sabato 27 febbraio 2010

Sul tema PRESCRIZIONE tanto caro alla sinistra italica... ci vuole MEMORIA

Per un ritorno continuo ma spudorato sul tema della prescrizione che riguarda Berlusconi, ri-pubblico delle notizie "vecchie" che le sinistre dimenticano dall'alto della loro millantata, sbandierata e presunta ad ogni piè sospinto, supremazia morale.  

Quando D’Alema intascò un finanziamento illecito per il Pci, confessò, e non venne condannato e arrestato grazie alla prescrizione del reato.

Correva l’anno 1994. Il pubblico ministero pugliese, Alberto Maritati, stava indagando su un finanziamento illecito erogato – tramite assegno – dal patron delle Cliniche Riunite di Bari, Francesco Cavallari, a Massimo D’Alema.

Cavallari, dinanzi al pm, il 9 settembre di quell’anno dichiarò:

“Non nascondo che ho dato un contributo di 20 milioni al partito. D’Alema è venuto a cena a casa mia, e alla fine della cena io spontaneamente mi permisi di dire, poiché eravamo alla campagna elettorale 1985, che volevo dare un contributo al Pci. Quella sera, con D’Alema, eravamo presenti in tre: io, il mio cuoco Sabino Costanzo, e il nostro amministratore Antonio Ricco che era in grande rapporto d’amicizia con lui”.

Nel giugno del 1995, quel processo fu archiviato per decorrenza dei termini di prescrizione, su richiesta dello stesso pm Maritati.

Il gip Concetta Russi, con queste parole dispose l’archiviazione:

“Uno degli episodi di illecito finanziamento riferiti, e cioè la corresponsione di un contributo di 20 milioni in favore del Pci, ha trovato sostanziale conferma, pur nella diversità di alcuni elementi marginali, nella leale dichiarazione dell’onorevole D’Alema, all’epoca dei fatti segretario regionale del Pci. Con riferimento all’episodio riguardante l’illecito finanziamento al Pci, l’onorevole D’Alema non ha escluso che la somma versata dal Cavallari fosse stata proprio dell’importo da quest’ultimo indicato”.

D’Alema, dunque, confessò di aver percepito un finanziamento illecito per il Partito comunista. E tuttavia, non venne condannato e non finì in gattabuia grazie alla prescrizione del reato da lui compiuto.

Va aggiunto, inoltre, che il pubblico ministero di questo processo, Alberto Maritati, fu candidato – per volontà di D’Alema – alle elezioni suppletive del giugno 1999 (si era liberato un seggio senatoriale, dopo la morte di Antonio Lisi). E divenne sottosegretario all’Interno del governo presieduto dallo stesso D’Alema. Ancora oggi, Maritati, siede al Senato nelle fila del Partito democratico.

Dalle mie parti si dice: una parola è poca, e due sono troppe.


Capitolo europeo: 

Massimo D’Alema ha goduto dell’Immunità Parlamentare essendo Parlamentare Europeo e quindi contro di lui il Gip Clementina Forleo non ha potuto procedere per gli stessi Reati per cui sono stati rinviati a giudizio Consorte e gli altri “furbetti” del quartierino. Anche qui stendiamo un velo pietoso sul trattamento riservato alla Forleo, unico Giudice trattato male dal CSM, dalla Sinistra e dall’ANM ma anche questa è la solita storiaccia sinistra dove chi indaga da un parte diventa Ministro o Parlamentare, chi dall’altra viene trasferita e preso per una “pazza e isterica”. 
Lasciamo stare davvero e torniamo a noi.Questi i fatti dicevamo,adesso immaginatevi che D’Alema fosse invischiato in Processi per Corruzione,Illecito Finanziamento e tutte queste belle cose con centinaia di Intercettazioni telefoniche imbarazzanti che lo riguardano pubblicate dai giornali italiani le quali sono rimaste nei cassetti delle Procure appunto perché grazie all'Immunità Parlamentare contro il nostro non si poteva procedere. Avrebbe avuto la stessa “autorevolezza” (peraltro molto relativa) vantata dalla nostra sinistretta a fare il Candidato a Ministro degli Esteri UE? Sarebbe stato preso in considerazione un politico indagato per reati gravissimi (per i quali i suoi co-indagati sono stati condannati)? 
Noi chiediamo alla Sinistra di ragionare prima di vomitare le solite accuse ma siamo consapevoli del fatto che i suoi militanti faranno il gioco delle tre scimmiette anche stavolta.Quindi alla Maggioranza, come sempre,non resta che andare avanti da sola e con rapidità verso una Riforma della Giustizia e verso la reintroduzione dell'Immunità Parlamentare senza dare ascolto agli ipocriti di maniera come D’Alema,Di Pietro e Palamara…


1- In tema di etica, morale e scuse partitiche... 

L'appartamento romano di baffino.

