domenica 9 maggio 2010

Ecco le magagne di un altro moralista...

L'ex procuratore capo di Milano, all'epoca di mani pulite, Saverio Borreli ebbe a dire: " Chi sa di avere scheletri nell'armadio, vergogne del passato, apra l'armadio e si tiri da parte. Tiratevi da parte prima che arriviamo noi, dico io. Quelli che si vogliono candidare, si guardino dentro. Se sono puliti, vadano avanti tranquilli.
Questa celebre frase ha un suo valore, anche storico, ma non lo hae non lo ha mai avuto per tutti.
Specialmente per chi si crede e ad ogni occasione si dichiara superiore moralmente su tutti e su tutto, come gli ex comunisti italici. 
Quanto ho pubblicato sull'episodio dell'ex compagno G (Primo Greganti, l'operario milionario) e proprio due giorni fa sul comportamento dell'ex compagno D'Alema a Ballarò,  nella puntata del 4 maggio 2010,  è più che emblematico. 
Adesso tocca al segretario del PD, l'emiliano Pier Luigi Bersani, i cui scheletri nell'armadio li tira fuori non un procuratore della repubblica alla Borrelli,  o un pubblico ministero alla Di Pietro o alla De Magistris, ma il solito giornalista "prezzolato" e "servo del padrone", con l'aggravante di essere il direttore del Giornale, Vittorio Feltri. Se è una falsità, voglio vedere se Bersani lo querela.  
Ecco la notizia, non da poco, che certifica la connivenza, ancora una volta, dei sindacati rossi con gli uomini del partito:

Il sindacato pagava la casa a Bersani
di Vittorio Feltri

La casa è il punto debole. La casa e i figli. Ciascuno di noi è sensibile alle questioni di famiglia, se tiene famiglia. E allora si dà il caso che per avere un tetto o per darlo ai pargoli siamo disposti a tutto. Solo che i comuni mortali mettono mano al portafogli, e se non basta il contenuto si indebitano fino al collo per far fronte alle spese, mentre i signori della Casta politica percorrono strade alternative, a volte lecite, a volte ai limiti della liceità e a volte ben oltre.
La vicenda Scajola è paradigmatica. Il ministro è uno dei tanti che hanno chiuso un occhio sulle regole,
e se c’è qualcuno che ha diritto di criticarlo sono i cittadini senza santi in paradiso, ma i suoi colleghi del Palazzo e dépendance devono solo tacere, perché di riffa o di raffa, nonostante abbiano buoni «stipendi», si sono fatti aiutare o almeno raccomandare. Se glielo fai notare, specialmente se ricordi loro fatti che ne
dimostrano la fragilità, addio, reagiscono con rabbia, ai confini della violenza, come è accaduto a Massimo D'Alema. Il quale, di fronte alle contestazioni del condirettore del Giornale, Alessandro Sallusti, ha perso la testa avendo la coda di paglia.
Tutti rammentano che egli occupò un alloggio di pregio a fitto agevolato (grazie all'ente pubblico proprietario dell'immobile) e che fu il Giornale a denunciare la birichinata. Insomma, il tema casa è tra i più scottanti. Lo era e lo è ancora. E solo a parlarne c’è chi rimane strinato. Guarda un po' la combinazione, proprio ieri siamo venuti a conoscenza di un'altra furbata, se vogliamo di piccolo cabotaggio, ma che rivela le inclinazioni della grande Casta: fame di privilegi, sconti, trattamenti di favore in barba al popolazzo corteggiato al momento del voto e disprezzato a spoglio avvenuto.
Udite, amici lettori. Nel lontano 1992, l'attuale segretario del Partito democratico, Bersani, allora personaggio poco noto, abitava in un quartierino in affitto e, siccome il suo reddito era modesto (presumo), si faceva pagare metà (500mila lire) della pigione mensile (un milione) dallo IAL, Istituto Addestramento Lavoratori, emanazione del Sindacato sovvenzionato dalla Cee.
Bersani era vicepresidente della Regione Emilia Romagna e probabilmente, pur non essendo un barbone, non percepiva un'indennità ricca e per vivere decentemente aveva bisogno di un sostegno. Subito trovato. Alloggio a Bologna, in via Mazzini, zona elegante della città, fitto di mercato ma a carico, per il 50 per cento, dell'organizzazione dei lavoratori. Come dire che i lavoratori, a salario immagino inferiore all'indennità del vicepresidente della Regione, pagavano per lui che, poverino, doveva mantenere un certo decoro di cui non poteva consentirsi i costi. Ecco la storia di oggi che si inquadra perfettamente nelle polemiche di questo infocato periodo. Il vizietto della «casa a sbafo o semisbafo» non è quindi tipico degli ultimi anni ma abbastanza vecchio e costituisce un elemento di continuità tra la prima e la seconda Repubblica fondata sullo scrocco e sui privilegi dei «castori». Capita l'antifona?
Cambiano i segretari dell'ex partito comunista ma lo stile è sempre lo stesso: campare da signori senza esserlo con i soldi di qualcun altro, un ente pubblico, un sindacato eccetera. Se però uno di noi va in tivù e lo dice a D’Alema, questi si infuria e ti manda a farti fottere (testuale) con l'approvazione entusiastica dei compagni e anche dei camerati.
Infatti, ieri sui giornalucci di partito si sono letti gli elogi al cafonalchic D'Alema per gli insulti rivolti a Sallusti. Mi riferisco a Europa (ex Margherita), al Manifesto e al Secolo recentemente convertitosi sulla via delle Botteghe Oscure. Va bene così. Tutto chiaro. Noi seguitiamo a pensare che se gli italiani senza pennacchio politico (rosso o bianco o nero che sia) si sottopongono a sacrifici disumani per avere un soffitto sopra la testa, i medesimi sacrifici debbano fare i cicisbei inchiodati alla poltrona avuta col nostro voto. Chi avesse qualcosa in contrario, ce lo dica. Siamo qui apposta per rispondere senza mandare nessuno a farsi fottere, neanche l'Ordine dei giornalisti di Roma che non ha visto Ballarò e non sa nulla del modo elegante con cui D'Alema ha tutelato (in quanto giornalista) la dignità professionale: coprendo di parolacce Sallusti. Applausi.