venerdì 12 febbraio 2010

Il sequel story sull'uomo molisano ex tutto continua...3

La svolta di Salerno e i suoi critici
di Antonio Polito


Il nuovo Di Pietro

La svolta di Salerno. Se due giornali agli antipodi come il Riformista e il Fatto ricorrono alla stessa metafora storica (seppur con intenti opposti) per descrivere ciò che accaduto al primo congresso dell'Italia dei valori, vuol dire che la novità è grossa.

La svolta di Salerno, quella vera, naturalmente fu ben altra cosa. Forse cambiò la storia d'Italia e certamente cambiò quella della sinistra italiana. Ma in fin dei conti anche quella servì ad accettare uno status quo (la monarchia), per ottenere uno status futuro (l'ingresso nel governo). Divenne per questo sinonimo di realismo politico e di lungimiranza, di rifiuto dell'estremismo sterile e di una concezione della politica come pura testimonianza.

Che Di Pietro la sua svolta l'abbia pubblicamente sancita accettando il sindaco di Salerno De Luca, due volte rinviato a giudizio, come candidato in Campania, è per noi solo un dettaglio. Ma per Travaglio è la smentita di anni di predicazione intransigente e moralistica. I colleghi del Fatto hanno dovuto constatare, con indignato stupore, che la politica è fatta per vincere, non per vendere libri, e che perfino Di Pietro - che di suo è cinico quanto basta - per vincere è disposto a passare sopra qualsiasi petizione di principio.
Ma il punto cruciale della svolta è in realtà altrove: con quello che ha detto al congresso, con il suo ripudio della piazza per la piazza, con la sua affermazione che «di opposizione si muore, come dice il mio amico Bersani», con la sua scelta per un'alternativa di governo, è nato davvero un nuovo Di Pietro, spendibile per una politica riformista di centrosinistra?

Personalmente, io la penso più o meno come scrive Marco Follini a pagina 6 di questo giornale: Tonino può perdere il pelo, difficilmente il vizio. Come ha scritto il nostro d'Esposito, mentre Di Pietro «svoltava» continuava perfino a parlare come un pm: «Invitiamo il procuratore Bersani a fare un supplemento di indagine in Calabria... ho invitato De Luca a rendere dichiarazioni spontanee al congresso». Di Pietro quello è.

Però Di Pietro fa anche politica, e qualche settimana fa, nel retropalco di «Otto e mezzo» dove eravamo ospiti insieme, mi aveva anticipato le ragioni della sua svolta. «Hai ragione quando dici che con il giustizialismo non si vincono le elezioni. Anche tra i miei elettori la gente mi applaude quando parlo dei processi di Berlusconi, ma poi aggiunge: però c'è il salario, la disoccupazione, la crisi...». L'ex pm l'ha detto con estrema chiarezza dal palco del congresso: «C'è il nostro zoccolo duro, che può andare dal 2 all'8% a seconda del mal di pancia che c'è in giro». Ma più di quello non c'è. Il giustizialismo è una tigre di carta, un sentimento possente e radicato in una minoranza del popolo di opposizione, in grado di grandi performance di piazza o di teatro o di edicola, ma limitato nei numeri elettorali e alla lunga politicamente debilitante.

La novità è che Di Pietro l'ha capito. E a chi chiede - come ha fatto Stefano Ceccanti su questo giornale - che differenza c'è tra l'alleanza elettorale di Veltroni con Di Pietro e quella attuale di Bersani con Di Pietro, la risposta l'ha data Tonino stesso: con Veltroni, era l'ex pm a tirare il Pd verso la sua politica; con Bersani - complici le regionali - è il Pd a tirare Di Pietro verso una politica meno ossessionata dal tema dell'anti-berlusconismo.

Naturalmente, Di Pietro farà di tutto, nei prossimi giorni, per smentire la nostra analisi. Ne sparerà anche di più grosse di prima - ha già cominciato ieri con «il governo para-mafioso». Farà in modo di rassicurare la lobby giustizialista - che già minaccia scissioni in nome di De Magistris - che niente è cambiato, che lui è quello di sempre, un po' come faceva il Pci che esaltava il comunismo ogni volta che doveva fare un passettino verso la Dc. Ma la sostanza è quella: una politica di alternativa muore nel recinto angusto delle aule di giustizia. E la stessa Italia dei valori ha fatto il pieno di quella roba lì, su quella strada di voti al Pd non ne toglie più.

Naturalmente il Pd, che ora può stringere alleanze con Di Pietro con un po' meno di imbarazzo di prima, non può considerare finita la concorrenza a sinistra dell'ex pm. Tutt'altro. Tonino è troppo furbo per non pensare anche alle sue fortune elettorali, mentre dice di pensare al Paese. E sa benissimo che c'è un altro campo libero da arare per togliere davvero voti al Pd, e infatti ha cominciato ad ararlo di gran lena.
Mentre si prende De Luca, e con ciò stesso rinnega un caposaldo del suo giuistizialismo, l'ex pm annuncia un referendum contro il nucleare e un altro contro la privatizzazione dell'acqua, puntando dritto dritto ai voti della sinistra radicale, non a caso uscita scornata dal congresso dell'Idv. Bersani, insomma, non ha da farsi illusioni: in questa veste, l'ex pm - populista d'istinto alla Vendola - può fargli anche più male elettoralmente. Per lui il problema Di Pietro non è svanito. Ma da oggi, almeno, può sperare che abbia cambiato di natura.

Il Riformista, Prima pagina, martedì, 9 febbraio 2010