giovedì 9 settembre 2010

L'ultimo valzer di Fini

Come sempre riporto quanto scrive Giampaolo Pansa:

L'ultimo valzer di Fini
 
La storia che si conclude questa sera a Mirabello (due sere fa per chi legge, NdB) è vecchia quanto il mondo. È quella dei due galli nello stesso pollaio: non possono convivere e sono condannati a combattersi. Quando nasce il Pdl, sembra esserci un gallo solo: Silvio Berlusconi. Lui si ritiene il padrone assoluto del pollaio, ma non è così. Al suo fianco c’è un altro gallo, Gianfranco Fini. È molto più giovane, di ben diciotto anni. Inoltre è ambizioso, vuole fare carriera e prendere il comando delle galline. Succede sempre in politica. E fin qui la storia non presenta nulla di eccezionale.

La faccenda inizia a complicarsi quando il gallo giovane decide di fare le scarpe al più anziano. Fini comincia ad alzare la cresta e dà il via a un’incessante guerriglia interna, picchiando duro tutti i giorni. Sulle prime Silvio sopporta perché ritiene di essere il più forte. Ma le circostanze esterne, a cominciare dalle crisi dei pollai di paesi vicini, giocano contro di lui. La sua autorità si incrina. Il governo è nei guai. E sull’orizzonte si staglia un incubo: perdere il controllo del pollaio e, di conseguenza, il controllo della maggioranza in Parlamento.

A quel punto accade l’inevitabile. Il gallo ribelle viene espulso dal pollaio, con qualcuno dei suoi gallinacci. La storia potrebbe finire lì, ma c’è un intoppo insuperabile. Il gallo Fini è anche il presidente della Camera e non esiste niente e nessuno che possa privarlo di quel potere. Per questo motivo, la guerra dei due galli si estende all’esterno del pollaio. E diventa al calor bianco quando il gallo messo fuori decide di costituire due nuovi gruppi parlamentari alla Camera e al Senato, che obbediranno soltanto a lui.

Oggi, domenica 5 settembre, la storia arriva a una nuova svolta, forse cruciale. Come avvenne tanti secoli fa a un signore che si chiamava Giulio Cesare, anche Fini si trova di fronte al suo Rubicone. Non l’ha per niente varcato, come invece sostiene Alessandro Campi, il più acuto tra i consiglieri del presidente della Camera. Deve oltrepassarlo, ossia fondare un nuovo partito concorrente del Pdl, o deve aspettare ancora? La maggior parte degli indovini che scrivono sui giornali, sostengono che in quel di Mirabello, un comune in provincia di Ferrara, il gallo ribelle non annuncerà la nascita di una sua parrocchia politica. Si limiterà a spiegare, con più chiarezza del solito, quale nuova destra intende creare e per quali obiettivi.

Andrà davvero così? Confesso di non saperlo. L’unica cosa che credo di sapere è la seguente: questa sera a Mirabello si concluderà la carriera di Fini come leader. Ha due strade davanti a sé, entrambe molto insidiose per lui. La prima è di non fare nessuna mossa definitiva. Il suo giro più stretto sostiene che il partito nascerà soltanto “fra molti mesi”. Nel frattempo, Fini resterà nella trincea odierna. Seduto al vertice di Montecitorio, una poltronissima che non ha alcuna intenzione di lasciare. Circondato e protetto da un piccolo gruppo di fedelissimi in grado di continuare all’infinito la guerriglia contro Berlusconi.

La seconda strada è di fondare il tanto annunciato partito nuovo, con tutti i rischi connessi. Ne elenco alcuni. Una parrocchia politica fatalmente molto piccola. Una struttura organizzativa da inventare. Una ricerca di alleati per niente facile, al di là delle promesse di qualche esponente del Partito democratico. Una strategia complicata da attuare, nello schema bipolare ancora dominante in Italia. Un futuro politico, anche personale, tutto da costruire.

Sarà proprio quest’ultimo il problema dei problemi. A mio parere, Fini è ormai un politico senza futuro, anche se la sua nuova insegna, Futuro e libertà, suggerisce il contrario. Non guiderà mai più un governo di centrodestra, perché in quell’area elettorale verrà sempre ritenuto uno sporco traditore. E nel centrosinistra, un approdo obbligato, sarà appena uno dei tanti partner della Grande Ammucchiata Anticavaliere. Però non il Numero Uno. Insomma, per dirla in soldoni, come leader Fini è arrivato all’ultimo valzer.

Infine, a rendere accidentato il nuovo percorso di Fini rimane la questione della casa di Montecarlo. Venerdì, in un talk show della 7, Italo Bocchino, capo di uno dei pensatoi finiani, Generazione Italia, ha sostenuto con granitica sicurezza che il suo gruppo «non ha nessun nervo scoperto». E attende con tranquillità l’inchiesta giudiziaria su quel maledetto appartamento. Ma come i politici fanno spesso, il pasdaran Bocchino ha dimenticato l’origine del terribile pasticcio.

Questa origine è molto chiara. La casa in ballo era un bene di An, ricevuto in eredità. Su diretto incarico di Fini, il tesoriere del partito l’ha venduta a un prezzo stracciato, e non a un privato cittadino o a una società immobiliare, come sarebbe stato normale. No, l’ha ceduta a una società off-shore collocata in un paradiso fiscale, nei Caraibi. Questa l’ha ceduta a un’altra società dello stesso tipo, anch’essa al riparo dal fisco. Che l’ha poi data in affitto al cognato di Fini, Giancarlo Tulliani.

Più di un quotidiano, a cominciare dal Giornale e da Libero, hanno chiesto e chiedono a Fini di spiegare questo percorso anomalo. L’ha domandato persino Repubblica, testata mai ostile verso gli avversari di Berlusconi. Ma Fini non ha mai risposto. Lo farà stasera a Mirabello? Mi piacerebbe, però penso che non lo farà. Mia nonna Caterina diceva: se hai la rogna, non grattarti e spera che ti passi. Chissà se la nonna di Fini ha dato al nipote il medesimo consiglio.

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