domenica 19 settembre 2010

Milano, la lotteria della pena: invece di 5 anni finisce all'ergastolo

Continuo questa piccola saga dedicata alla gIUSTIZIA italiana.

Va bene che la giustizia è bendata, almeno per come la si rappresenta da quando nel 1494 un'incisione simile illustra un poema di Brant, ma così è un po' troppo: processato come «palo» di un omicidio in una guerra tra bande giovanili, l'imputato 19enne esce da un giudice che boccia il patteggiamento a 5 anni appena accordatogli dal pm, ed entra da un altro giudice che lo condanna invece all'ergastolo su richiesta di un altro pm della stessa Procura. Da 5 anni al carcere a vita: e per lo stesso fatto per il quale agli autori materiali erano stati inflitti 18 anni. Già capo della banda di Latin King denominata New York, David Betancourt Noboa, «reo» il 13 maggio 2009 di aver lanciato in un'intervista a Sky (guarda il video) un appello a cessare la spirale di vendette tra gang, viene accoltellato dai rivali Chicago alle 5 del mattino del 7 giugno all'uscita dalla discoteca «Thini Cafè» a Milano, quando dopo 20 minuti di appostamento gli aggressori gli piantano nella schiena 16 centimetri di lama di un coltello e lo prendono a calci mentre è già a terra rantolante.

Arrestati anche per il ferimento di due rivali, davanti alla giudice Micaela Curami gli imputati chiedono tutti il rito abbreviato tranne il «palo» Adrian Tubetano Pesantes, che dal pm Mario Venditti si vede prestare il consenso a un patteggiamento 5 anni per aberratio delicti, cioè per un omicidio colposo in cui un errore nell'uso dei mezzi d'esecuzione del reato abbia prodotto un evento diverso da quello voluto. Ma il sì del pm non basta, perché la giudice Curami non trova sostenibile la qualificazione giuridica e l'entità della pena, e respinge il patteggiamento: divenuta così incompatibile per legge a giudicare il «palo», prosegue il processo agli autori materiali che condanna a 28 anni e 3 mesi, ridotti a 18 anni e 6 mesi dallo sconto di un terzo dovuto al rito abbreviato, più 100mila euro di risarcimento ai familiari della vittima assistiti dai legali Donata Coluzzi e Daniela Figini.

La «vedetta» viene dunque giudicata da un altro giudice, Andrea Salemme, in un'altra udienza nella quale la Procura è rappresentata da un altro pm, Maurizio Ascione. E qui cambia tutto, perché il nuovo pm propone e il nuovo giudice ravvisa due elementi in più e uno in meno: in più due aggravanti come la premeditazione e il movente futile e abbietto (che la giudice degli altri coimputati non aveva ritenuto configurabili), in meno le attenuanti generiche negate all'imputato (e concesse invece dall'altra giudice a taluni coimputati). Il risultato nell'algebra giuridica è la pena non dell'ergastolo, che lo sconto del rito abbreviato abbasserebbe a 30 anni, ma dell'ergastolo con isolamento, che la riduzione del rito può abbassare solo in ergastolo semplice. In Appello, dove il difensore Veronica Raimondo ora chiede siano riuniti i due processi, si ridiscuterà della premeditazione, che per la prima giudice non c'era perché incompatibile con il concorso in un omicidio a dolo eventuale (cioè con l'accettazione del rischio che nell'aggressione ci scappasse il morto); e che invece c'era per il secondo giudice in virtù del «persistere del programma criminoso» dalla sera precedente fino alle 5 del mattino, con provvista di coltelli e bastoni, appostamento di 20 minuti e aggressione alle spalle di ragazzi in fuga. Allo stesso modo l'Appello dovrà esprimersi sui motivi futili e abbietti del delitto, che il secondo giudice individua nell'«unica regola di reagire alla violenza per la violenza, gratuita manifestazione della capacità di ledere l'altrui integrità fisica», e che la prima giudice riteneva invece dovessero essere contestualizzati (e esclusi nel caso specifico) nei «fattori ambientali, connotazioni culturali e contesto sociale che possono aver condizionato la condotta criminosa». E se la diversità di valutazione tra giudici può essere fisiologica qualora in entrambi i casi adeguatamente motivata, colpisce soprattutto la forbice della difformità di richieste da parte di pm appartenenti al medesimo ufficio di Procura. «Giusta» o meno si vedrà, ma un po' troppo «bendata».