martedì 21 settembre 2010

Se ne accorgono adesso che l'ex tutto Di Pietro predica bene e razzola malissimo.

Riporto quanto pubblicato dalla stampa nazionale sulla fuoruscita dal partito IDV dell'ex tutto Antonio Di Pietro di due suoi parlamentari europei.



Pino Arlacchi il 5 settembre ha fragorosamente annunciato la sua autosospensione dal partito: una decisione, ha spiegato l'eurodeputato dell'Italia dei valori, assunta in diretta polemica contro Antonio Di Pietro e contro "la sua deriva estremista"

L'addio non è rimasto isolato: l'indomani Vincenzo Iovine, un altro parlamentare europeo dell'Idv, ha lasciato il partito denunciando "autoritarismo e assenza ri regole democratiche" al suo interno. Per Iovine il motivo scatenante ha la faccia di un terzo deputato eletto con l'Idv: "Qui a Caserta" ha sostenuto Iovine "il partito è tutto nelle mani dell'onorevole Americo Porfidia, inquisito per fatti di camorra. Antonio di Pietro non può sempre predicare bene e razzolare male". 

Anche per Arlacchi il motivo dell'uscita dal partito, in qualche modo, ha avuto a che fare con un'accusa di mafiosità. Quel motivo è arrivato il 4 settembre, con l'appoggio offerto dall'Idv ai contestatori che avevano cercato di zittire Schifani, invitato a parlare alla festa nazionale del Pd. "Vattene mafioso" gridavano i facinorosi al presidente del Senato, e subito Di Pietro proclamava: "Noi siamo con loro". 
Polemicamente,  Arlacchi  ha dichiarato: "Ai contestatori suggerisco di leggere meno atti giudiziari e più libri. Tonino non capisce che inseguire Beppe Grillo sulla strada dell'estremismo non paga". Assennatamente, ha aggiunto: " Non mi piace questa antimafia intollerante e demagogica, direi primitiva". Ed ha concluso: "Un merito del movimento antimafia italiano è quello di avere sempre rifiutato ogni forma di protesta violenta e incivile; mai nessuna concessione alla violenza, né fisica né verbale".
In realtà, non sempre è stato così. Nel dicembre 1993, in un'intervista e in due articoli pubblicati sulla Repubblica, proprio Arlacchi pronunciò e scrisse parole di fuoco contro Leonardo Sciascia, probabilmente reo ai suoi occhi di avere acceso anni prima la storica (e meritoria) polemica sui "professionisti dell'antimafia": magistrati e intellettuali (soprattutto "progressisti") che facevano veloce carriera solo in virtù del ruolo che ricoprivano.
Arlacchi, che sul suo sito web si descrive come "uno studioso e un uomo pubblico che ha dedicato la sua vita alla lotta per la giustizia", in quel 1993 attaccò Sciascia con violenza inaudita.
Lo aggredì usando parole come pietre.
Accusò i suoi libri di contenere "segni di qualunquismo e codardia civile".
Arrivò a esprimere perfino il "dubbio sulla consistenza e sulla qualità dell'impegno antimafia di Sciascia".
Il titolo dell'articolo? "Stregato dalla mafia".
E a esserne soggiogato sarebbe stato (assurdamente) il grande scrittore di Racalmuto.
Rispetto alla querelle sugli squadristi dipietreschi che oggi gridano a Schifani, c'è una sola differenza: 17 anni fa, contro Arlacchi, Sciascia non poteva nemmeno difendersi. Era morto nel 1989.

di Maurizio Tortorella, Panorama 16/09/2010 pag. 45