Nel 1995 D'Alema rimase coinvolto in Affittopoli, uno scandalo scoperto da Il Giornale: enti pubblici davano in locazione a VIP appartamenti a prezzi agevolati. Dopo una dura campagna mediatica D'Alema lasciò l'appartamento per comprare casa a Roma, ma solo dopo essersi presentato alla trasmissione di Rai 3 condotta da Santoro, dal titolo Samarcanda, in cui ha giustificato la cosa affermando che aveva bisogno della casa degli enti perché versava metà del suo stipendio di parlamentare al partito (all'epoca consistente in circa 12 milioni di Lire al mese).

IL J’ACCUSE DI TRAVAGLIO. Il giornalista Marco Travaglio, non sospetto di pregiudizi verso la sinistra, su Micromega del maggio 2006, rispose così alla domanda se fosse da preferirsi come presidente della Repubblica Amato, D’Alema o Marini. “Vorrei aggiungere qualche concreto elemento fattuale – affermò - che dovrebbe caldamente sconsigliare l’ascesa al Colle più alto di Massimo D’Alema. Il presidente Ds si è salvato per prescrizione in un processo relativo a un finanziamento illecito di 20 milioni di lire ricevuto a metà degli anni 80 da un imprenditore barese colluso con la Sacra Corona Unita, il re delle cliniche pugliesi Francesco Cavallari, che poi ha patteggiato una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa (…) D’Alema confessò di aver ricevuto denaro in nero da quel soggetto al termine di una cena nella di lui casa, senza registrarlo fra i contributi elettorali come prevedeva (e prevede) la legge. Insomma – è la conclusione di Travaglio -, confessò di aver commesso un reato. Può il responsabile accertato di un reato penale aspirare a diventare capo dello Stato e, soprattutto, presidente del Consiglio superiore della magistratura?”. Insomma, Veltroni farebbe bene a guardare in casa sua.

[Fonte
 

2 - In tema di etica, morale e scuse partitiche...  

Caro Walter, che mi dici della Tangente Enimont?

“Caro Walter, accolgo l’invito che ci aveva rivolto Paolo Flores d’Arcais, per aggiungere un post scriptum di “aggiornamento” al nostro dialogo. Come ti avevo accennato, negli ultimi giorni sono venuto a conoscenza di particolari inquietanti e, a questo punto, inequivocabili che confermano ciò che andavo sostenendo da tempo: che, cioè soggetti vicini ai vertici del tuo partito hanno partecipato attivamente a spargere veleni contro di me, con la conseguenza volontaria o no – di delegittimare, e quindi bloccare l’inchiesta di Mani Pulite proprio mentre stava raggiungendo il Potere a livelli vertiginosi”.

“Mi riferisco ai retroscena della pubblicazione del famigerato dossier comparso sul Sabato, il settimanale di Comunione e Liberazione, nell’estate del 1993. In quel periodo, ricordo, Primo Greganti era appena uscito dal carcere e il pool di Milano si stava occupando della maxitangente Enimont, di cui un bel pezzo (il famoso miliardo di Gardini) finì a una misteriosa entità di Botteghe Oscure. Proprio allora uscì il dossier (…). Chi abbia materialmente raccolto e incollato insieme quegli elementi non l’ho ancora scoperto. Ma a questo punto ha poca importanza. Quello che finalmente ora so, dalle testimonianze dirette di due protagonisti di primo piano di quella vicenda, è come quel pacchetto già confezionato e infiocchettato arrivò alla redazione del Sabato“.

“E chi ne pretese la pubblicazione e perché. Me l’hanno rivelato, proprio in questi ultimi giorni, due personaggi del calibro di don Giacomo Tantardini e Marco Bucarelli, leader incontrastati – allora e oggi – di Comunione e Liberazione a Roma”

“Uno scoop che sia Tantardini che Bucarelli escludono sia stato realizzato dalla redazione del settimanale, o comunque con l’intevento del giornale (…). Durante un nuovo incontro, Marchini fa chiaramente intendere a don Giacomo che è D’Alema che pretende la pubblicazione del dossier. D’Alema gli avrebbe dato un imput ben preciso, se non si pubblica il dossier viene meno l’interesse politico all’operazione”.

“(…) Il racconto di Bucarelli e Tantardini, caro Walter finisce qui. La morale te la risparmio. Ma mi piacerebbe tanto sapere cosa successe dalle tue parti in quel periodo e soprattuto che fine ha fatto quel miliardo portato da Raoul Gardini a Botteghe Oscure. Come sai, noi magistrati non potemmo più andare avanti a causa della sentenza di prescrizione nel frattempo intervenuta, e perché nessuno a Botteghe Oscure ricorda a quale piano salì e a quale porta bussò, quel giorno Gardini“.

Con immutato affetto (almeno nei tuoi confronti)

Antonio Di Pietro.