venerdì 16 luglio 2010

A volte fare gli smemorati di Collegno può non riuscire bene. Qualcuno con la memoria lunga c'è sempre!

Ultima puntata sulla storia sul finiano Italo Bocchino che pare abbia una memoria fantasticamente corta, se non inesistente, quando si tratta di ricordare i suoi trascorsi.
Gian Marco Chiocci, con questo attualissimo articolo, gli fa da segretario menmonico ricordando anche a tutti noi quando l'amico di Fini era lui ad essere  sotto tiro.
Buona lettura.

I VERBALI IMBARAZZANTI CHE BOCCHINO NON LEGGE 

Rapporti imbarazzanti, in chieste politicamente a rischio, intercettazioni scivolo se. E gli immancabili «comitati d'affari». No, non parliamo di Denis Verdini indagato per associazionismo segreto. Parliamo di Italo Bocchino, ex garantista, novello giustizialista di quello stesso coordinatore del Pdl che insieme a tutto il parti o l'ha sempre difeso allorché è stato Italo a finire nei guai con l'emergere di certi rapporti imbarazzanti, in inchieste politicamente a rischio, per intercettazioni altrettanto scivo­lose, su immancabili «comitati d'affari». Del tipo di quello raccontato nell'inchiesta napoletana sui grandi appalti per la gestione del patrimonio immobiliare (noto come Global service, legato al suicidio dell'assessore Nugnes) poi finita nel nulla per decisione del Gup.
Quando scoppiò il casino e Italo venne indagato per associazione per delinquere e concorso in turbativa d'asta (con allegata richiesta d’arre sto), il Nostro definì la vicenda «kafkiana». Al contrario di quanto fa oggi per Verdini, non chiese le dimissioni per se stesso, non preannunciò intercettazioni esplosive che effettivamente uscirono sul suo conto allorché si apprese che dava del tu al principale indagato (poi condannato insieme al provveditore Mautone) a caccia di appoggi politici per i suoi affari. «Quindi, poi, ormai siamo una cosa consolidata, un sodalizio, una cosa solida, una fusione dei due gruppi» recita la celebre intercettazione fra l'imprenditore e il deputato, successiva al ritiro di emendamenti proposti dal gruppo consiliare di An durante la discussione in consiglio comunale della delibera sul «Global service ».
Una decina le chiamate agli atti dell'indagine. Precedentemente, il 18 marzo 2007, Bocchino si metteva a disposizione di Romeo. Lo rassicura va riguardo il suo intervento sui consiglieri comunali allo scopo di «indirizzare» bene il loro operato: «Non ti preoccupare perché domani sera c'è una riunione con tutti a cui viene spiegato qual è la tesi da sostenere (...). Stai tranquillo». Dello stesso tenore altre chiacchierate in tema, tant'è che poi i Pm sostengono l'esistenza di una «struttura organizzata unitaria» in «un'ottica di contiguità, stabile comunanza e reciprocità di interessi che lega tra loro molti degli indagati », come comproverebbe la soddisfazione di Bocchino per il ritiro degli emendamenti che infastidivano Romeo. Intercettazioni scomode con riferimento ai rapporti fra Romeo, un magistrato di Napoli che fu l'estensore di una precedente sentenza favorevole allo stesso Romeo, e Bocchino «al punto che questo giudice - scrive va il Gip- era ammesso a parte ci pare a pranzi e incontri riservati in cui l'imprenditore e il deputato dovevano trattare di delicati affari di natura economica ». In altre telefonate Romeo e Bocchino parlano poi di un nuovo progetto imprenditoriale: un hotel. Il 28 marzo 2008, osserva il Pm, «gli interlocutori discutono se affidare il ristorante allo chef Gennaro Esposito e concordano un sopralluogo del cuoco». Grandi amici, altro che grandi appalti. E Bocchino se la cava, anche grazie al partito che gli fa quadrato intorno. Il Nostro restò in sella anche quando incauta ment e se la prese con il sottosegretario all'Economia, Nicola Cosentino, colpito da un'ordinanza d'arresto in relazione al l’affaire camorra-rifiuti. La figuraccia fu doppia perché dal la lettura delle intercettazioni e degli interrogatori allegati al l'atto d'accusa, emergevano le rivelazioni dell'imprenditore pentito Gaetano Vassallo, per sua stessa ammissione legato alla sanguinaria cosca del casa lese Francesco Bidognetti, che lo tiravano pesantemente in ballo. A proposito del presunto sostegno elettorale dato dai clan a Cosentino, il pentito aggiunse a verbale quanto a lui riferito da uno degli esponenti di spicco della famiglia casale se: «Tornando alla riunione in cui venne arrestato Raffaele Bidognetti ricordo si fecero i nomi anche di alcuni politici na­zionali. In particolare Raffaele Bidognetti, alla mia presenza e alla presenza di Antonio Di Tella, riferì che Italo Bocchino » e altri politici di centrodestra «facevano parte del nostro tessuto camorristico». Anche in quel caso Bocchino proclamò la sua estraneità ai fatti, e il partito non lo abbandonò nemmeno quella volta. Così come nessuno, a cominciare da quel galantuomo di presidente della commissione d'inchiesta su Telekom Serbia che è Enzo Trantino, volle infierire su quel che scoprì il radicale Giulio Manfredi, poi riscontrato nell'inchiesta della Procura di Torino a pagina 30 della sen­tenza. E cioè che una parte dei proventi dell'intermediazione riguardante l’affaire col regime di Belgrado finirono nel la disponibilità di Bocchino, che poi era anche membro del la stessa commissione d'inchiesta.
«Ciò che costituisce una singolare emergenza messa in luce dalle indagini- si legge nelle motivazioni - riguarda la destinazione di una parte delle risorse di Vitali (uno dei due “facilitatori”dell'affare Te­lekom Serbia, ndr ) a loro volta, come è stato reiteratamente chiarito, proventi dell'affare Telekom Serbia. In effetti Bassini (Loris, titolare di una finanziaria di San Marino, la Fin Broker a cui Vitali aveva affidato la gestione di 22 miliardi di lire, ndr ) erogò nel corso del 2001 1,8 miliardi di lire a una società, Goodtime Sas, di cui socia accomandataria era Gabriella Buontempo, moglie dell’onorevole Italo Bocchino, successivamente componente della commissione d’inchiesta; e 2,4 miliardi alla società Edizioni Roma, di cui socio e presidente del Cda era lo stesso On. Bocchino». Un po' come Scajola, il finiano doc ha sempre detto di non aver mai saputo da chi provenissero quei soldi. Men che meno da un tale che conosceva bene e che era impelagato nell’affaire su cui indagava la commissione, di cui sempre Italo faceva parte. Bassini l’ha prima smentito («Italo l’ha sempre saputo del mio coinvolgimento nella vicenda Telekom Serbia e sapeva che i soldi della Fin Broker provenivano dalla mediazione del conte Vitali») e poi gli ha mandato l'ufficiale giudiziario a pignorargli casa. Vanta un credito di 800mila euro con la società della signora Bocchino, la figlia di Eugenio, imprenditore napoletano noto alle cronache per una latitanza datata 1993.

di Gian Marco Chiocci da il Giornale del 15/7/2010

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