca immortalata dalle sentinelle di Legambiente autorizzò le associazioni ambientaliste a parlare sia di «utilizzo dei parchi naturali come piscine riservate alle alte cariche dello Stato» sia di vigili del fuoco distratti dal loro lavoro per consentire a Gianfranco e ad altre persone «di immergersi nelle acque vietate per fini ludici e vacanzieri in mancanza del nulla-osta dell'EnteParco».

Beccato in flagranza Fini mandò avanti il portavoce: «Non abbiamo alcuna difficoltà a commentare una colpevole leggerezza non conoscendo esattamente i confini dell'area protetta». Una leggerezza. Non conoscevano. Aggiunse, il portavoce, una cosa ovvia: se c'è da pagare una multa questa verrà doverosamente pagata. Così è stato.

Per l'immersione proibita con scorta di pompieri Gianfranco ed Elisabetta sono stati costretti a conciliare 206 euro a testa. Antonio Di Pietro liquidò la figuraccia istituzionale alla sua maniera: «La cosa più grave non è solo quella che (Fini, ndr) ha fatto immersioni in una zona proibita ma che ci stava con una barca dei vigili del fuoco spendendo soldi dello Stato per fare il bagnetto lui e l'amichetta sua. Aver impegnato mezzi dello Stato così è penalmente rilevante o no?».

Il 3 settembre 2008 se lo chiedeva il presidente del Codacons, Giancarlo Rienzi, che ai vigili del fuoco di Grosseto inoltrava formale richiesta affinché pure lui e la sua barchetta ancorata a Tarquinia fossero scortate nella medesima area off limits per tutti, tranne che per Fini: «Avendo saputo che il vostro comando è stato a tal punto disponibile e premuroso da scortare il presidente della Camera alla zona in questione, sono certo che non vi saranno problemi da parte vostra nel voler accompagnare anche me».

Il comandante dei pompieri Francesco Notaro, imbarazzato, rispose a Rienzi che l'autorizzazione ad accedere a Giannutri «non rientra nelle nostre competenze» e che al massimo lo avrebbe potuto ospitare in centrale per mostrargli «la professionalità del personale sommozzatore e le speciali attrezzature a disposizione».

Che Fini non avesse lo straccio di un permesso lo confermò anche Mario Tozzi, presidente del parco nazionale dell'arcipelago toscano («nessuno mi ha chiesto il permesso, lì non ci si può nemmeno fare il bagno, figuriamoci immergersi con le bombole»). Il Codacons decise così di interessare la magistratura, ma sia il pm che il gip chiesero l'archiviazione non ritenendo sussistente e documentata alcuna fattispecie penalmente rilevante.
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La terza sezione della Cassazione, però, il 4 ottobre ha accolto il ricorso del Codacons riconoscendolo «soggetto legittimato» a sollecitare chiarimenti ed ha riaperto il procedimento, accogliendo le rimostranze dell'avvocato Giuseppe Ursini che lamentava come il Codacons non fosse stato sentito dal gip come da procedura. Per questo motivo la corte di Cassazione ha annullato «senza rinvio il decreto impugnato» disponendo «di trasmettere gli atti al pm per l'ulteriore corso».

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