giovedì 6 maggio 2010

Non poteva mancare l'arguto commento con puntualizzazione finale di Feltri

Sullo scontro di cui ho già scritto nel precedente post, eccovi l'arguto commento con puntualizzazione finale del direttore Vittorio Feltri. Vedremo se il migliore dei peggiori, come lo definisce Feltri, risponderà. 
Ovvero: gli antichi detti non sbagliano mai: Pecunia non olet.

D'Alema pagato da Berlusconi

• da Il Giornale del 6 maggio 2010

di Vittorio Feltri

Abbiamo sempre scritto che D’Alema è il migliore dei peggiori (i peggiori sono i compagni, ovvio) e continuiamo a pensarlo. Ma da martedì sera lo pensiamo un po’ meno perché abbiamo assistito attoniti alla sua performance televisiva a Ballarò, il programma di Floris dedicato alle dimissioni del ministro Scajola in seguito al pasticciaccio brutto di via Del Fagutale, di cui in questi giorni si è discusso a lungo.
In studio, tra gli ospiti, oltre al dirigente storico del Pd, c’era Alessandro Sallusti, condirettore del Giornale. Il quale dopo aver ascoltato l’intervento ricco di implicazioni moralistiche dell’expresidente del Consiglio (indignato per la vicenda dell’appartamento acquistato a prezzo stracciato e, forse, in parte a sbafo), ha fatto notare a D’Alema che non aveva le carte in regola per fare le bucce a Scajola, in quanto proprio lui una quindicina di anni orsono ebbe dei problemi connessi ad Affittopoli.
Quali problemi? Conviene ricordarli, così, per chiarezza. Nel 1995 il Giornale, all’epoca diretto da me, svolse un’inchiesta sulla nomenclatura che aveva ottenuto alloggi di buon livello da enti pubblici ad equo canone, cioè a canone irrisorio, ponendosi in una situazione di privilegio rispetto ai cittadini comuni. Appartamenti che sarebbe stato opportuno riservare a gente bisognosa piuttosto che a uomini e donne in vista e dal reddito alto, quindi più che sufficiente per pagare pigioni di mercato.
Ebbene, tra i fortunelli e i raccomandati ben piazzati in «case premio» c’era anche Massimo D’Alema, e il suo nome importante non solo finì nell’elenco degli inquilini di riguardo ma anche in un titolone del Giornale. L’allora segretario postcomunista, come del resto tutti quelli tirati in ballo, si irritò e nel commentare il proprio coinvolgimento si lasciò andare a un apprezzamento (riportato dall’Ansa) poco lusinghiero per la mia persona: «Feltri è un coglione».
L’opinione era legittima, il linguaggio no, ma queste sono stupidaggini cui non feci e non faccio caso. Mi domando piuttosto cosa sarebbe successo se fossi stato io a dare del coglione a D’Alema. Il quale comunque di lì a una settimana si recò ospite al Maurizio Costanzo Show, all’epoca programma di punta di Canale 5, e dichiarò pubblicamente che si impegnava a traslocare e a comprarsi un appartamento affinché non si dicesse che lui, per quanto lecitamente, profittasse di un privilegio.
Di fronte al gesto, scrissi che ciò gli faceva onore. Ne ero convinto e lo sono ancora, tanto più che tutti gli altri pigionati di spicco, tra cui Walter Veltroni, rimasero inchiodati al loro quartierino amichevolmente trattati dagli enti proprietari. Questo l’antefatto. Probabilmente D’Alema ieri non lo rammentava e, discettando della leggerezza di Scajola, ha usato termini duri. Sicché Sallusti gli ha fatto presente con toni altrettanto duri che - in sostanza - il bue non può dare del cornuto all’asino. Nel senso che se il ministro l’ha fatta grossa a prendersi una casa pagata da altri (nel modo noto), D’Alema non la fece tanto piccola a prendersene una a due lire quando i suoi elettori erano obbligati a sborsare il triplo.
Alle battute aspre del condirettore, l’expremier ha dato l’impressione di essere nell’angolo del ring e per uscirne è ricorso al colpo della disperazione: «Vada a farsi fottere», ha gridato. Sul momento ho pensato che ce l’avesse con Marrazzo, dato che Sallusti non è tipo - lo conosco - da accettare simili inviti. Poi ho compreso che quello era solo un insulto, cui ne sono seguiti altri: «Lei è un bugiardo e un mascalzone».
Qui l’unica cosa andata a farsi fottere era il proverbiale aplomb dell’eminenza del Pd che ha completato il suo pensiero: «Io però non pagavo con i soldi che mi dava uno speculatore amico mio, lasciai e basta».
Sallusti di rimando: «Anche Scajola ha lasciato il suo posto senza essere indagato. Lui ha lasciato il ministero, lei ha lasciato la casa». Non l’avesse mai detto.
D’Alema avrebbe mangiato volentieri l’interlocutore ma ormai aveva perso nel match tutti i denti e ha sputato un luogo comune indegno di lui: «Lei si guadagna lo stipendio dicendo mascalzonate, la pagheranno mandandole delle signorine».
Replica di Sallusti: «Le signorine le usavano i suoi uomini in Puglia».
Floris non potendo calare il sipario, ha mandato in onda un altro servizio nella speranza si placassero gli animi.
Ecco. Questa la cronaca della partita. Merita una chiosa. E per non suscitare equivoci desidero attingere al vocabolario sfoggiato da D’Alema. Al quale dico - a lui e ai compagni in genere - di smetterla di rompere le balle con la storia che noi ci guadagniamo lo stipendio da Berlusconi quasi che lavorare per lui fosse un’infamia, robada mascalzoni e bugiardi. Siamo professionisti e prestiamo la nostra opera, piaccia o no, a chi ci garba, esattamente come D’Alema. Tanto è vero che anche lui è stato pagato, mi auguro profumatamente, dal Cavaliere. Non è una boutade. È la realtà. O non è un fatto documentabile che egli ha pubblicato quattro-libri-quattro con Mondadori? Questi i titoli: «Oltre la paura», «Kosovo. Gli italiani e la guerra», «La grande occasione. L’Italia verso le riforme», «Un paese normale. La sinistra e il futuro dell’Italia».
Scusi presidente, ha scritto gratis? Oppure anche lei come Scajola incassava senza sapere di dove venissero i soldi? Oppure non sapeva che la Mondadori non è delle Cooperative rosse bensì di Silvio Berlusconi?
Andiamo giù piatti. Noi riceviamo lo stipendio da Berlusconi e siamo dei mercenari retribuiti in signorine anziché in euro; lei riscuote i diritti d’autore dallo steso Berlusconi e non è un mercenario retribuito in signorine o in euro?
Ci dica lei che razza di compenso percepisce, assodato che un compenso se lo sarà pure intascato. Segnalo infine che D’Alema è un giornalista. Poiché ha insultato Sallusti, un collega, chiedo sommessamente all’Ordine dei giornalisti se sarà sottoposto a procedimento disciplinare o se lui gode dell’immunità ad personam.
P.S Quanto alle signorine, confessiamo che piacciono anche noi. Ma sfidiamo D’Alema a dimostrare che ne abbiamo avute a tariffe agevolate o piene o pagate da terzi.